La punta della trivella che fece svanire un lago

Si trattava di una pozza d’acqua profonda appena 3 metri e della vastità di un acro, circondata da verdeggianti argini erbosi. E vista da lontano sarebbe tornata, nel giro di pochi giorni a partire dal 20 novembre 1980, esattamente la stessa cosa. Con una sola, drammatica differenza: un buco al centro profondo quasi un chilometro, destinato a costare diversi milioni di dollari a seguito della stima dei danni. Quando finalmente la pressione si fu equalizzata, e il flusso del canale artificiale, principale affluente, ritornò a scorrere nella giusta direzione, si udì un suono come un POP clamoroso. E una dopo l’altra, nove gigantesche chiatte ritornarono a galla dalle inimmaginabili profondità. Sopra alcune di esse, incredibilmente, erano ancora presenti i camion usati per trasportare via il contenuto della miniera.
Ricchezza della terra, ricchezza della tavola, tesoro dei mari. Sapevate che la Louisiana, stato nordamericano del meridione, poggia sopra un’accumulo di risorse da fare invidia al deserto del Mojave? Sostanze come il petrolio, da una parte, ma anche un altro tipo di oro, per così dire bianco, invece che nero: sale, halite, cloruro di sodio. Un oceano granulare nonché saporito, utile anche dal punto di vista logistico all’industria mineraria locale, per la produzione artificiale della brine o acqua salmastra, usata per far dissolvere ed estrarre diversi tipi di minerali. In un superficie non è affatto facile notarne la presenza: nient’altro che una lieve asperità, come una cupola che prende il nome di affioramento del diapiro, mentre come avviene nell’iceberg oceanico, il grosso della struttura si trova al di sotto dello spazio osservabile attraverso l’occhio umano. Non che questo l’abbia mai protetto, del resto, dalla nostra leggendaria cupidigia. Così esistono luoghi, come il lago di Peigneur a pochi minuti da Delcambre, dove lo stato placido delle acque è soltanto una mera illusione, mentre nel sottosuolo chilometri e chilometri di gallerie sovrapposte permettono lo scavo e l’estrazione del candido ammasso per lo più granulare. O per meglio dire permettevano, ad opera della Diamond Crystal Salt Company (oggi Cargill) che aveva ricevuto in gestione dal governo questo particolare, redditizio fazzoletto di territorio. Se non che simili operazioni finalizzate alla raccolta di utili risorse, notoriamente, sono dei pozzi proficui dai notevoli presupposti di guadagno, così che a qualcuno venne in mente che potevano esistere ulteriori presupposti di arricchimento. Poiché il diapiro, dal punto di vista geologico, trova la sua formazione da moti tettonici che causano il sommovimento del sostrato di contesto, con conseguente creazione di spazi che, molto spesso, vengono riempiti dal già citato petrolio. Così che a nessuno sarebbe venuto in mente di alzare neppure un sopracciglio, quando un’altra compagnia, la rinomata Texaco, ricevette l’appalto di una trivellazione esplorativa di un punto in prossimità del centro del lago. Sembrava che tutti, amministratori e politici inclusi, avrebbero tratto grandi ricchezze e gioia dall’intera fortunata questione. Se non che, qualcuno commise un errore.
Ci sono errori grandi che causano grandi conseguenze, ed altri più piccoli, dagli effetti facilmente trascurati. Ma la crudeltà del fato è tale che occasionalmente, basta un attimo di distrazione per causare disastri dall’impatto generazionale, lasciando cicatrici sul mondo e la società, che nessuno potrà mai sognarsi di riuscire a dimenticare. Non tanto presto, almeno. E la sfavorevole contingenza che condannò il lago Peigneur, senz’ombra di dubbio, apparteneva a questa terza classe di eventualità. Ora, ovviamente NESSUNO si sarebbe mai sognato di dare l’ordine di trivellare in corrispondenza dei tunnel sotterranei della Diamond Crystal, anche viste le conseguenze facilmente immaginabili di uno sconfinamento di pertinenze a simili profondità. Così venne fornita, ai tecnici che dovevano gestire la piattaforma, una mappa molto dettagliata e precisa di quali zone fossero assolutamente off-limits per la loro attività. Sulla quale le coordinate erano indicate tramite il sistema noto internazionalmente come UTM (Proiezione Universale Trasversa di Mercatore) invece dell’alternativa meno precisa, ma più comune, della TM (Proiezione Standard di Mercatore). Peccato che questo non fosse indicato chiaramente, né che tra i manovratori della trivella, non fosse presente alcun appassionato di geografia. Così il macchinario venne avviato ed indotto a scavare giù, giù, sempre più in profondità al di sotto dell’acqua del lago. Finché all’improvviso, il motore non si bloccò. Questo perché la punta, molte centinaia di metri più sotto, aveva colpito un deposito minerale inaspettato. La parete stessa della miniera di sale. Dopo una rapida revisione ed ottimizzazione di potenza, gli inconsapevoli addetti rimisero in moto il dispositivo. Che percorrendo l’ultimo metro rimasto, scatenò la furia infernale delle profondità.

