Il sassofono che alberga dentro a un cuore di locomotiva

Una bella cosa che non tutti sanno. Perché non tutti, purtroppo, hanno avuto modo di ascoltarla specie in Italia, benché un certo numero di locomotive Siemens ES 64 U2 soprannominate Taurus, prodotte dal principale consorzio dei trasporti europeo, siano state adattate alle linee di tensione da 3 kV, potendo così circolare anche entro i confini della penisola nostrana. E non è certo questo l’unico treno, tra l’altro, a produrre musica quando inizia a percorrere il suo tragitto, anche se nel caso di questo video vi sono alcuni fattori di contesto piuttosto inusuali. Si tratta comunque di una caratteristica insita nel concetto stesso di motore elettrico, esemplificata in qualche variabile maniera da innumerevoli tipologie di locomotive. Quasi nessuna delle quali, del resto, riesce a farlo con la stessa limpida chiarezza di quello che è stato chiamato, non a caso, espresso “Do re mi fa sol” per la sua innata propensione a deliziare i passeggeri col ronzante suono che sembra a tutti gli effetti ricordare, per timbro e intonazione, lo strumento a fiato tipico del jazz. Che nel caso mostrato non soltanto produce una scala musicale, ma sembra ripeterla a più velocità parallele che si rincorrono a vicenda, come nell’intro di un brano sperimentale preso in prestito dall’ambito della musica electro swing. Ciò è probabilmente dovuto alla poca trazione delle ruote a causa della pioggia, e l’attivazione progressiva di un controllo automatico, che ne regola in maniera indipendente la velocità. Del resto, se andiamo ad approfondire, nulla di tutto questo è in alcun modo intenzionale. La locomotiva non è dotata in effetti di altoparlanti, né alcuna modalità speciale da novelli direttori d’orchestra, che il conduttore sarebbe tenuto ad attivare quando si trova in prossimità della stazione. È tutto endemico e automatico, ovvero il prodotto del motore stesso, per l”effetto delle sue specifiche modalità di funzionamento. Prendete ora in considerazione una locomotiva elettrica. Non a propulsione ibrida, con generatori a diesel che ricaricano la batterie, ma proprio alimentata da due o più pantografi sul tetto, attraverso lo sfruttamento dei cavi della luce posizionati sopra la ferrovia. Essa sarà naturalmente più silenziosa rispetto a un treno convenzionale, nel complesso, eppure capace di accelerare a ritmi estremamente sostenuti, senza la necessità d’impiegare rapporti della trasmissione o altre problematiche diavolerie. Se alimentato semplicemente al massimo del suo potenziale, dunque, il treno potrebbe finire per sviluppare una spinta in avanti anche TROPPO repentina, con conseguenti problemi per i passeggeri, ed il sempre presente pericolo di danneggiare le ruote. Ed è qui, che entra in gioco il variatore elettronico di velocità (nella nomenclatura internazionale basata sull’inglese, VFD).
Un dispositivo che modifica il ritmo, il che significa, essenzialmente, produrre un qualche tipo di musica, grazie alla vibrazione indotta nelle parti più o meno metalliche dell’apparecchio d’impiego. La cui natura va tra l’altro specificata, perché ovviamente il concetto di VFD non è esclusivo delle ferrovie, ma si trova anzi miniaturizzato ed incorporato in quasi ogni apparecchio meccanico basato sulla potenza dell’alta tensione: trapani, pompe, ascensori, giostre per bambini… E chi più ne ha, più ne metta. Poiché questo è in effetti l’unico modo, per “dosare” l’elettricità. Il demone che spesso viene paragonato, in funzione di alcune caratteristiche della sua distribuzione, allo scorrere dell’acqua all’interno di un sistema di tubi. In un paragone non sempre corretto, poiché non esiste, in quest’ambito, alcun concetto paragonabile a quello della pressione: l’elettricità può essere soltanto accesa, oppure spenta. Come fare, dunque, a non lasciar distruggere il buon vecchio choo choo? Semplice, occorre trasformare la corrente alternata in continua, modularla secondo il bisogno, quindi ritrasformarla prima che raggiunga la bobina del motore trifase della locomotiva. Vediamo come, esattamente.

