Uno sguardo apolitico alla macchina tappabuche di Roma

La scena è di quelle che tendono ad essere, nell’epoca del web social e delle discussioni libere online, decisamente polarizzanti: una tecnologia se non proprio innovativa, quanto meno inusuale, messa in opera da alcuni operai seguiti da fotografi della stampa, la gente incuriosita ed almeno un addetto alle comunicazioni, con tanto di giacca e cravatta, inviato dalla compagnia di gestione. Mentre i committenti amministrativi vantano pubblicamente le meraviglie, inoltrandosi in descrizioni tecniche che oggettivamente, non rientrano nelle loro effettive competenze. Il che va purtroppo ammesso, tende ad alzare i toni: perché è inevitabile, nelle letterali migliaia di commenti al caso, che a quel punto tutti inizino a definirsi “esperti” elencando gli innumerevoli motivi per cui, a loro avviso, tutto questo non potrà mai funzionare. Chi critica la flemma degli operatori, in realtà necessariamente intenti, nelle scene pubblicate, a spiegare ogni passaggio della procedura. Chi si mette a confrontarla con altri approcci totalmente diversi, definendola per partito (letteralmente) preso, “inferiore”. Chi invece, in maniera altrettanto erronea, esalta l’affascinante soluzione come il gesto risolutivo di una sindaca particolarmente ispirata, destinato a risolvere il problema delle buche di Roma nei prossimi anni a venire. Uno dei commenti più rappresentativi, ripetuto più volte in diverse forme sui vari portali, risulta essere particolarmente emblematico: “Se funzionasse davvero, lo farebbero anche all’estero.” Quasi come se l’Italia, patria internazionale del design, non potesse inventare soluzioni nuove ai problemi di vecchia data. E che se pure avesse davvero percorso una simile strada, evidentemente si tratterebbe di una tecnica inefficace. Particolarmente infelice, risulta essere la vita di chi sottovaluta i propri connazionali! Ma specifichiamo, a questo punto, il nesso della questione: la tecnica di riparazione delle buche stradali definita in inglese spray-injection non è in realtà un’esclusiva nostrana. Basta anzi una rapida ricerca online, per trovarsi di fronte agli innumerevoli racconti entusiastici di siti web inglesi e statunitensi, pronti a definire strumenti simili col termine di pothole killer o spray-patching machine, in tutti i casi in cui l’una o l’altra città si sono trovate a dover effettuare vasti progetti di riparazione d’urgenza, laddove la manutenzione negli anni passati si era fatta mancare. Ecco un’altra situazione, ahimé, che tutto può essere definita, tranne che un’esclusiva italiana.
Il manuale prodotto dalla Federal Highway Administration del Dipartimento dei Trasporti Statunitensi, nel capitolo dedicato alla riparazione delle buche, menziona e descrive approfonditamente il sistema mostrato anche a Roma. La procedura consiste essenzialmente in quattro punti: 1 – Rimuovere dalla depressione detriti e residui d’acqua; 2 – Applicare il conglomerato bituminoso (generalmente a miscela fredda) che permetterà al nuovo asfalto di legare con quello pre-esistente; 3 – Versare gli inerti al di sopra del conglomerato; 4 – Coprire la buca con uno strato di sabbia. Il tutto tramite l’impiego, generalmente, di un veicolo speciale adibito a tale mansione, dotato di un doppio serbatoio di contenimento e un vero e proprio beccuccio, simile a una proboscide, che viene manovrato fin sopra la buca ed attivato da un singolo operatore. Una sequenza di passaggi pienamente seguita nel video della compagnia operatrice italiana, nata da una joint-venture della TotalErg, fornitrice di Carburanti, Lubrificanti e Bitumi, con la Combicons, azienda di Torino specializzata in questo particolare approccio alla riparazione stradale. Come narrato presso l’emblematico sito web “Tappabuche.it”, che riporta anche una ricca rassegna stampa dei precedenti successi ottenuti sul territorio, principalmente in diversi comuni della Liguria. Il progetto capitolino costituirebbe dunque un importante passaggio ulteriore, in grado di sdoganare l’impiego di questo approccio ed aprire la strada a potenziali nuovi appalti nel resto d’Italia.
Ad ogni modo e qualunque sia l’effettiva opinione dei singoli in merito alla tecnica della spray-injection, resta indubbio che la situazione nella capitale ha raggiunto uno stato critico, con determinati quartieri che ormai non soltanto hanno imparato a convivere con le buche, ma sono arrivate a dargli dei nomi e in un certo senso, persino affezionarsi a loro. Mentre gli abitanti fanno lo slalom coi loro preziosi semi-assi, o camminano nella notte sperando di non inciamparvi dentro o peggio, finire per farsi male. Prima di elaborare un’opinione informata, sarà dunque meglio portare a coronamento questo tentativo di contestualizzazione.

Un camion Volvo ripara una buca con bitume a caldo tramite l’impiego di un apparato prodotto dalla compagnia svedese Savalco. Il braccio sputafuoco, usato per garantire un legame migliore del materiale, assomiglia ad un’arma per combattere contro gli alieni xenomorfi.

