La forma di una serra riscaldata dai fumi del gin

Annientare le manifestazioni del diavolo sulla Terra. Questo era, tra gli altri, l’obiettivo percepito di un buon governo, finché la laicità della legge e dello stato, come concetto fondativo della democrazia stessa, non iniziò a farsi strada tra le norme operative dei legislatori e dei magistrati. Di sicuro, quindi, si tratta di un pensiero atipico al giorno d’oggi, ma che nel 1751 doveva essere al centro dei pensieri del Parlamento della Gran Bretagna, quando ci si riunì per emettere la complicata serie di norme e regolamenti che sarebbe passata alla storia come il Gin Act. Mirate a ridurre la diffusione, per quanto possibile, de “La principale causa di tutti i vizi e la dissolutezza messi in pratica da un certo tipo di persone provenienti da un certo tipo di classe inferiore.” Ah, se soltanto potessero vederci adesso! A prendere nota, con il massimo interesse, delle ultime trovate di un’industria che è diventata solamente un po’ desueta, e proprio per questo il simbolo di un mondo raffinato ed elegante, che si trova collegato al concetto di godersi la vita. Tanto che, fra tutti i luoghi oggetto di una visita educativa, possiamo essere orgogliosi d’includere anche una distilleria. E di che tipo… Tutto risale, per essere precisi, al recente 2011, quando la compagnia Bombay Sapphire, di proprietà del gruppo inglese Bacardi, acquistò i locali per l’apertura di un nuovo stabilimento di produzione, che offrisse anche l’attrazione di un completo centro visitatori. Con la scelta che ricadde, dopo un’attento lavoro di ricerca, su un’antico mulino dal nome di Laverstoke, quindi cartiera per la produzione di banconote durante l’epoca Vittoriana, sito tra le municipalità di Whitchurch ed Overton, nella contea di Hampshire. Un vasto complesso ormai largamente derelitto, composto in parti uguali di antichi edifici rientranti nella categoria protetta ed aggiunte più moderne, comparabilmente prive di fascino e di valore, il tutto attraversato dalle fresche acque del fiume Test. Al che Will Brix, l’amministratore della proprietà, ebbe l’idea innovativa e dirompente di unire l’utile al dilettevole, per così dire, e rendere lo stesso impianto di produzione, con gli alambicchi, le tubazioni e tutto il resto, l’oggetto principe dell’attrazione turistica connessa all’impianto. E perché no, dopotutto…Cosa c’è da nascondere! Ma l’offerta di uno sguardo da vicino alle forme scultoree dei macchinari in rame, ai vasti capannoni e l’assaggio garantito di almeno una versione della popolare bevanda, a torto o a ragione, non furono giudicati abbastanza. Fu quindi deciso, come ulteriore accrescimento del fascino contestuale, di assumere per il progetto di restauro niente meno che lo studio dell’architetto Thomas Heatherwick, già famoso su scala internazionale per il padiglione inglese alla Fiera Mondiale di Hong Kong e che lo sarebbe stato di nuovo ben presto, per la grande torcia olimpica di Londra nel 2012. Da una serie di meeting che possiamo immaginarci essere stati senz’altro ricchi di spunti interessanti, lo specialista e il suo team finirono quindi per avere una geniale intuizione. E se la fabbrica mettesse in mostra, presso i suoi stessi locali, le famose 10 erbe (i cosiddetti botanicals) dalla cui infusione tramite processo di distillazione derivava il sapore caratteristico di questa ricetta risalente al 1761? E se per farlo si fossero usate non una, bensì due serre? E se queste serre, come loro prerogativa del tutto unica al mondo, avessero usato per la creazione del microclima interno il calore stesso derivante dal particolare processo di produzione del gin Bombay Sapphire?
La riposta a queste ed altre domande, nonché a un’esigenza che non sapevamo di avere, fu dunque l’evoluzione stessa del concetto di un’ambiente artificiale in cui far crescere le piante, creato attraverso l’assemblamento di esattamente 793 pannelli di vetro, in un’ìntelaiatura d’acciaio dalla forma organica e quasi naturalistica, che sembra scaturire per volontà propria da alcune delle finestre della distilleria. Per andare a formare due padiglioni, l’uno più grande, con ambientazione mediterranea, contenente mandorli, limoni, angelica, radice di iris, seme di coriandolo e ovviamente, le bacche di ginepro da cui viene il nome stesso del “gin”. Mentre l’altro, di dimensioni minori e un grado d’umidità più intenso, con arbusti di cassia, grani del paradiso, liquirizia e cubeb. Tutti assolutamente ed effettivamente necessari, perché inseriti nella cesta stessa posizionata sopra ciascun grande alambicco, secondo la metodologia del processo chiamato racking, messo in pratica per la prima volta dal leggendario fondatore aziendale Thomas Dakin. Consistente nel far evaporare l’alcol, attraverso l’apposito condotto, fino ad assumere in se il gusto di tali e tanti tesori del gusto, per poi liquefarsi nuovamente all’altro capo del meccanismo. Mentre il suo calore in eccesso, secondo il preciso piano di Heatherwick e Brix, viene deviato verso le serre collaterali allo scopo, in un circolo virtuoso di assoluta eco-sostenibilità… O almeno è questo, ciò che ci piacerebbe pensare.

Le serre del mulino di Laverstoke sono state realizzate con l’assistenza di botanici provenienti dall’Orto di Kew, quel polo inglese di tutto ciò che esiste di vegetale a questo mondo, la cui collaborazione ha garantito la massima efficacia scientifica ed ambientale d’insieme.

