Il volo dei robot ispirati alla natura


Ipotesi di storia alternativa: nell’Italia rinascimentale sarebbe vissuto un uomo, il cui nome era Odoardo da Vulci. Si trattava di un pittore, uno scultore e un inventore, il cui merito principale fu la cosiddetta “originalità”. Odoardo era solito tenere dei diari, riccamente illustrati grazie alla sua penna ricavata da una costola di balena, in cui annotava ogni cosa che vedesse e fosse in grado di colpire la sua fantasia. Oggi, questi codici sono estremamente ricercati dai magnati dell’industria e della cultura digitale, che amano acquistarli a caro prezzo per dimostrare al mondo un senso generale di filantropia. Uccelli artificiali con le ali dalla forma ad otto, tartarughe/carro armato convesse, cavalli robotici a sette o nove zampe… Tutto questo, nei codici odoardeschi si accompagnava alle elucubrazioni di un così formidabile e altrettanto insolito cervello, scritte normalmente da destra verso sinistra e dal basso verso l’alto. Ma a parte la bellezza delle illustrazioni e del linguaggio impiegato, sarebbe difficile sperare di trovare in tale opera una funzionalità effettiva. Perché nel tentativo di discostarsi dalla natura, il Vulci aveva fatto una precisa scelta. E questa scelta era sbagliata.
Nell’attuale panorama della tecnica robotica applicata, in un mondo in cui l’inverso è diventato il dritto, e la coda si confonde con la testa, il senso dell’utilità si è infine trasformato nel nesso della vita stessa. Chi potrebbe mai produrre un apparato inutile? Chi costruirebbe cose senza senso? Tutto risponde a delle regole precise, la cui Alfa e Omega, in ultima analisi, rimane quella: funzione, funzionalità, funzionerà, se davvero lui lo vuole, l’ingegnere un po’ demiurgo che ha trovato l’Ordine sul tavolo della creatività. E non credo che ci siano dubbi di alcun tipo, sul fatto che il sistema che ogni cosa permea, questo fluido che riceve il nome di Natura, sia una macchina perfettamente oliata che conduce tutti i componenti verso la corretta direzione. Dal che nasce la bionica, quel campo della tecnica che ha lo scopo dichiarato di imitare con le macchine, tutto quello che ha trovato forma sulla strada dell’evoluzione. Un termine coniato, questo, dal medico e colonnello dell’esercito statunitense Jack E. Steele nel 1958, cementato poi da una doppia serie di telefilm, ma che forse trova l’espressione massima soltanto in seguito, tramite il lavoro della compagnia tedesca di robotizzazione per le aziende Festo, con sede nella cittadina di Esslingen sul [fiume] Neckar. Nella quale c’è un intero dipartimento, definito Bionic Learning Network, il cui scopo dichiarato è “migliorare l’automazione” traendo spunto dagli esseri viventi che percorrono il nostro pianeta. Una punta di diamante, questa, dell’innovazione in quanto tale, ma anche uno di quei dipartimenti essenziali nella nuova concezione delle aziende, in cui sparisce la burocrazia e la rigida separazione dei reparti, mentre un piccolo team, o persino un individuo pluri-diplomato può letteralmente decidere di sporcarsi le mani, passando direttamente dal tavolo da disegno alle macchine di prototipazione, la stampante tridimensionale o perché no, la falegnameria. Proprio come nel Rinascimento. Per creare…
È una grande sala conferenze vuota questa, come un cinema, in cui il pilota Markus Schäffer fa spiccare il volo ad una breve carrellata di bizzarre meraviglie, ciascuna trasposizione concettuale di un diverso animale. In primo luogo una farfalla eMotion, della serie di robot ultraleggeri in grado di comunicare tra loro evitandosi e mettendo in atto le figure del volo combinato. Seguìte da un’incredibile medusa fluttuante a base d’elio, che si orienta nell’aria grazie ad una serie di tentacoli, mossi da piccoli e leggerissimi motori. E per finire, il pinguino… Oh, il suo aspetto onirico e surreale al tempo stesso! Quanto è preciso, nel suo irreale movimento!

Come sarà il domani, almeno una certezza: esso ci apparirà cromato. Nessun altro colore esprime il senso di “appassionante tensione” dato dall’ignoto diventato chiaro ed evidente, come nel caso di una vertiginosa manta-ray fluttuante.

