Le corna tra le foglie che nascondono una rana

Gente superstiziosa, i nostri albergatori, eppure non fecero una piega. “Cara, te lo dico per l’ultima volta: quella dannata foglia si è mossa.” Guardo intorno a me nella hall, e noto almeno tre portafortuna cinesi: il quadro alla parete recante il numero 888, la targhetta con dicitura in cinese “对我生财” (Produci soldi per me) Una piccola ananas di legno sul bancone, simbolo della buona sorte perché ông-lâi (Ông-lâi.png) suona simile a ōng (旺) – “fortuna” + lâi (來) – “arriva”. Mentre mimo a gesti ancora una volta l’accaduto, l’albergatore sorride e pronuncia una frase in lingua malese rivolgendosi a sua moglie, che si copre la bocca con la mano. Anna alza un’altra volta le sopracciglia: “Ascolta, siamo già in ritardo per il tour dei sette templi di Kuala Lumpur. Lo sai quanto ci ho messo ad elaborarlo. È proprio necessario andare a fondo alla cosa?” Senza perdere tempo a rispondere, varco la porta verso il cortile dell’hotel. Quindi giro l’angolo, e lo vedo: il mucchio di foglie di Kleinhovia hospita, anche detto l’albero degli ospiti, radunate ieri verso sera dal giardiniere. Esattamente dinnanzi alla finestra della nostra stanza. Assolutamente niente di strano, a vedersi. “Eppure si è mossa.” Ripetei di nuovo fra me e me, pensando intensamente al richiamo notturno delle rane, croce e delizia di questo intero soggiorno, tra cui una voce, una singola voce stridula, sembrava avermi chiamato intensamente, dall’ora del vespro e per l’intero estendersi dell’arco notturno. Possibile che si sia trattato di una pontianak, lo spirito di una donna deceduta durante la gravidanza, tornata per tormentare i mortali di questa terra? “Oh no amor mio, che stai facendo?” Ignorando la mia moglie recentemente sposata (dopo tutto, si tratta della nostra luna di miele) avanzo con poche falcate verso il capanno degli attrezzi, e con gesto leggero, spalanco la porta di legno segnata dalle intemperie. E li, tra vecchi barattoli di vernice, lo vedo: un soffia-foglie a benzina. Mentre lo afferro capisco che già qualcuno ha recentemente fatto il pieno. Esco. Anna ha gli occhi spalancati dallo stupore e un latente sdegno verso di me. L’albergatore, che nel frattempo ha girato attorno al bancone e si trova in prossimità dell’ingresso, sembra ancora divertito, quasi come se questa non fosse la prima volta che assiste a una simile scena. D’un tratto, la mia sicurezza vacilla. Avanzo pensieroso verso il cumulo di foglie, ma ormai è troppo tardi per tirarsi indietro. Tiro la corda di avviamento, mentre al suono rombante del piccolo motore fa seguito un getto d’aria possente, che sposta la materia vegetale un po’ ovunque: “Dopo dovrò anche rimetterla a posto” Penso tra me e me, vagamente in ritardo. Ma tra il turbine e il mulinello, in mezzo alla tempesta infernale, d’un tratto scorgo l’impensabile verità: un piccolo coboldo cornuto, il volto a punta come nelle migliori illustrazioni di Dungeons & Dragons, mi fissa con lo sguardo intenso ed infastidito, le mani sollevate in un gesto che sembra esprimere un concetto sulla linea di: “Perché mai mi fai questo?” Mi giro verso di lei, per scrutarne l’espressione rabbiosa: “La somiglianza… È impressionante.” Mentre mi affretto a spegnere il macchinario, l’essere sovrannaturale pronuncia la sua battuta: “RI- RI-RIBBIT” Oh, yes. Lo sapevo!
Ce ne sono migliaia. Ce ne sono dieci volte tante? Nonostante la costante minaccia verso il loro habitat naturale, dovuto all’intenso sfruttamento industriale e turistico della regione, non c’è essenzialmente nulla che sia riuscito a ridurre la popolazione delle Megophrys nasuta, anche dette rane-foglia malesi, rane cornute asiatiche, rane piede-di-pala. Eppure strano a credersi, nessuno normalmente le vede. Questo perché sono delle vere maestre del mimetismo. Rane ninja, se vogliamo. Che l’evoluzione ha trasformato nei molti secoli, per assomigliare il più possibile a uno degli oggetti più comuni del mondo: la foglia caduta dall’albero, che abbia finito per assumere i colori dell’autunno. È una visione stranamente convincente, con le tre protrusioni che modificano la linea e i contorni dell’animale, ovvero il lungo muso carnoso e le corna sopraccigliari, in grado di donare alla creatura un’aspetto marcatamente luciferino. Almeno, se riesci miracolosamente ad isolarla dal suo fondale. A stupire forse maggiormente il suo primo classificatore scientifico, l’ornitologo ed erpetologo Hermann Schlegel nel 1858, fu lo scoprire che il placido rettile non usa tanto tale vantaggio mimetico per nascondersi dai predatori. Quanto per ghermire, lui stesso, le sfortunate creature che colpisce con la lingua a forma di spatola, per poi aspirarle trasformandole nel suo gustosissimo pasto quotidiano.

