L’esperimento dei vortici nella piscina

La differenza fondamentale tra un atto di fede e la scienza, è che nel primo caso si guarda una tempesta che si avvicina all’orizzonte, esclamando: “Ecco, succede ogni volta che una dannata farfalla decide di battere le ali all’altro capo del pianeta.” Mentre nel secondo si prende l’insetto, lo si sbatte dentro a un tunnel del vento e si cerca di comprendere il perché. La fondamentale verità dell’Universo, dopo tutto, è proprio questa: che non è per niente facile capire la verità dell’Universo (prima e seconda regola di Tyler Durden) per cui occorre combattere ogni giorno, i preconcetti e le problematiche nozioni che si basano sull’apparenza, ben prima di avere realmente accesso alla camera segreta di quel club. Perciò questo esperimento, purché realizzato in base al giusto metodo, anche in assenza di preparazione formale e avanzatissimi strumenti di laboratorio, può servire a fare un passo avanti delle proprie percezioni, aggiungendo benzina, come sua utile prerogativa, all’inesauribile falò delle domande. Perché esistiamo? Da dove veniamo? Per quale ragione, immergere un piatto di ceramica nella superficie perfettamente piatta di una piscina come un remo genera due grossi buchi neri, che s’inoltrano a pari velocità verso il bordo contrapposto, scansando via o attirando, in alternanza, tutto ciò che trovano sul proprio cammino? Sarebbe bello poter dire che si tratta di una questione fatta oggetto d’innumerevoli ricerche, all’interno di strutture dedicatagli appositamente nella sterminata planimetria del CERN di Ginevra. Ma la realtà è che la prima a porsi, pubblicamente ed in questi precisi termini, la domanda in questione, sembrerebbe essere stata Physics Girl (alias Dianna Cowern) produttrice di contenuti digitali col bollino della PBS, un consorzio di stazioni televisive pubbliche statunitensi. Seguire la sua avventura in merito, capace di attrarre oltre 5 milioni di curiosi online, può costituire una valida via di accesso a studi più specifici ed approfonditi.
Punto primo: avere la piscina. Il che potrebbe voler dire, nel caso di alcuni di voi, uscire di casa, recarvi presso un’agenzia immobiliare, comprare ad un buon prezzo, fare i lavori, fare l’installazione, prendere la pompa, tenerla in posizione finché non è piena, sedervi nuovamente al computer e continuare a leggere le mie istruzioni. Oppure, andare dal vicino. Fatto? Ottimo. Il motivo per cui l’esperimento non può essere realizzato al chiuso, nella semplice vasca da bagno, potrebbe essere innanzi tutto la mancanza di spazio, ma ancor prima di questo l’assenza di una fonte di luce molto forte e distante, il nostro amico Sole, che trasformi le increspature da voi indotte nella superficie dell’acqua in lenti naturali, in grado di modificare quello che si vede e permettere, volendo, di riuscire a catturare la metaforica farfalla. Perché è di questo, in effetti, che si tratta: volendo fare come la nostra Virgilio in questo tuffo negli abissi del metodo scientifico, dovrete immergere il disco dell’implemento conviviale con gesto limpido e preciso, spingendolo innanzi con una sola mano. Il che dovrebbe generare senza falla, a patto che l’acqua sia sufficientemente limpida e piatta, la coppa delle sopra menzionate anomalie, create a partire dai rispettivi bordi dell’oggetto in contrapposizione, pronti a continuare per inerzia il movimento indotto dalla nostra operazione.
Ora se vogliamo semplicemente assumere una posizione spontanea, potremmo dire che il verificarsi dell’evento sia una semplice dimostrazione di “Quello che succede immergendo un piatto in una piscina.” Ma ciò sarebbe controproducente, in effetti, all’intero scopo dell’operazione. Ed approssimativo, sopratutto a fronte di quanto ci viene mostrato subito dopo: Physics Girl che getta un po’ di colorante sopra uno dei vortici, e quello che si affretta a formare una sorta di arcobaleno all’inverso sotto la superficie dell’acqua, in grado di collegarlo al suo gemello alcuni centimetri più in là. Nella risposta alla domanda del perché questo succede, a conti fatti, si annida il dubbio su uno dei fondamentali misteri del cosmo stesso.

In un secondo video, la scienziata mette in pratica i suggerimenti ricevuti dai suoi spettatori, dimostrando quello che succede al doppio vortice in presenza di ostacoli inamovibili (un palo) o mobili e leggeri (una pallina da ping-pong).

