Un gatto demone sotto la cupola del Campidoglio americano

Lo stato dei fatti e l’atmosfera che era possibile respirare nella capitale in quegli anni immediatamente successivi allo scoppio della guerra civile, nel 1861, si trovano riassunti nella famosa citazione dell’avvocato della città di Washington, George Templeton Strong: “Di tutti i luoghi detestabili, questo è certamente il primo. Sovraffollamento, caldo eccessivo, aria e odori cattivi, zanzare e una piaga di mosche in grado di trascendere qualsiasi mio ricordo… Di certo, Belzebù regna tra noi, e nell’Hotel di Willard si trova il suo tempio.” Oggi non sappiamo, esattamente, quale terribile esperienza di soggiorno portò il diarista ad attribuire una simile qualifica a uno dei più vecchi e rinomati luoghi di soggiorno nel Distretto della Columbia, che avrebbe ospitato in futuro personaggi del calibro del vice presidente Calvin Coolidge, diversi senatori degli Stati Uniti, il produttore cinematografico Adolph Zukor e il compositore John Philip Sousa. Ma possiamo facilmente presumere che i proprietari, per qualche ragione, non si fossero ancora dotati di un gatto. Il problema di quegli anni era di certo, piuttosto grave: con l’istituzione dell’esercito delle colonie confederate, fermamente intenzionate a fermare con le armi l’opera degli abolizionisti della schiavitù, l’importante città fu immediatamente scelta come primo obiettivo di guerra, costringendo Abramo Lincoln a radunare, tra le eleganti strade e i monumenti progettati dall’architetto Pierre L’Enfant, tutti i volontari dell’Unione per difenderla e iniziare la progettazione di un campagna di guerra. Uomini convinti, uomini obbligati dalle circostanze, gente trascinata dagli eventi, ma soprattutto folle senza fine di una moltitudine vociante, inizialmente disorganizzata e come nella maggior parte dei casi storici, piuttosto irrispettosa dell’ambiente. Il che non fece che peggiorare le cose, benché in simili frangenti, l’esperienza c’insegna che la folla sotto il cielo tenda a trascinarne dietro un’altra, ben più subdola e pericolosa: quella zampettante e baffuta del temibile ratto nero.
Ben presto, i roditori furono ovunque. Disturbati dal soggiorno nelle loro tane per via dei molti cantieri, fortemente voluti dal 16° presidente in quanto “Il paese non deve fermarsi in tempo di guerra” essi si spostavano agilmente nel complesso sottosuolo di Washington, sfruttando gli accessi del sistema fognario per spuntare, nei momenti meno opportuni, all’interno delle case e gli edifici pubblici della città. Andare al bagno diventò ben presto un’avventura nel corso della quale, orribilmente, nessuno poteva avere certa l’incolumità. I coraggiosi statisti ed amministratori dell’epoca, dunque, diedero l’ordine che chiunque, viste le circostanze, si sarebbe aspettato: che tutti i gatti delle campagne vicine fossero trasportati tra i palazzi, e liberati affinché facessero quello che gli riusciva meglio. Un vero e proprio genocidio ebbe inizio, con un banchetto delle anime feline rese nobili, e potenti, nell’ora lungamente attesa delle umane preoccupazioni e necessità. Con il proseguire del conflitto, quindi, l’ipotesi di un’invasione successiva di gattini venne gradualmente scongiurata, mentre i felini gradualmente scomparivano uno ad uno dalle strade. Qualcuno con uno spirito d’osservazione particolarmente attento ai dettagli, come l’avvocato Templeton Strong, avrebbe potuto annotare come stranamente, i soldati di ritorno dalle campagne di Manassas e Bull Run fossero più in forma e ben pasciuti dei loro colleghi appena giunti nella capitale. Quasi come se avessero ricevuto delle razioni extra durante la marcia condotta al ritmo incalzante dell’inno battagliero di Julia Ward Howe (“♪Glory, glory, hallelujah! His truth is marching on…” ) Detto questo, oggi non siamo per parlare dei gatti che svanirono nel nulla. Bensì di quello che, contrariamente ai presupposti e ben oltre i limiti della natura, decise di restare molto a lungo. Per quanto possiamo desumere, l’eternità.
Il primo avvistamento del gatto demone di cui abbiamo notizia ebbe a verificarsi nel 1862, quando alcune guardie notturne del vecchio e scricchiolante edificio del Campidoglio, costruito in evidente stile neoclassico, raccontarono di aver incontrato in un corridoio la strana figura di un felino domestico nero. Il quale, mano a mano che si avvicinava sembrava assumere dimensioni sempre maggiori, mentre i suoi occhi deviavano dal colore giallo paglierino a un rosso intenso, e le zampe poggiavano sul pavimento marmoreo senza produrre il benché minimo suono. Raggiunta la distanza di 10 metri, la creatura sembrò assumere le dimensioni di un puma, quindi quelle di un orso, e infine l’impossibile svettante forma di un elefante. Fu a quel punto, secondo la leggenda, che uno dei militari fece fuoco col fucile, inducendo la bestia sovrannaturale a un rapida quanto imprevista ritirata. Ma i felini, si sa, conoscono il segreto della persistenza. E tale inusitata storia, di certo, non poteva certo finire in una maniera tanto facile e repentina.

