L’esuberanza variopinta dei galletti sudamericani

Un lampo colorato tra i cespugli, un fulmine di colore rosso intenso, il senso di qualcosa che sbattendo le sue ali arriva per appollaiarsi sopra il ramo dell’albero del wimba. “Fate silenzio, si tratta di loro!” Pronuncia a chiare lettere Pedro in inglese, lasciando fuoriuscire l’affermazione tra i denti e avendo cura di non spaventare il soggetto del suo entusiasmo. La coppia di turisti americani, l’inglese, i due francesi e la professoressa canadese smettono immediatamente di camminare, mentre vanno con le rispettive mani a impugnare chi la macchina fotografica ad alte prestazioni, chi semplicemente lo smartphone d’ordinanza. Le prime luci dell’alba, filtrando faticosamente in mezzo ai densi rami della foresta pluviale, illuminavano a malapena la loro espressione carica d’aspettativa. Facendo il cenno di restare fermi per qualche tempo, quindi, il giovane addetto del resort turistico riprende a muoversi lentamente in avanscoperta, pensando fra se e se che almeno per questa volta, l’operazione sembrava stesse per riuscirgli al 100%. Qualcosa di estremamente raro, vista l’attenzione prestata da questi uccelli magnifici nell’evitare lo sguardo dei loro ammiratori umani. Tutt’altra storia, a quanto gli avevano raccontato, rispetto ai pacifici uccelli del paradiso dell’altro capo del globo, tendenzialmente presi a tal punto nelle loro effusioni amorose, da lasciarsi praticamente toccare da chiunque ne provi un sincero desiderio. Eppure, sarebbe stato difficile non provarci. Erano parecchi anni, ormai, che el Villajo del Sol si era stabilito all’estrema periferia settentrionale della città di Cuzco, non troppo lontano dalle celebri rovine di Machu Picchu, e da allora non c’era stato un singolo giorno che fosse trascorso senza udire, almeno una volta, quel riconoscibile suono. Sempre riconoscibile attraverso il filtro delle pesanti fronde, immancabilmente lontano, eppure così vicino, qualche volta seguito dal gruppo distante di forme stagliate contro il bagliore dell’alba o un tramonto da cartolina. A tal punto che erano stati gli stessi visitatori internazionali, con assiduità quasi mistica, a chiedere di volta in volta la stessa cosa, ovvero: “Sarebbe possibile vedere l’uccello che ci ha svegliato questa mattina?” Quindi, l’idea: una rapida colazione alle 5:00 di mattina, il briefing preparatorio (non allontanatevi dal gruppo, attenzione a dove mettete i piedi, non disturbate i giaguari…ehm, I GIAGUARI?!) e poi via, partenza per l’escursione alla ricerca del gallito de las rocas (Rupicola peruviana) l’uccello nazionale del Perù.
Certo, pensò a quel punto Pedro. Chiunque può risultare abbastanza fortunato da scorgere un singolo esemplare uccello non più grande di un colombo (32 cm ca.) con la sua svettante cresta a disco in posizione avanzata sul becco, la livrea dai colori vivaci e le ali dalla punta nera, ma il suo obiettivo da tempo era riuscire a fare qualcosa di assai più significativo: portare la sua comitiva nel mezzo di un lek. Ovvero il raduno di 20-30 esemplari maschi, fondamentale per il loro stile di vita, che consiste nell’inscenare un vero e proprio spettacolo di danza e canti, mirato ad attrarre le femmine per l’accoppiamento. Una missione tutt’altro che facile, visto il comportamento guardingo di tali esseri, naturalmente portati a reagire immediatamente all’arrivo di eventuali predatori, come aquile, serpenti o felini di vario tipo… Così che, al sollevarsi in volo di un singolo membro del gruppo, normalmente tutti gli altri lo seguono, senza lasciare nient’altro che un vago ricordo. Ma il gruppo di oggi era particolarmente attento e silenzioso, nonché chiaramente determinato a riuscire nell’impresa. Così dopo soli 45 minuti (un nuovo record) la guida aveva iniziato a sentire sempre più vicino i segni auditivi dell’agognato obiettivo. Appoggiando la mano su un tronco di noce amazzonica, quindi, fece capolino con lo sguardo puntato sulla radura antistante, e d’un tratto sperimentò l’istantaneo bisogno di trattenere il fiato. Sembrava una scena del National Geographic: incitando l’invisibile pubblico femminile, un gruppo di maschi cantava sugli alberi. Mentre altri di loro, già passati alla seconda ed ancor più spettacolare fase, si fronteggiavano a terra, facendo su e giù con la testa ed agitando le ali. Con gli occhi spalancati per lo stupore, Pedro indica di avvicinarsi uno alla volta, a partire dalla moglie della coppia americana, che si trovava per caso più vicina a lui…