La presenza stessa di una regione di un fluido (acqua o aria) in cui il flusso ruota attorno alla linea di un asse, generalmente implica la presenza di un gradiente di frizionamento. Il che significa che una certa quantità di detta sostanza, sottoposta ad un moto lineare, come quello di un piatto spinto in avanti, ne incontra una massa stabile ed immota, come l’acqua della piscina, e tende in maniera innata a trascinarla via con se. Ma quest’ultima, per inerzia, tende a contrastarla, finendo per venire influenzata solamente in una parte, quella più vicina all’asse del vortice, mentre il resto dell’ammasso resta nello stato precedente, opponendo resistenza. Al prolungarsi della situazione di disturbo, quindi, il vortice continua la sua marcia, senza mai accelerare, ma mantenendosi costante fino al termine del suo movimento. Il che non spiega, del resto, perché il gesto della sperimentatrice abbia generato non uno, bensì due vortici collegati tra di loro, in apparente violazione del principio di causalità. Finché non si arriva alla comprensione, con un semplice balzo concettuale, di come i due buchi neri non siano altro che le rispettive parti visibili di un vortice generatosi, in effetti, lungo l’intera curvatura del piatto, in funzione dello stesso gradiente su descritto. Con la forma definita geometricamente di un anello toroidale (estrusione circolare di un cerchio…) Il che comporta prendere in considerazione una visione bidimensionale, la superficie della piscina, e connotarne l’effettivo funzionamento col motore operativo della parte sommersa e tridimensionale, secondo quanto dimostrato dal movimento del colorante aggiunto da Physics Girl. Vi ricorda niente?
È un luogo che ricorre nella letteratura di fantascienza, nel cinema e qualche volta, anche nella ricerca scientifica che l’ha generato. Benché costituisca un concetto tanto lontano dall’effettiva dimostrabilità, da appartenere al regno della pura e più sfrenata teoria. Lo chiamano ponte di Einstein-Rosen, dal nome dei suoi due scopritori formali in epoca moderna dopo le prime teorie azzardate di Ludwig Flamm nel 1916, ma probabilmente lo conoscerete con il termine anglofono di Worm Hole. Il buco del (oppure per) il verme, attraverso cui ipotetici alieni sapienti, o futuribili astronauti Interstellari somiglianti a Matthew McConaughey ed Anne Hathaway potrebbero coraggiosamente inoltrarsi, al fine di trovarsi teletrasportati all’altro capo dello spazio visibile tra questa o altre galassie. Tutto questo grazie al princìpio dell’entanglement quantistico, secondo cui in determinate condizioni, per quanto ci è possibile osservare, le informazioni e cose sembrerebbero trovarsi in due luoghi nello stesso momento. Pensate, ad esempio, all’esperimento della doppia fessura. Naturalmente, le somiglianze tra il doppio vortice sulla superficie dell’acqua ed un’anomalia iper-gravitazionale della materia non vanno particolarmente… A fondo (Ah! ah!) Benché siano comunque presenti: perché entrambe le condizioni mettono in moto una situazione in cui la luce viene intrappolata e modificata, attraggono o respingono gli oggetti, e sopratutto, si trovano principalmente nello spazio di una dimensione normalmente non osservabile: la parte sommersa della piscina, in un caso, e l’inconoscibile estensione di una dimensione alternativa, nell’altro. Non si può, davvero, comprendere la quarta dimensione. Poiché non possiamo vederla, visitarla o usarla in alcun modo… Per ora. È tuttavia possibile tentare di visualizzarla, per inferenza, attraverso la messa in pratica di un semplice gioco in piscina.

Lo stimato divulgatore scientifico Destin Sandlin, nell’ormai remoto 2011, realizzò un video su questo stesso fenomeno, osservandolo però dal punto di vista di una delle sue maggiori passioni: l’aeronautica.

Anche senza volersi inoltrare troppo nella metafisica, ad ogni modo, l’esperimento del piatto è utile a dimostrare quanto meno il principio dell’equazione di Bernoulli, secondo cui maggiore è il moto indotto in un fluido, minore risulterà essere la sua densità. Il che ci riporta ai princìpi generativi dell’effetto-vortice, che costituisce, tra l’altro, una delle basi stesse dell’attività del volo a motore. Anche se, va specificato, la portanza di un’ala non è soltanto dovuta al differenziale di frizionamento tra l’aria che passa sopra la forma bombata di quest’ultima e quella sottostante (altrimenti, come farebbero gli aerei a volare anche al contrario?) bensì dalle interazioni di tale fenomeno con l’angolo di attacco, che gli permette di spingere l’aria verso il basso, ottenendo una spinta inversa secondo quanto determinato dalla fisica newtoniana. Ed è per questo che per volare a testa in giù, un aeroplano deve inclinare il muso finché l’angolo dell’ala cessi di essere parallelo al suolo, continuando, tuttavia, a generare gli stessi vortici del piatto di Physics Girl.
La madre della scoperta, l’abbiamo così dimostrato, resta pur sempre la curiosità. Ma vuole il caso che non esista abbastanza colorante alimentare da riempire alcuno dei buchi neri alla nostra portata, che sono decisamente pochi o a vole dire il vero, nessuno. Così che, l’esperimento in quel caso diventa decisamente più complicato. Possibile che l’unica cosa da fare sia buttarcisi dentro, con l’astronave, la tuta spaziale e le razioni K portate a bordo assieme alle patate da piantare sul terzo pianeta di Trappist-1? Questo, probabilmente, lo sapremo soltanto fra mille generazioni. O forse no: dopo tutto, chi ha detto che il buco del verme si sposti soltanto nelle regioni più prossime dello spazio-tempo… O forse dovremmo dire, tempo-spazio…

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