Il Campidoglio americano, svettante e maestoso edificio, fu connesso a numerosi fatti di sangue e costruito grazie all’opera forzata degli schiavi. Non deve quindi sorprenderci se molte storie sovrannaturali si affollano nelle sue cronache ufficiali.

Da quel momento, il gatto non sarebbe più comparso a un gruppo di persone, ma sempre a un individuo singolo, come fosse fermamente intenzionato a ghermirlo e divorarlo senza rischiare sgradevoli interruzioni. Le cronache sono piuttosto nebulose su questa prima epoca del suo regno peloso, parlando di avvistamenti sporadici ed almeno una persona morta d’infarto, dopo aver presumibilmente assistito alla spaventosa apparizione. Sappiamo in maniera relativamente certa, tuttavia, che la creatura fu avvistata nuovamente la notte prima del 15 aprile 1865, in netta corrispondenza cronologica con l’assassinio del presidente Lincoln, colpito a morte con un colpo di pistola dall’attore John Wilkes Booth durante una rappresentazione presso il Teatro Ford. Il corpo di uno dei più amati capi di stato della storia americana fu quindi brevemente trasportato su un catafalco costruito ad hoc nella cripta sotto la rotonda del Campidoglio, originariamente prevista affinché lì potesse essere sepolto il suo insigne predecessore, George Washington. E forse fu proprio in quel momento che l’opinione popolare fece la sua associazione destinata a durare nel tempo, secondo cui il misterioso animale avrebbe avuto la sua residenza nella stanza sotterranea rivestita di marmo, dove si ritirava per dormire, ma soltanto quando era certo di non essere osservato dai viventi.
In seguito, dunque, l’inspiegabile apparizione del gatto demone, che dopo essere balzato sopra la testa del malcapitato di turno era solito svanire “esplodendo nell’aria” sarebbe stata associata a svariati altri punti di svolta nella storia della nazione, incluso l’attacco di Pearl Harbor al culmine della seconda guerra mondiale, la morte di Roosevelt, l’assassinio di Kennedy e quello tentato nei confronti di Ronald Reagan. E in epoca più recente, il drammatico attentato delle torri gemelle di New York. Attraverso le decadi, diversi membri del governo americano ebbero atteggiamenti distinti nei confronti della strana leggenda, facendo riferimento al felino nelle loro memorie o accrescendo la fama sovrannaturale della capitale americana. Lo stesso Reagan narrò di come il suo cane Rex, di razza Cavalier King Charles Spaniel, fosse solito abbaiare senza una ragione apparente quando entrava nella stanza da letto di Lincoln nella Casa Bianca, restando poi a fissare il soffitto per lunghissimi e inspiegabili minuti. Altri non esitarono a definire simili dicerie come ridicole, sfatando ogni alone mistico che permanesse in relazione al gatto mutaforma del Campidoglio. Eppure, secondo i fautori della storia, nell’edificio permarrebbe almeno una chiara prova della sua esistenza: alcune impronte di zampe tracciate sul pavimento della rotonda, che era stato frettolosamente riparato con una colata di cemento nel 1898 a seguito di un’esplosione dei primi tubi del gas, grande innovazione di quegli anni rispetto alle antiche lanterne alimentate con l’olio di balena. Mentre in un altro recondito recesso dell’edificio, compare in terra la scritta tracciata in maniera grezza della doppia iniziale “D.C.” potenzialmente indicante il toponimo del District of Columbia. Ma secondo talune teorie, anche un possibile binomio carico di sottintesi: Demon Cat.
Una possibile spiegazione della rinascita della leggenda in tempi più moderni è stata invece offerta da Steve Livengood, guida turistica sanzionata dalla Società Storica del Campidoglio Americano. Egli ricorda infatti come negli anni ’40, fosse l’usanza locale che i membri del congresso potessero raccomandare propri amici o familiari con il ruolo di guardie di sicurezza del principale edificio governativo, assicurando per loro una mansione remunerativa e duratura nel tempo. Tali guardiani, tuttavia, finirono per guadagnarsi una fama di fanfaroni ben poco professionali, abituati a bere alcol in servizio e quindi addormentarsi tra gli antichi marmi e monumenti delle auguste sale. Proprio da un tale periodo, quindi, avrebbero trovato riconferma molte delle più bizzarre storie del passato, tra cui il fantasma di Lincoln e le statue pronte ad animarsi nella rotonda, per inscenare una Danse macabre capace di annientare qualsiasi afflitto dalla condizione dell’automatonofobia. Gli ultimi avvistamenti del gatto potrebbero dunque risultare dalla suggestione di uno o più ubriachi, sdraiati a terra senza neanche averne la coscienza, cui all’avvicinarsi di un felino assolutamente normale quest’ultimo potrebbe aver assunto proporzioni mostruose, pochi attimi prima del sopraggiungere della temporanea pace dei sensi.