Navigando tra le acque del lago e del vicino canale di Delcambre, è ancora possibile vedere i segni di ciò che era stato, suggestioni di una piccola Atlantide degli Stati Uniti. Come questo comignolo in mezzo all’acqua, indicativo del luogo in cui, precedentemente, era sorta un’abitazione.

È presumibile che in condizioni normali un simile episodio non avrebbe avuto, dopo tutto, conseguenze esageratamente nefaste: forse si sarebbe verificato qualche crollo, magari i minatori avrebbero dovuto organizzare una fuga rocambolesca, seguendo le esercitazioni che avevano messo in pratica come parte del loro severo curriculum lavorativo. Ma il lago Peigneur, come dicevamo, si trovava sopra un diapiro di sale. E sapete cosa fa l’acqua col sale, giusto? Lo dissolve. Creando immediatamente altro spazio, in cui penetra dell’acqua ulteriore, dissolvendo ancora più sale. In un effetto domino che brevemente, trasformò il foro della trivella in un vero e proprio acquedotto gravitazionale. Mentre la piattaforma petrolifera s’inclinava minacciosamente a 45 gradi, quindi, gli operatori si affrettarono a mettersi in salvo. Nel frattempo nelle oscure profondità, avendo ricevuto largo preavviso dagli eroici occupanti del tunnel colpito dal sistema di scavo, tutti e 55 i minatori della Diamond mettevano in atto il loro formidabile addestramento, evacuando a tempo di record i corridoi che avano costituito, per molti anni, il loro familiare luogo di lavoro. Il lago, a quel punto, stava cambiando. Nel punto in cui si era trovata la piattaforma ormai campeggiava un vortice immane, paragonabile al maelstrom delle leggende norvegesi, mentre tutta l’acqua circostante veniva possentemente attratta dalla nuova e imprevista possibilità di fuga. Leonce Viator, un abitante del luogo che si trovava in quel momento a pescare tra le acque basse del Peigneur, si affrettò ad approdare presso la riva, legando la sua barca ad un albero. Quindi si mise a correre, mentre le acque dello stesso continuavano a ritirarsi e minacciavano di trascinarlo via con loro. La stessa via non fu percorribile per le costose serre della Live Oak Gardens, compagnia locale dedita alla coltivazione di piante commercialmente pregiate, sotto le quali la terra fu letteralmente tirata via, e che vennero almeno in parte risucchiate nel gorgo immane creato dalla trivella della Texaco. Stessa sorte toccò alle chiatte minerarie citate in apertura. Tutti gli uomini si misero in salvo, ma non così tre cani di abitazioni locali, le cui vite andarono purtroppo perdute nell’impensabile disastro. Ma il peggio, per così dire, doveva ancora arrivare.
Nel primo pomeriggio, dopo qualche altra ora di mostruoso risucchio, il lago era praticamente sparito. Fu così proprio mentre questa sgradita parentesi appariva prossima alla chiusura, che avvenne l’impensabile: lo stesso canale artificiale di Delcambre, scavato nel 1903 per drenare l’acqua in eccesso dal lago verso il golfo del Messico, invertì il suo corso. Per la prima volta nella storia, incredibilmente, l’acqua dell’oceano Atlantico iniziò a fluire verso l’entroterra, tuffandosi all’interno lago da quello che era ormai diventato un vertiginoso dirupo. Con i suoi 50 metri d’altezza, dunque, qui si manifestò brevemente la più alta cascata che fosse mai esistita nello stato pianeggiante della Louisiana. Finché le acque non raggiunsero di nuovo la loro naturale altezza, e le cose tornarono a scorrere per il verso giusto. Nei mesi successivi definire le responsabilità legali non fu semplice, anche perché ogni prova dell’errore umano si trovava, a quel punto, sotto infinite tonnellate di acqua e terra. Fu tuttavia determinato che la Texaco dovesse pagare 32 milioni di dollari alla Diamond Crystal, e 12,8 alla Live Oak. Da quel momento il Peigneur diventò molto più profondo e salato di quanto fosse mai stato in precedenza, cominciando ad ospitare nuove specie di pesci, provenienti dal mare. Nel 1986 la miniera fu definitivamente chiusa e la vita ritornò quella che in effetti, era sempre stata da queste parti. Sarebbe stato difficile negare che l’uomo, inteso come espressione industriale dei tempi moderni, non avesse appreso un’importante lezione. Giusto?