Il verso della rana-foglia è stato definito come “Una persona che fa schioccare la lingua” oppure un leggero “Ching-Chang!” Davvero qualcosa che si potrebbe immaginare provenire dalla gola secca di uno spirito vendicativo, nel cacofonico bailamme della notte malese.

Esseri come ragni, scorpioni, granchi, piccoli roditori, altre rane. In parole povere, un po’ di tutto. Come la rana Pac-Man (Ceratophrys cranwelli) questo è un saltatore degli stagni che divora pressoché ogni cosa, traendone una cupa e piacevole soddisfazione. Soltanto un pazzo, andrebbe a mettergli un dito davanti alla bocca. Anche se misura, in termini generali, “appena” 10-12 cm di lunghezza, in realtà non pochissimi rispetto alla media degli altri batraci malesi delle sue natìe circostanze. Certo, qui non siamo in Sudafrica o Sud America. Ma in un diverso continente, dove il clima risulta più temperato che tropicale, il che, d’altra parte, ha anche costituito una grande sfortuna per la rana foglia dal lungo naso. Proprio perché, con una temperatura ideale che si aggira tra i 20 e i 25 gradi, e nessuna particolare pretesa dal punto di vista dell’umidità (ciò detto, si tratta pur sempre di una rana…) questo animale è diventato un grande favorito degli appassionati di rettili nel terrario, portando ad una mercificazione dei suoi esemplari, soprattutto le femmine più grandi ed attraenti, che tende ad aggirare le stringenti norme di conservazione della natura. Aggiungete a questo il fatto che sia decisamente farle riprodurre in cattività, ed inizierete a comprendere uno scenario davvero poco ottimale per simili rumorosi animaletti. Così può davvero capitare, in un negozio dall’altra parte del mondo, di scorgere una o più di queste malcapitate rane, che tentano faticosamente di contrastare lo stress dovuto ad un simile ambiente innaturale. Ciò detto, è anche possibile accudire simili rettili con un approccio responsabile, a patto di aver svolto le giuste ricerche sui libri ed online. In particolare, è consigliabile evitare la sovrappopolazione del terrario, e se possibile usarne uno dotato di pareti opache, non trasparenti. Questo perché in tal modo la rana, più tranquilla, eviterà di sbattere con il muso contro il vetro e le corna, causandosi delle lesioni che possono facilmente infettarsi: del resto, come la maggior parte dei suoi simili, la Megophrys nasuta presenta la sfortunata combinazione di pelle permeabile ed un sistema immunitario non particolarmente potente.
Al momento dell’accoppiamento invece, il maschio della nasuta dimostra a pieno la sua provenienza da una stirpe particolarmente antica, afferrando al femmina all’altezza delle zampe posteriori invece che quelle anteriori, una caratteristica comune alle proto-rane da cui derivano tutti gli esemplari dell’epoca moderna. Una volta avvenuta la fecondazione, quindi, lei cercherà delle rocce o pezzi di legno affioranti, a cui far aderire le uova tramite l’impiego di un apposito muco appiccicoso. Ben sapendo come, grazie ad un tratto innato nonché straordinariamente funzionale, queste tenderanno naturalmente a staccarsi e “colare” verso l’acqua dello stagno al momento della schiusa, favorendo la fuoriuscita ideale dei suoi girini. Anche questi ultimi presentano un aspetto insolito: con il corpo largo esattamente quanto la coda, e una grossa bocca sulla sommità della testa tramite cui filtrare l’acqua, per assumere le piccole particelle d’alga da cui trarre nutrimento. Fino alla comparsa delle zampe, e quell’atteso momento in cui potranno scaturire fuori dall’acqua fin sopra la prima ninfea.

La vista di una di queste rane che si nutre appare buffa, laddove potrebbe anche risultare inquietante. Simili creature, pur apparendo prive di denti, ne posseggono in realtà di due tipi, mascellari e vomerini, entrambi in grado di perforare occasionalmente la pelle umana.

Apprezzare da lontano una di queste rane è quindi comprensibile, così come desiderare di possederne una. Del resto, non si tratta di una specie protetta da norme internazionali. L’appassionato responsabile, tuttavia, dovrà avere cura di rivolgersi esclusivamente ad un rivenditore etico nella sua intera filiera di acquisizione, magari anche a costo di spendere una cifra maggiore per l’acquisto. E poi, immancabilmente, dovrà accettare di trasformare una parte della sua casa in un piccolo allevamento di grilli, cavallette, vermi etc, etc. A meno di voler andare in  rovina acquistandoli vivi uno per uno (perché, non ve l’avevo detto? OVVIAMENTE, dovete darglieli vivi) Ma forse anche questo fa parte dell’appeal. È ovvio che popolare la propria casa di rettili non sia un passatempo per chicchessia. Anche vista la loro poca propensione a manifestare affetto, per lo meno in un modo che sia  naturalmente percettibile da un essere umano. Ma la bellezza, si sa, può aprire molte porte. E come spesso capita, la fantasia farà il resto.

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