Le tribù isolane delle monete di pietra giganti

Non scaricheresti il denaro, giusto? Sopratutto se il denaro pesasse 4 tonnellate, ed avesse un diametro di 3,6 metri assomigliando alla stereotipica ruota dei cavernicoli spesso raffigurati sulla Settimana Enigmistica. Immagina mentre rotola, fuori dallo schermo del tuo computer, sopra la tastiera e all’indirizzo di colui che ha premuto invio… Il Bitcoin, considerandolo da un certo punto di vista, è una forma di valuta molto avanzata, ma anche estremamente primitiva. Senza l’autorità di un sistema centrale, che emetta e regoli la sua diffusione, tutto ciò che resta per tracciarne i movimenti è la consapevolezza del gruppo, l’accordo comune tra individui che in circostanze normali, non si fiderebbero mai l’uno dell’altro. E tutto ciò che lo rende possibile, in una società globale di  7,5 miliardi di persone, è lo strumento di Internet, un sistema di macchine considerato, a torto o a ragione, del tutto infallibile e imparziale. Eppure ubbidiente per chi riesce a dominarlo, tramite l’approccio dell’hacking, un metodo di programmazione che opera sulle radici, piuttosto che i rami del grande albero delle transazioni. Credeteci: è già successo più di una volta, con conseguente furto ed inevitabile svalutazione, vista la pur sempre variabile fiducia della gente nei confronti delle innovazioni. E pensare… Che tutto quello che serviva per superare un simile drammatico problema, era “L’assoluta fiducia nel tuo prossimo, inclusi gli antenati e la posterità a venire!” Un qualcosa che qualsiasi società potrebbe acquisire in potenza, se soltanto può mantenersi invariata per qualche migliaio d’anni, lontana da influenze esterne e salda nel coltivare i pregi del suo specifico stile di vita. Certo è che, nel caso dell’isola di Yap, uno dei luoghi più remoti della Micronesia, ad aiutare ci abbia pensato la popolazione complessiva non propriamente spropositata, con appena 11.000 persone distribuite su una terra emersa di 308 Km quadrati, abbastanza pianeggiante e fertile da giustificare l’insediamento di una comunità dei leggendari navigatori polinesiani. Ricca di ogni risorsa tranne una: la pietra. Così che in un momento imprecisato dei secoli ormai trascorsi, tale elemento iniziò ad essere considerato estremamente prezioso. Troppo, persino, per utilizzarlo in architettura o altrove, perché utile per portare a termine diversi tipi di transazione. Benché fosse impossibile, esattamente come avviene per i Bitcoin, spostarla fisicamente dal giardino dell’acquirente a quello del venditore…
Tutto ebbe inizio, secondo una leggenda facente parte del loro corpus a trasmissione orale, con l’avventura del mitico Anasumang, una figura di capo, o grande capitano di solide canoe, che cinque o sei secoli fa intraprese, per primo da oltre un millennio, il viaggio fino all’isola di Palau. E lì vide, per la prima volta, un materiale bianco e splendente come il quarzo, in quantità tale da cambiare per sempre le regole della sua società natìa. Nient’altro che marmo. Si dice che da principio, l’eroico esploratore avesse dato l’ordine al suo equipaggio di picconare faticosamente con i propri attrezzi di pietra le relativamente friabili rocce calcaree, intagliandole nella forma di grossi pesci scolpiti. Ma quando si scoprì, inevitabilmente, come tale approccio comportasse una difficoltà di trasporto assolutamente non trascurabile, si passò all’attuale forma circolare di un disco forato al centro, predisposto per il sollevamento collettivo mediante l’impiego di un semplice tronco fatto passare al suo interno. Nonostante questo, il processo di acquisizione di simili pietre restò sempre estremamente complesso a causa del peso nonché potenzialmente pericoloso, necessitando anche il viaggio per mare lungo un percorso di 457 Km e la contrattazione diretta con le tribù estranee dell’isola di Palau. Così che una volta riportate in patria, le pietre denominate Rai venivano tenute in altissima considerazione, soprattutto se portate fin lì dall’opera di un famoso marinaio, o se qualcuno aveva perso la vita durante la missione per andarle a prendere oltre le onde dell’oceano più familiare. Ciò detto, il loro spostamento rimaneva possibile solamente in presenza di simili figure d’aggregazione, comportando lo sforzo collettivo dei membri di una o più tribù. Una volta che le pietre iniziavano a cambiare di proprietà più e più volte, a seguito di matrimoni, accordi tra i villaggi per la proprietà delle terre, acquisizione di cibo addizionale nei periodi di magra, spostarle di continuo diventò ben presto impossibile. Così che tutto ciò che rimase da fare, fu istituire un sistema secondo cui se una Rai veniva data in pagamento, tutti dovessero saperlo, sottoscrivendo implicitamente l’effettiva esistenza di detta transazione. Senza il benché minimo proposito d’errore. Questo perché a differenza di un registro scritto, la memoria collettiva non può essere modificata. E se pure qualcuno avesse l’iniziativa di mettersi a raccontare fandonie per avvantaggiare se stesso, ci sarebbero tutti gli altri pronti a smentirlo e punire la sua sciocca arroganza…