Oscuri e nefasti presagi. Quando gli alberi vengono innanzi, come nel dramma shakespeariano del Macbeth, nulla di buono potrà seguire. Sbagliare è umano, come si dice, ma farlo di nuovo…Diabolicum?

Eppure nonostante tutto, il problema rimaneva. Che sotto la Louisiana capeggiavano perduti tesori, di risorse che chiunque, nessuno escluso, avrebbe sognato di trasformare in denaro. Lungi dall’abbandonare un luogo prezioso come il Peigneur, dunque, le compagnie petrolifere trasformarono l’ex cupola di sale in un serbatoio sotterraneo per il petrolio, causando non poche proteste dalla popolazione locale.
Nel frattempo, presso gli altri diapiri nello stato più popolato dai coccodrilli, l’estrazione sconsiderata continuava. Finché ad agosto del 2012, presso la località di Bayou Corne a meno di 200 Km dal luogo fin qui citato, non si verificò un evento estremamente simile, benché su scala minore. Un impianto di trivellazione della Occidental Petroleum, infatti, aveva scavato troppo in profondità e velocemente, colpendo un deposito salino, che in breve si trasformò in una voragine potenzialmente in grado d’inghiottire una parte considerevole della palude soprastante. La scena degli alberi secolari trascinati in profondità dal risucchio, una visione a dir poco inquietante, fece ben presto il giro della nazione e del mondo. Ma il vero problema, in effetti, era un altro: i sommovimenti tellurici causati dal principio di disastro, che avevano aperto la via verso l’atmosfera a depositi millenari di gas, non tutti innocui per l’organismo umano. Il movimento popolare nato per protestare questo ennesimo scempio prese quindi a chiamare l’intera zona demograficamente tutt’altro che deserta come cancer alley, ovvero il vicolo dei tumori. Quanto una simile, drammatica, nomina possa trovare l’applicazione materiale nella realtà dei fatti, potremo scoprirlo soltanto con il trascorrere dei cupi anni a venire.
Silenziose nella loro eterna giacenza, le risorse naturali del pianeta costituiscono un’attrazione fatale per chiunque abbia l’intenzione, e l’opportunità, di trascinarle furiosamente verso al superficie. Cosicché alla fine possa guardarsi indietro, soddisfatto, abbracciando con gli occhi l’impero finanziario che ha costruito. Il capitalista. L’eroe. Lui. L’uomo. Tuttavia., se nessuno se ne occupa adesso, sarà qualcun altro, in un più disperato futuro, a farlo. Non si può fermare lo sfruttamento. Solamente allontanarlo nel tempo.

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