Secondo i repertori e gli articoli di settore pubblicati online, esistono essenzialmente tre tipi di mantenimento stradale a disposizione degli enti amministrativi: l’intervento di mantenimento, quello correttivo e d’emergenza. Nel primo caso, il principale approccio risulta essere l’applicazione dei materiali convenzionalmente definiti come fog seals, delle soluzioni a freddo di emulsioni bituminose molto diluite, in grado di ripristinare sensibilmente la flessibilità di un manto stradale ad alta percorrenza. Questa viene considerata la soluzione preferibile, in quanto è stato scientificamente ed economicamente provato che a lungo termine, i costi sono sensibilmente inferiori alle alternative. Ciononostante, capita spesso che il rapido succedersi delle amministrazioni cittadine, unita alla percezione tipicamente umana del “sarà un problema di qualcun altro” tende a far impiegare il budget in campi dal ritorno d’investimento maggiormente immediato. Per quanto concerne invece l’intervento all’estremo opposto dello spettro, quello d’emergenza, c’è ben poco da dire: la città dispiega un alto numero di mezzi ed uomini per recarsi presso la scena di una buca particolarmente pericolosa o problematica, che viene riparata nella maniera più rapida possibile. In questo caso, generalmente, non ci si cura in modo particolare che il lavoro sia fatto per durare: ciò che preme maggiormente, è ripristinare la viabilità. È soltanto nel caso dell’approccio correttivo, come quello su larga scala del territorio romano, che agli operatori viene offerto un più ampio ventaglio di possibilità. Queste possono rientrare nelle categorie dei cosiddetti “throw and go” (getta-e-vai) o “throw and roll” (getta-e-spiana) che risultavano tradizionalmente preferiti nel caso di progetti più ampi. In alternativa, esiste l’approccio della riparazione semi-permanente, per cui piuttosto che riparare direttamente la buca, prima si taglia l’asfalto circostante, ricavando nel manto stradale uno spazio dalle pareti nette e regolari. Quindi si inserisce all’interno di quest’ultimo una quantità di materiale precisamente calibrato, affinché l’espansione termica garantisca il formarsi di uno strato perfettamente compatto ed uniforme, in grado di prevenire ulteriori infiltrazioni d’acqua e la possibile formazione di nuove spaccature. È importante notare come il particolare metodo, benché preferibile sulla carta, risulti impiegabile soltanto in rari casi, per via delle tempistiche decisamente più lunghe che vanno a ledere la circolazione del traffico, per non parlare della necessità di personale altamente specializzato ed in quantità significativa.
In quest’ottica, lo spray-injection risulta essere una sorta di “terza via” che presenta diversi vantaggi dell’approccio rapido, nonché alcuni mutuati da quelli maggiormente risolutivi. Uno dei punti più pratici dell’intera questione è che il camion che trasporta gli aggregati non dovrà necessariamente essere una betoniera, sfruttando piuttosto la soluzione della cosiddetta miscela fredda, un’unione del bitume con sostanze simili al sapone, che risulta essere sempre all’uso e neppure finisce per andare sprecato, nel caso in cui il team di lavoro finisca per non impiegarlo tutto al termine della giornata. Particolarmente significativa risulta essere, a tal proposito, la spiegazione dell’addetto stampa della Combicons, quando parla di come il loro camion si sia recato a seconda dei casi sulla scena di vere e proprie strade disastrate, svuotando il proprio carico in dozzine di buche nel corso di una sequenza di poche ore, mentre altre volte il suo giro l’abbia portato su un’estensione particolarmente vasta di territorio, usando la stessa quantità di sostanze soltanto nel giro di due o più sessioni. Un altro vantaggio è che questo tipo di materiali non necessitano di essere compattati, potendo piuttosto contare sul semplice passaggio delle auto al fine di ottenere lo stesso risultato; lo scopo del passaggio della scopa, tanto ingiustamente criticato su Facebook, è infatti semplicemente quello di togliere il brecciolino residuo, per evitare che venga scagliato in giro al passaggio dei veicoli successivi.

La meraviglia, il miracolo, il sogno: il misterioso YouTuber Dahir Insaat, già autore d’innumerevoli concept avveniristici, mostra un ipotetico camion in grado di effettuare la riparazione semi-permanente in maniera automatica. Se mai un simile prodotto giungerà nel mondo reale, state sicuri che le nostre strade vanteranno ben presto un aspetto del tutto diverso…

Dunque alla fine, qual’è il verdetto? Difficile dirlo. La macchina tappabuche, come ogni possibile alternativa del caso, è soltanto uno strumento. Che può ottenere risultati buoni o pessimi a seconda non soltanto della sua implementazione, ma anche di quello che ci si aspetta da lei. Alla fin della fiera, mediatica e digitale, una riparazione di questo tipo resta comunque la via d’accesso ad una situazione di tranquillità temporanea, nonostante l’affermazione (discutibile dal punto di vista tecnico) secondo cui essa potrebbe “Ricreare rapidamente i vari strati della strada, binder e tappeto d’asfalto”.
Come disse qualcuno, ciò che è distrutto, non potrà mai ritornare quello che era. Necessitando, piuttosto, di essere completamente riforgiato. Chiedete ad Aragorn, amico degli elfi, con la sua spada. E per tornare a noi, certo: ogni opera è positiva, purché abbia l’intento valido di aiutare. Ciò che occorre chiedersi, piuttosto, è se un determinato approccio risulti essere un impiego idoneo del budget, se davvero, niente di più poteva essere fatto. Ma questo tipo di considerazioni, ritengo, dovrebbero spettare a figure di tecnici esperti, anche appartenenti all’amministrazione cittadina. Preferibilmente, non i loro più famosi supervisori, evitando in tal modo, per quanto possibile, il variegato delirio dei pubblicisti e commentatori del web.

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