Oggi le pietre Rai vengono considerate un importante simbolo dell’isola di Yap, comparendo anche sul sigillo del loro stato confederato e le targhe delle automobili locali. Per il resto, l’architettura locale presenta una matrice puramente polinesiana – Via Ctsnow, Flickr

Visitando oggi l’isola di Yap dunque, come fatto dall’utente Vic Stefanu di YouTube nel nostro video di apertura, è ancora possibile scorgere le numerose pietre dal caratteristico foro in mezzo, disposte lungo i viali, accanto alle abitazioni, nel centro e le zone periferiche della comunità. Così come fatto dai primi visitatori esterni di queste terre, che si ritengono essere, grazie ad un antico frammento letterario, gli ambasciatori di niente meno che il Sultano d’Egitto, che attorno al XIII secolo qui reclutarono un mitico personaggio noto come l’Ammiraglio dell’Albero Prosciugato, una terra dal di là dell’Impero di Persia, i cui abitanti “Usavano pietre di mulino come valuta.” Il contatto con gli occidentali avviene invece più tardi, nel 1528, ad opera della spedizione spagnola di Álvaro de Saavedra, che diede il via al commercio con gli abitanti dell’isola e permise, senza perdere tempo, l’istituzione su queste terre di una missione cristiana. Durante l’epoca coloniale nelle Filippine da parte della potenza europea l’isola di Yap diventò quindi un carcere per i dissidenti del regime.
A partire dal XIX secolo troviamo un drastico aumento della quantità delle pietre Rai, grazie all’opera di un personaggio proveniente dagli Stati Uniti destinato a vivere una storia abbastanza affascinante perché quasi un secolo dopo, l’industria di Hollywood ne traesse un film, con memorabile interpretazione di Burt Lancaster: His Majesty O’Keefe (titolo italiano: Il trono nero). Questo David Dean O’Keefe era un capitano di mare d’origine irlandese, che nel 1871 era naufragato con la sua imbarcazione presso l’isola di Yap. Aiutato a ripristinarla dagli abili carpentieri degli Yap per tornare finalmente alla civiltà, egli aveva imparato a conoscere le loro usanze, ed in modo particolare quella delle insolite pietre giganti dall’ancor più grande valore. Così che, una volta stabilitosi con una compagnia di trasporto in Estremo Oriente (probabilmente presso le Filippine o l’isola di Taiwan, l’intraprendente individuo iniziò a trasportare grandi quantità di pietra calcarea fino all’isola dei suoi salvatori, ricevendo in cambio merci come il copra (cocco essiccato) e ingenti quantità di trepang o cetriolo di mare, molto utilizzato nelle cucine cinese e giapponese. Egli fornì, inoltre, il popolo dell’isola di attrezzi di metallo, permettendogli di andare a Palau ed incrementare ulteriormente la loro collezione di valuta calcarea sovradimensionata. Questo aumento di produttività causò, prevedibilmente, con valenza quasi immediata, una svalutazione delle pietre, che tuttavia ebbe la singolare caratteristica di colpire solamente quelle più nuove, dato che la preziosa storia delle loro antesignane restava pur sempre invariata nella memoria, e nel corpus leggendario del popolo degli Yap. Fu allora che la totale non corrispondenza tra dimensione valore di una Rai raggiunse l’apice, generando una situazione decisamente controintuitiva dal punto di vista dell’ottica occidentale. Con la conseguenza che, quando i tedeschi stabilirono una base di comunicazione sull’isola al volgere della prima guerra mondiale, le pietre sottratte per fabbricare ancore e costruire strutture furono in larga parte quelle meno importanti e di valore, con probabile sollievo dei loro possessori. Non che, del resto, il furto avrebbe fatto alcuna differenza a quel punto: si hanno notizie di pietre che erano affondate durante il trasporto fino all’isola con tutti gli occupanti della canoa, e che nonostante questo continuarono ad essere impiegate nelle transazioni dai loro possessori. La visibilità, ed invero persino l’accesso ad una specifica Rai non condizionava affatto il suo continuativo utilizzo. Esattamente come succede con una valuta virtuale, quale l’odierno sistema dei Bitcoin.