Un esemplare femmina di gallito peruviano porta ai pulcini una grossa lucertola catturata nel sottobosco. Per lo più insettivori e frugivori, questi uccelli non disdegnano ad ogni modo l’occasionale e fortuita fonte di proteine.

Nel frattempo, a circa 800 metri di distanza, sotto uno sperone di roccia incastonato nel declivio di una bassa collina, le vere star dell’evento aprono le loro ali e spiccano il volo, richiamate dal riconoscibile ed adorato frastuono. Ma non tutte: quelle che hanno già deposto le loro uova, o le hanno persino viste schiudersi all’arrivo di una o più nuove vite, restano rigorosamente a fare la guardia al nido di sterpaglia e rametti, ripensando nostalgiche all’eccitazione della loro estatica gioventù: “Andate mie piccole ragazzuòle, volate e divertitevi anche per noi…” Sembra risuonare nel loro canto indistinto, certamente meno cacofonico e tonante di quello degli esemplari di sesso maschile. E ad un occhio, l’intera sequenza avrebbe assunto un’aspetto decisamente surreale, vista l’apparenza estetica di quelle che sarebbero potute sembrare, molto facilmente, rappresentanti di una specie d’uccelli completamente distinta. Estremi esempi di dimorfismo sessuale, le gallite femmine non hanno quasi alcunché a vedere con i loro potenziali partner, presentando un piumaggio decisamente più spento a tendente al verde o marrone, oltre a una cresta decisamente meno pronunciata. Questo per riflettere, essenzialmente, l’estrema diversità dei ruoli rivestiti dai due sessi, un meccanismo tutt’altro che raro nel mondo degli uccelli. Tutti i gallitos maschi sono a tal proposito poligami, e non fanno assolutamente nulla per accudire e proteggere i piccoli, occupandosi unicamente di attrarre la femmina coi loro canti e fantastici colori. Questo perché, da un punto di vista meramente genetico, il maschio è molto meno prezioso, potendo bastarne anche soltanto uno per inseminare numerose controparti, assicurando la prossima generazione di volatori variopinti nel cielo della foresta pluviale sudamericana. Lo scopo del lek dunque, questo incontro al vertice, è duplice: permette agli uccelli di trovarsi anche a grande distanza. Ed assicura che sia lei, e non lui, a selezionare i tratti necessari affinché si venga reputati degni di generare una prole. La capacità di raggiungere determinate tonalità, una certa sveltezza nella danza, un territorio più ampio riservato sul suolo dell’arena, in funzione del maggiore status sociale o la presumibile forza nei combattimenti… Non è del tutto chiaro, cosa porti alla scelta dell’uno piuttosto che l’altro candidato, e soprattutto non si sa in che modo ciò risulti utile al corretto svolgersi del processo di riproduzione. Poiché potrebbe sembrare controproducente, nell’essenziale ricerca della diversificazione, scegliere sempre i maschi dotati sempre delle stesse caratteristiche biologiche (si tratta del cosiddetto “paradosso del lek”) benché, e qui viene la parte interessante, alcuni scienziati hanno ipotizzato che la capacità di risultare attraente di un maschio implichi automaticamente determinate caratteristiche, tra cui LA STESSA diversificazione genetica. Chi ha detto che essere belli, comporti conformarsi a un particolare standard e canone universale? Questa è semmai, una tendenza tipica degli umani…

Il gallito della Guyana (Rupicola Rupicola) è una specie completamente distinta, ma esteticamente simile a quello peruviano, che in un momento imprecisato della storia è rimasto separato all’altro capo del Sudamerica, sviluppando alcune caratteristiche particolari. È lievemente più piccolo (30 cm) presenta una striscia nera sulla cresta e penne filamentose sopra le ali.

