Gara di auto elettriche, svanisce la zavorra del pilota

Se funziona nei videogiochi, perché non dovrebbe farlo anche nel mondo reale? Beh, “funziona” è una parola grossa. Nel vasto catalogo di esperienze digitali interattive in cui siamo chiamati a dirigere un missile su ruote lungo i percorsi soliti noti, l’intelligenza artificiale è sempre un gran punto interrogativo. Poiché può basarsi, essenzialmente, su due direttive molto differenti, seguire semplicemente la linea di gara, oppure interpretarla. La differenza non potrebbe essere maggiore: nel primo caso, al giocatore sembrerà di essere come una scheggia impazzita, inserita artificialmente nel bel mezzo di un ingorgo a più di 300 Km/h. I diversi concorrenti, in realtà avatar dello stesso pilota privo di un corpo, marceranno ordinatamente lungo il tracciato, inscenando qualche volta la figura di un sorpasso. Neppure urtarli, accidentalmente o di proposito (magari per la frustrazione) potrà fare molto per alterarne il rigido copione. Fu questo il caso del primo, storico Gran Turismo per PSX, e di un buon 80% dei driving game venuti dopo quel momento. Ma c’è stata un’epoca, costellata di nomi come il game designer Geoff Crammond, la compagnia Papyrus e Simbin dei tempi d’oro, in cui le automobili venivano effettivamente programmate. Con una serie di comportamenti, non soltanto direttive, talvolta inclusivi di “episodi” umani, come errori di calcolo, pressione psichica o paura. Ecco, quest’ultima parte, sconsiglierei di eliminarla dal futuro della quattroruote Robocar. Dopo tutto, stiamo parlando di un bolide che dovrà girare nel mondo fisico, con tutti i rischi connessi ad una tale finalizzazione. Tranne quello, fino ad ora, considerato inevitabile: le gravi conseguenze per chi guida. Per il semplice fatto che non ci sarà più un “Chi”. Avete capito di cosa sto parlando? A partire dal 2014, nello scenario automobilistico mondiale esiste questa realtà in grado di rompere con il passato, identificata con una singola lettera dell’alfabeto. Formula E, ha deciso di chiamarla la FIA organizzatrice, dove la E vorrebbe simboleggiare, ovviamente, la parola ed il concetto di Elettricità. Il che sottintende assai evidentemente, questa serie di gare in cui il rombo del motore viene sostituito da un sibilo intenso, che sottintende una velocità massima inferiore ma il più delle volte, un’accelerazione niente meno che bruciante. C’è poi l’altro piccolo dettaglio di sfondo: la stessa macchina per tutti i team. Benché nell’ultima edizione, ci si stia muovendo in direzione diametralmente opposta, con la nuova regola che consente qualche grado di personalizzazione al gruppo motopropulsore, cuore stesso del veicolo in questione. Ma questo non è l’unico punto di rottura netta della serie, caratterizzata da un certo numero di altre caratteristiche distintive: intanto, i tracciati. Nove proposte disseminati tra altrettante città di larga fama, come Parigi, Hong Kong e Marrakesh (l’ottava, la decima e la dodicesima gara riutilizzano per la seconda volta, rispettivamente, Berlino, New York e Montreal) . Senza mancare ovviamente, di fare una visita al celebre circuito di Monaco, con prospettive ancora più intriganti all’orizzonte. Chi non sa ormai quasi tutto, ad esempio, del progetto confermato di portare presto questo grande show a Roma?
Tutto il caravanserraglio inclusi gli elementi di contorno, tra cui dovrebbe figurare, entro la fine di quest’anno, anche il campionato collaterale di Roborace. O almeno questo è ciò che sperano gli organizzatori. Di certo. a guardare il video appena rilasciato, proveniente dal circuito tedesco dell’ex-aeroporto Templehof situato nella capitale berlinese, sembra oggi di essere notevolmente più vicini all’obiettivo. L’automobile impiegata per la prova, in realtà non quella definitiva prevista dagli organizzatori, sfreccia ad ottime velocità lungo le 17 curve di questo vero e proprio labirinto d’asfalto, tutt’altro che un circuito veloce, ma proprio per questo, anche molto tecnico dal punto di vista di coloro che dovrebbero guidare. La Devbot, in realtà nient’altro che una Ginetta LMP3, ovviamente con motore al 100% elettrico, guida con una cautela pari a quella di un pilota di abilità medio-bassa. È stato dichiarato a tal proposito che la velocità complessiva sia inferiore dell’8% a quella media dimostrata dai partecipanti umani; ma questo non è necessariamente disastroso. Poiché, per tornare alla questione dell’IA (Intelligenza Artificiale) che si occupa di pilotarla, questo non è un veicolo che segua un copione particolarmente stringente. Altrimenti, cosa avrebbe di speciale? Forse ricorderete l’incredibile realizzazione dell’Università di Stanford a partire da un’Audi TTS nel 2010, che venne fatta girare sul circuito di Pikes Peak con punte di 209 Km/h ed un tempo finale, comparabilmente, decisamente più notevole di quello della Devbot. Per poi replicare il successo sul circuito di Top Gear, in una precedente puntata del famoso programma Tv inglese. Ma il punto è proprio questo: l’Audi andava tanto forte, poiché la sua navigazione si basava su una speciale tipologia di GPS reattivo, in grado di determinare la sua posizione sulla pista con pochi centimetri di errore. Questione ben diversa dal proposito di questa erede, che piuttosto alla maniera delle driverless cars di Google ed Uber, si propone di fare affidamento su telecamere a infrarossi, radar e lidar, finalizzati ad uno studio in divenire degli eventuali pericoli su strada, nonché un presa di coscienza, a livello di algoritmo, dell’effettiva linea da seguire. In gergo, si parla di un’automobile senza guidatore di livello 5. Neppure all’epoca degli anni d’oro dei simulatori ludici su PC, fu mai raggiunto davvero l’equivalente del livello 5. Ma in futuro, come dicevamo…