La compagnia Eaton, produttrice nota al mercato consumer soprattutto per i suoi gruppi di continuità, ha pubblicato sul suo canale un’interessante e spiritosa descrizione del principio di funzionamento del variatore elettronico di velocità. Al cui autore, dalle notevoli capacità dialettiche, non è certo sfuggita l’analogia musicale…

Un VFD è uno strumento formato da tre segmenti: il convertitore, il bus DC e l’inverter. Ciò che succede alla corrente che viene indotta ad attraversarlo è l’incontro con ciascuna sezione dell’apparato. Dapprima una serie di diodi, che prendono l’onda oscillante della corrente alternata e la rettificano, trasformandola in un fascio uniforme di tipo AC. Il quale viene, a questo punto, fatto passare in maniera intermittente all’interno del bus, con una finalità estremamente specifica: contenere la potenza della bobina rotante che si trova all’altra estremità, non così diversa, per concezione e funzionamento, da quella inventata da Galileo Ferraris e Nikola Tesla verso la fine del XIX secolo. Il che significa, in parole povere, che in essa è presente un sistema di statore e rotore, in cui lo statore contiene un campo magnetico che varia tra positivo e negativo in maniera alternata sulla base delle oscillazioni d’onda, così da indurre il movimento nel rotore, che da un punto di vista meccanico corrisponde al concetto della coppia motrice. Ma la frequenza e conseguente velocità sarebbe, se lasciata a se stessa, sempre esattamente uguale. Come diventa possibile, dunque, controllare il treno? Semplice: attraverso l’intermittenza della corrente AC. Il bus può infatti erogarla, sulla base delle precise istruzioni ricevute dalla cabina di comando della locomotiva, in maniera discontinua: acceso-spento-acceso-acceso-spento-acceso… Affinché tale potenza così modulata possa servire allo scopo di far girare il rotore, occorre ovviamente che venga di nuovo trasformata in DC. Il che avviene attraverso il già citato inverter, e nello specifico attraverso dei circuiti semiconduttori che vengono chiamati tristori. Ma che noi potremmo anche definire, visto l’argomento del nostro discorso, come i tasti di pianoforte le chiavi di uno strumento a fiato! Poiché non soltanto modificano il ritmo, ma anche come dicevamo la frequenza, e conseguentemente, l’intonazione. C’è una netta corrispondenza grafica ed effettiva nella rappresentazione di questo processo, che permette di visualizzare il moto dell’onda oscillante all’interno dei tratti grafici in alternanza prodotti dalla corrente AC. Che finiscono per assomigliare, in maniera tutt’altro che vaga, allo spartito di una rudimentale sinfonia.
Che cos’è, dopo tutto, la musica… Se non un susseguirsi di vibrazioni sonore, organizzate in modo da riprendere, connotare ed evidenziare la natura… Non c’è un singolo colpo di fiato, o vibrazione di una corda prodotta da un musicista, che possa risultare realmente sbagliata. Purché vi sia dietro una visione specifica, e questa è la natura dell’arte… Qualsiasi forma d’arte. Così non è possibile scartare del tutto l’idea di un compunto gruppo d’ingegneri tedeschi, all’interno delle officine della Siemens, che testano svariati prototipi del motore Siemens di una nuova classe di locomotive, tentando letteralmente di “accordarli” affinché il susseguirsi di suoni prodotti risulti piacevole all’orecchio umano. Anche questo significa produrre un’esperienza d’utilizzo che possa dirsi, a tutti gli effetti, veramente completa.

Un altro esempio di Taurus in fase di avvio, questa volta senza il problema dello slittamento delle ruote dovuto all’umidità sulle rotaie. Nel presente caso, il susseguirsi di note si presenta dunque come una scala perfettamente eseguita.

Non tutti l’hanno sentito e probabilmente, non tutti lo sentiranno nemmeno in futuro. Le moderne locomotive elettriche, in effetti, utilizzano un sistema di tristori più moderno e sofisticato, che non produce alcun tipo di modulazione sonora udibile. In conseguenza di ciò la nuova generazione di treni, incluso l’ultimo modello delle Siemens ES 64, non è più in grado di far risuonare la sua voce all’interno delle stazioni affollate. Ciò che sembrano fare tali mezzi, in effetti, è semplicemente accelerare in maniera progressiva, esattamente come un treno a diesel o una semplice automobile che circola per le strade. Peccato. Ma meno male. Ve lo immaginate un domani, in cui davvero si giungesse alla diffusione già da tempo auspicata per le auto elettriche, in cui ciascuna dovesse produrre la propria musica in base ai dettami di un’indipendente VFD… L’ora di punta sarebbe una cacofonia. Un ingorgo, l’inferno auditivo in Terra. Talvolta, quella che ci appare come un’assenza di fascino ha in realtà precise motivazioni pratiche, che salvano il senso e la serenità delle nostre giornate.
Non sarà poi così male, dunque, se queste locomotive musicali continuassero a svolgere le loro mansioni ancora per molti anni a venire. Un breve spettacolo come questo resta senz’altro piacevole, soprattutto se inaspettato. Chi ha mai detto che i pendolari, quando schiacciati dal bisogno e il grigiore del lunedì mattina, siano temporaneamente privati dell’abilità di percepire il Bello…

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