In epoca recente, il problema dei ratti di Washington DC non ha ancora trovato una valida soluzione. L’aumento di popolazione, assieme alla grande quantità di ristoranti, hanno continuato ad aumentare la quantità di spazzatura, ricchezza imprescindibile di ogni baffuta famigliola di roditori.

Tra tutti gli amici dell’umanità, il più difficile da interpretare e comprendere a fondo. Il gatto nero è sempre stato associato a strane apparizioni, l’opera sovrannaturale delle streghe, la forma materiale di spiriti o vampiri. In forza della sua singolare capacità di mostrarsi più grande di quello che è: vedi ad esempio i numerosi avvistamenti di “puma” o “pantere” nelle campagne italiane, i quali finiscono spesso per rivelarsi come errori notevoli, da parte dell’uomo della strada, nel definire le proporzioni di un animale a distanza. Comparate tutto questo, con la lunga storia delle interazioni umane coi topi. Creature subdole e straordinariamente furbe, capaci di nascondersi se lo desiderano, scomparendo nei più piccoli pertugi. Per poi cavalcare l’onda di terribili pestilenze o irrimediabili infestazioni.
Famosa a Washington resta la storia di Julius Hobson, l’attivista politico che negli anni ’60 minacciò di liberare nei quartieri privilegiati le migliaia di ratti che affermò di stare allevando in un luogo segreto, affinché gli oligarchi bianchi si rendessero conto delle terribili condizioni in cui doveva vivere la componente meno agiata della popolazione cittadina. Facendosi un portavoce delle stesse persone a cui Lincoln in persona, tanti anni prima, aveva deciso di dedicare tutte le sue capacità di politico e barbuto capo militare. Certe cose, strano a dirsi, non cambiano mai. Taluni gatti, possono fare affidamento su un numero di vite ben al di sopra del consueto, triplo multiplo di 3.

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