Alla Ginetta usata per testare la fattibilità del progetto Roborace è stato rimosso il cofano, con il probabile obiettivo di aiutare nel raffreddamento del motore. Il pilota in tuta e casco, che osserva a braccia incrociate dalla linea del traguardo, viene considerato un’accessorio niente meno che fondamentale.

Il che permette di capire, per inferenza, le finalità recondite di questa venture particolarmente ambiziosa. Già figura tra gli sponsor del progetto, con notevole visibilità, il logo bianco della Nvidia, celebre compagnia produttrice di soluzioni tecniche e schede video per il gaming. Prima di una lunga serie, possiamo soltanto presumerlo, di grandi compagnie dell’area informatica che dovrebbero ad un certo punto farsi avanti, con la finalità di dimostrare la propria capacità superiore nella programmazione e preparazione logica di un’intelligenza di gara. Non ci sono nomi ufficiali, al momento, ma le possibilità sono virtualmente infinite. Potremmo perciò vivere un domani in cui, come in un anime giapponese, personificazioni molto solide di Google, Facebook, Amazon… Potranno sfidarsi sull’asfalto dell’arena, come moderni gladiatori di alluminio, ferro e gomma vulcanizzata (*fornitore pneumatici: la Michelin. Certe tradizioni non cambiano mai…) E poi, c’è un altro fattore primario dell’immagine di Roborace: la dimostrazione che si, sarà presto possibile far andare un’automobile senza alcun tipo di conducente. Già la tecnologia odierna ce lo consente, benché manchi ancora un ragionevole margine di sicurezza. Poiché i computer, pur essendo meno abili di noi nella creatività, e non avendo ancora una casistica di tutti gli errori da evitare, hanno tempi di reazione talmente più veloci da poter affrontare anche una gara di Formula 1 come fosse uno slideshow delle foto di un viaggio alle Hawaii.
Ma sapete cosa è ancora più lento? L’incedere pesante delle cognizioni e aspettative umane, secondo potrebbe sempre rimanere un arduo proposito affidare se stessi all’intelligenza di un computer, per quanto potente e sofisticato esso possa risultare, ed abile nell’evitare gli imprevisti. Questo è un problema sempre presente, nella larga adozione di una nuova tecnologia, specie se così ampiamente pervasiva come quella delle driverless cars. L’eventuale ottima riuscita del nuovo campionato potrebbe, dunque, fare molto per smuovere l’industria. Così come il successo delle scuderie abbinate ad auto adatte all’uso quotidiano, nel tempo, è riuscita a donargli un certo grado di prestigio che resiste tutt’ora. Il tutto, assieme a un potenziale di guadagno tutt’altro che trascurabile, viste le possibilità esteriori e aerodinamiche concesse dall’eliminazione di una cabina di guida. Guardate, a tal proposito, l’automobile che troverà l’impiego per la prima edizione del torneo:

Il designer di Robocar, l’erede prossima di Devbot, è niente meno che Daniel Simon, già collaboratore di progetti cinematografici come Tron ed Oblivion. La visione dell’artista è apparsa più che mai evidente nell’avveniristica linea del veicolo, già nel corso della sua prima presentazione durante il Mobile World Congress di Barcellona.

La Robocar finale, che sembra un ibrido tra un’astronave di Star Trek e l’ultima aggiunta la parco macchine di Batman, sarà fornita di due motori da 300 kW ciascuno, che gli consentiranno di raggiungere facilmente i 320 Km/h. Il peso complessivo del veicolo sarà inferiore alla tonnellata (975 Kg) e almeno per la prima serie di gare, verrà consentito l’impiego del torque vectoring, versione iper-fluida del sistema del differenziale. Il quale, erogando la spinta sempre ideale per ciascuna delle quattro ruote motrici, costituirà un ulteriore ambito nel quale far brillare le capacità di programmazione di ciascun team. Prima di giungere a questo saliente momento di trionfo, tuttavia, sarà necessario eliminare gli ultimi piccoli problemi di percorso. Una risonanza persino maggiore degli eventi e dei reveal fin’ora concessi al grande pubblico, l’ha avuto in effetti un incidente a febbraio del 2017 prima del Gran Premio di Formula E di Buenos Aires, proprio in uno dei primi casi in cui due Devbot (le Ginette) sono state messe a gareggiare tra di loro. Ebbene in quel caso, l’auto gialla è finita fuoristrada impostando malamente una curva, mentre quella rossa, con una manovra oggettivamente notevole, è riuscita ad evitare un cane randagio che attraversava pericolosamente il percorso di gara. “Ne siamo felicissimi!” Ha dichiarato Justin Cooke, il direttore marketing della Roborace: “Simili errori ci permettono di migliorare la nostra programmazione e prepararci meglio al futuro dell’automobilismo.” Uno ad uno, dunque? L’Audi di Stanford, temo, quel cane l’avrebbe messo sotto senza un briciolo di rimorso. E così gli avversari digitalizzati di un qualunque videogame, per la semplice incapacità di valutare e reagire agli imprevisti. Perché accontentarsi, allora, di un bicchiere sempre, irrimediabilmente mezzo vuoto?
L’automobile che si guida da sola è GIÀ una realtà, che incombe sul nostro futuro, come l’astro nascente di un’alba largamente ignota. Un uccellino di nome Google ce lo ha sussurrato nell’orecchio. In questi scenari, la paura e diffidenza sono sempre deleterie. Tutto quello che ci resta, e lasciare la presa spasmodica sui comandi di guida. E lasciare che sia lui a prendere il volante, con ben chiara nella mente l’ultima destinazione. Nel frattempo, gli alberi della Città Eterna si piegano ad accogliere il suo nido….

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