Vedete quanta differenza con la sfortunata parabola del grande Vulci? Egli, che desiderava essere diverso, fallì. Mentre è il flusso dell’imitazione, sopra ogni cosa, che può portarci verso nuove vette tecnologiche e traguardi generazionali. Gli animali della Festo, regolarmente spolverati dall’azienda in occasione delle fiere o a vantaggio dei giornalisti (nel video di apertura eravamo a una dimostrazione fatta per la rivista tecnologica IEEE Spectrum) sono in realtà una trasposizione diretta, attraverso la lente della convenienza tecnica, di esseri effettivamente dotati di forma fisica tra le pieghe di habitat molto diversi. La farfalla è un lepidottero, né più né meno, creato quasi a dimensione naturale, almeno se vogliamo prendere in considerazione le specie più grandi e rare. La medusa dimostra le effettive capacità degli animali planktonici di muoversi attraverso un fluido con dispendio energetico prossimo allo zero. Il che, senza il benché minimo dubbio, interesserebbe anche a noi. E il pinguino, beh… Potrebbe sembrare il più lontano da avere (ah!) i piedi palmati per terra. Ma l’interazione del suo collo con il moto delle pinne, il modo in cui si dirige verso l’obiettivo grazie all’impiego del suo intero corpo, tradiscono la sua natura affine a ciò che nuota normalmente tra i ghiacci del remotissimo Sud. La continuità tematica, così, è salva.
E sia chiaro che la storia, naturalmente, non inizia o finisce qui. La compagnia di Esslingen ha infatti prodotto, nel corso dell’ultima decade, una vera propria menagerie di stranezze, ispirate di volta in volta a un diverso personaggio della quasi non-estetica vulciana. Celebre è rimasto ad esempio l’uccello Smartbird del 2012 ispirato al gabbiano reale (Larus argentatus) in grado di vantare una fenomenale agilità in volo grazie alla rotazione parziale delle sue ali. E indovinate da dove viene l’idea… Oppure il canguro bionico del 2014 (in realtà un wallay) saltellante, affidabile biomeccanismo, derivato forse da un casuale viaggio in Australia di uno dei partecipanti al team di ricerca e sviluppo. O ancora, le formiche a propulsione piezoceramica del 2016, in grado di comunicare in autonomia e trovare la soluzione comunitaria di un problema fisico, come lo spostamento di un peso, che da sole non avrebbero mai potuto affrontare. Archimede stesso si sarebbe fermato per osservarle! Tutti i vantaggi, nessuna debolezza: niente mangiare, riposare, fermarsi nel periodo della stagione riproduttiva. Sono animali, questi, che hanno copiato soltanto la parte migliore del soggetto che li ha ispirati. Il che ci riconduce al concetto iniziale: siamo di fronte a un ambito che dovrebbe produrre, essenzialmente, soltanto strumenti utili in qualche maniera. Qui non siamo nell’atelier di un’artista, bensì nella fabbrica di una serissima fabbrica tedesca! Achtung, dunque, e passiamo all’analisi funzionale.

Un esempio di applicazione pratica dei robot bionici della Festo: FreeMotionHandling è una sfera piena d’elio, condotta da piccole eliche, capace di sollevare oggetti grazie alla trasposizione meccanizzata della lingua di un camaleonte. Simili apparati potrebbero, un giorno, assistere i tecnici che lavorano sui pali della luce.

Un robot bionico della Festo nasce per molte ragioni, la prima delle quali resta, ovviamente, la pubblicità. Ma c’è dell’altro. Tutto questo è un po’ come il principio delle famigerate “ore di libertà” degli impiegati di Google, che notoriamente vengono invitati a dedicarsi per una misurabile porzione della loro giornata lavorativa ad un progetto completamente autonomo, da presentare poi all’azienda. Un approccio attraverso cui sono nate molte cose inutili, come il social network semi-vuoto di Google+, ma anche funzionalità che noi usiamo ogni giorno, vedi l’algoritmo di ricerca per immagini o il traduttore integrato. Il punto è che gli esseri umani non sono un network neurale, che lavora in un parallelismo perfetto e poi confronta i risultati ottenuti. Ma veri e complessi organismi, con i loro princìpi, il loro metodo lavorativo. Sotto l’egida e le procedure aziendali, possono venire realizzate moltissime cose. Tra cui non figura, purtroppo, l’innovazione. Così produrre un robot-animale ad ogni occorrenza di fiere o eventi col pubblico in sala, permette di stimolare l’implementazione di nuovi processi ma anche, e soprattutto, di migliorare gli impiegati stessi, l’elite di creativi su cui si fonda l’esistenza dell’intera multinazionale da 17.000 e passa dipendenti. Odoardo da Vulci l’avrebbe capito, lui che è stato, tra le altre cose, il primo addetto alle risorse umane della storia. Che invece di assumerle, le licenziava (è una lunga storia).
Guardate, dunque. Osservate un domani di strani esseri fluttuanti, che sorvolano costantemente le nostre case. Gli occhi nel cielo, rispondenti alle direttive del governo, dei giornali e della Tv. Costantemente alla ricerca di dati, da assorbire e ritrasmettere attraverso l’etere grazie allo strumento di piccole antenne, impossibili da intercettare. Capite di che stiamo parlando? Ben presto, (quasi) nulla sarà più privato. Tanto meglio, dunque, se simili droni potranno assumere effettivamente l’aspetto di altrettanti animali. Perché saranno più belli, più sicuri. E soprattutto, più silenziosi del penetrante frastuono prodotto dall’esacottero medio.

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