Le feste e le danze locali vengono ancora assiduamente praticate dalla gente dell’isola di Yap, benché i conflitti tra le diverse comunità siano stati rigorosamente vietati. In funzione di questo, il sistema delle caste e le graduatorie tra i diversi villaggi è letteralmente congelato da generazioni.

Durante la seconda guerra mondiale, usata come punto cardine della strategia statunitense dell’island hopping (conquistare e stabilire aeroporti sulle più insignificanti masse emerse del Pacifico) Yap fu rivendicato assieme al resto delle Isole Caroline come territorio del Trust delle Isole del Pacifico, destinato a guadagnarsi l’indipendenza il 10 maggio del 1979. A partire da quel momento, in qualità di parte significativa della nazione micronesiana, gli abitanti dell’isola iniziarono ad acquisire le norme del mondo moderno, tra cui l’adozione di una valuta in senso più moderno ed utilizzabile coi circa 4.000 turisti annuali, funzione per cui venne scelto il dollaro americano. Nonostante questo, le pietre Rai continuano ad essere impiegate tutt’ora, all’interno di contesti più prestigiosi e di natura rituale. Poiché la natura imprecisa del valore rappresentato da una sola di queste ruote non permetteva di convertirle in carta moneta, esse rimanevano, stolide, a rappresentare le transazioni avvenute in passato. Finché lo strumento della memoria collettiva non dovesse raggiungere la saturazione, interrompendo finalmente la catena imprescindibile delle transazioni. Ma questo è IMPOSSIBILE, giusto?
Non potrà MAI verificarsi, come sarebbe pronto ad esclamare un qualsivoglia cultore dell’odierna valuta informatica creata dal misterioso Satoshi Nakamoto, concepita per basarsi su un sistema di codifica e decodifica semplicemente troppo complesso da dominare. Eppure derivante, forse, proprio da questa terra in cui tutti conoscono la storia ultra-secolare del proprio denaro, anche senza dove posare i propri occhi sulla forma materiale di un simile vile oggetto. Ipotizzare una connessione non è poi così difficile, in una società in cui tutti conoscono i dettagli di qualsiasi cosa. La parte più ardua sarebbe stata inserire il tronco per sollevare il pietrone, fino a colui che se n’è guadagnato il possesso, dinnanzi a un’inconsapevole collettività.

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