Perché in effetti, di bottiglie annuali la Bombay Sapphire ne produce svariati milioni, e per quanto ciascuna carica di uno stack possa essere impiegata per più di un singolo carico, è difficile immaginare che le due serre possano bastare all’intera produzione. Si tratta perciò di un’espediente più valido a scopo divulgativo, nonché ovviamente per fare scena, coinvolgendo i visitatori e permettendogli di conoscere dal vivo le piante il cui gusto hanno apprezzato attraverso gli anni di tante gioviali degustazioni tra amici. L’effetto visuale della singolare invenzione architettonica, unita alla cura con cui è stato effettuato il restauro del Laverstoke, preservando le sue parti più antiche, valorizzando il ruolo del fiume, demolendo il superfluo ma lasciandone comunque un chiaro segno sulle pareti di ciò che rimaneva, resta tuttavia un viale privilegiato d’accesso alla cultura di questi luoghi. Nonché, aspetto semplicemente fondamentale, una chiara dimostrazione d’intenti: per innovare, modificare e dare una dimensione nuova ad un campo che sembrava aver detto già tutto il possibile secoli fa, con la rinascita della bevanda dalle tenebre della sua terribile reputazione.
Il problema del rapporto della cultura inglese col gin ha molte sfaccettature. Ma nasce, fondamentalmente, sul finire del XVII secolo, quando l’evento storico della Gloriosa Rivoluzione (1688-1689) portò alla caduta della casata reale degli Stuart e l’ascensione degli Hannover, in particolare grazie al personaggio chiave di Guglielmo III d’Orange. Che spodestando, con le sue armate d’Olanda, l’antico stile del governo personale basato sul concetto del diritto divino, ripristinò l’importanza del Parlamento e portò oltre la Manica assieme al suo seguito, in maniera del tutto incidentale, una vasta collezione di usanze e metodi tipicamente continentali. Tra cui un’evoluzione più che mai recente del tradizionale jenever dell’alchimista Franciscus Sylvius de Bouve, o distillato di ginepro, originariamente impiegato come medicinale e che si diceva potesse donare il leggendario coraggio dimostrato dalle truppe olandesi durante l’ancora recente guerra degli ottant’anni. Ora dovete considerare che all’epoca, bere acqua era sostanzialmente ed effettivamente pericoloso, per l’assenza di acquedotti moderni e norme d’igiene tali da garantire l’assenza di batteri pericolosi. La letterale proliferazione di pub nei più diversi recessi di Londra e le numerose città costruite sul suo modello, aveva dunque uno scopo ben più che mirato al semplice intrattenimento. Ma in questi luoghi, prima di allora, si beveva per lo più birra, un sostanza dalla gradazione alcolica per lo più trascurabile, che non dava particolare assuefazione né causava disordini sociali. Ben diversa fu quindi, fin da subito, l’effetto del gin, il cui stesso processo produttivo massimizzava il suo contenuto alcolico, generando una miscela dal notevole potere inebriante. Per comprendere, in una sola immagine, la differenza giustamente percepita tra le due alternative, possiamo fare riferimento alla famosa stampa di William Hogarth creata per accompagnare il Gin Act, Beer Street & Gin Lane, dove gli abitanti della prima strada citata vivono una sorta d’utopia industriosa ed allegra, bevendo generosi boccali del percepito nettare degli dei. Mentre i loro dirimpettai, dediti alla diabolica sostanza importata dall’Olanda, appaiono affetti dalla più assoluta disperazione, trascurano i figli, muoiono letteralmente di fame perché non sono più in grado di lavorare… Questo, sostanzialmente, era il gin, all’epoca della sua prima massima diffusione. E guardatelo oggi! Di certo, ne abbiamo fatta di strada…

Tra i principali meriti della cultura architettonica inglese, va certamente citata la capacità di coniugare l’antico e il moderno, in un solo discorso organico e continuativo nel tempo.

Una visita alla distilleria di Laverstoke può dunque costituire una scusa per conoscere più da vicino i processi di un sapore ed un mondo finalmente riabilitati. Ma anche l’opportunità di gettare uno sguardo verso il futuro, di un mondo in cui nessun quantum energetico potrà più andare sprecato, e persino il calore stesso, prima di andare ad appesantire l’atmosfera, potrà ritornare alla terra da cui proviene, per nutrire e ed alimentare le prossime generazioni vegetali. La varietà di gin Bombay Sapphire che viene prodotta oggi, a partire dal 1985 con la rinascita formale dell’azienda, non ha moltissimo a che vedere con la bevanda che fu popolare all’epoca dell’impero anglo-indiano, ragione stessa del suo nome dal suono distante. Il prodotto moderno vede in effetti l’aggiunta, tra i suoi botanicals, di prodotti all’epoca estremamente preziosi, quali i grani del paradiso africani e le bacche di cubab provenienti dall’isola di Java. È indubbio, tuttavia, che il processo di produzione resti fondato sugli stessi principi generativi e le antiche metodologie.
Potrà continuare ad esserlo, per i molti secoli a venire? Ciò dipende da molti fattori. Ha fatto notizia, nel corso dell’inverno, l’inclusione nella banca dei semi protetti nei magazzini sigillati degli Orti di Kew a Wakehurst, nel Sussex, anche il ginepro inglese, recentemente attaccato in massa dal fungo Phytophthora austrocedrae, nonché soggetto al consumo continuativo da parte d’ingenti popolazioni di cervi e conigli. Verrà forse un giorno, in cui la preziosa pianta crescerà solamente in serra, come già avviene presso la notevole distilleria dello Hampshire… E sarà allora, che guarderemo indietro con rinvigorito interesse. Pensando che sarebbe stato più semplice, in ultima analisi, mantenere in funzione il sistema normativo del categorico Gin Act.

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