L’osservazione diretta di un gruppo di gallitos in amore è una sorta di Santo Graal dei bird watchers, raramente ottenuto anche dopo anni di pratica del proprio hobby nell’area abitata da questi uccelli. Questo perché entrambe le specie esistenti, come la maggior parte degli altri membri della famiglia dei cotingidi, sono estremamente difficili da far riprodurre in cattività. In assenza degli ampi spazi necessari ad effettuare un lek con tutti i crismi, e soprattutto di un numero sufficiente di compagni a ricreare la piena atmosfera della foresta pluviale, i maschi di gallitos non riescono ad attrarre la femmina, ed anche se lo fanno, difficilmente poi svolgeranno a piena la loro mansione innata dell’accoppiamento. E anche nei casi in cui si riuscisse a far deporre delle uova fecondate (i casi riusciti negli Stati Uniti si contano sulle dita di una mano, oltre a una singola volta in Giappone) sarà molto difficile far raggiungere al pulcino l’età adulta, anche perché i suoi simili non-genitori tenderanno naturalmente ad attaccarlo, richiedendo una sorveglianza costante da parte del personale del santuario o dello zoo. E dire che invece, in natura, si tratta di animali dall’estremo successo riproduttivo…
Niente affatto a rischio d’estinzione, per una volta, se non in funzione di una vaga preoccupazione relativa al ridursi progressivo della foresta pluviale, il canto di questi uccelli è praticamente udibile ovunque, in Perù, in Venezuela, Ecuador, Bolivia e nell’intera Guyana Francese, dove sussiste la variante distinta e meno famosa dello spettacolare cantatore sudamericano. Tutt’altra storia, naturalmente, è riuscire a vederlo da vicino.

I gallitos hanno zampe forti per aggrapparsi sui rami, dove passano la maggior parte della loro vita. Il colore del piumaggio può variare, talvolta, nell’intero spettro circostante l’arancione, inclusi il giallo ed un rosso intenso.

Senza neppure un fiato, quindi, la turista venne fatta avvicinare da Pedro, per scattare qualche fotografia con il suo obiettivo di precisione. Gli uccelli erano ormai tutto attorno a loro, cantando, danzando e facendo il più infernale frastuono che la fantasia umana potesse giungere a immaginare. Lentamente, la donna si mise da parte, per fare posto al marito. La sua bocca era letteralmente aperta per lo stupore. Ormai sorridente, la guida peruviana premette lievemente per far mettere accanto all’albero i due, facendo un cenno ai ragazzi francesi. Che l’uno con telecamera, l’altro armato di iPhone, sembravano già pronti a caricare su Facebook l’ultimo show acchiappa-like. L’inglese e la canadese, quindi, giungendo per ultimi, lasciarono Pedro decisamente più colpito: lui non aveva infatti alcuno strumento digitale, ma piuttosto una penna ed un semplice bloc-notes, dove sembrava intento a tratteggiare per sommi capi uno schizzo della scena. Mentre la donna dall’espressione rapita, invece, non faceva alcunché. Soltanto ascoltava e apprezzava la scena, coi suoi occhi capaci d’imprimerne il significato nella memoria.
Con un delicato fruscìo, a quel punto, le fronde alla sua destra parvero agitarsi a causa di un vento inesistente, mentre la zampa artigliata calava sopra il suolo del sottobosco. Senza un suono. Sperimentando la scena al rallentatore, Pedro capì lentamente quello che stava per succedere. Era l’ombra del giaguaro, giunto al richiamo degli uccelli per procurarsi una dolce merendina piumata. Con tutta la calma di un guardaspiaggia australiano che vede per primo la pinna di uno squalo, iniziò allora battere con la mano sulla spalla sinistra della turista canadese, muovendo appena le labbra per articolare le sillabe: “Gia-gua-ro, gia, gia-gua….

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