L’era dei kayak flessibili nel mondo delle city car

Yegorov, che hai fatto? Dove sei finito? In mezzo agli alberi tra la foresta, nelle regioni montuose dell’Alto Karabakh, per un viaggio di scoperta e perfezionamento di alcune delle tue più formidabili idee? Scusa il senso di sorpresa. È che fa un certo effetto vedere un individuo in grado di esercitare con successo la professione della legge dentro a un’aula di tribunale (dopo tutto, il nome completo del tuo canale è “Advocat” Yegorov) intento ad impugnare una struttura lignea nella mano destra, con la prua puntata verso il cielo neanche fosse la spada di He-Man. Poi naturalmente, approfondendo, tutto inizia ad apparire più chiaro. Questo eclettico YouTuber, che molto evidentemente appartiene alla generazione dei maker per essendo anche un emulo del grande ed indimenticato MacGyver, possiede il dono ormai piuttosto raro dell’inventiva manuale, unito a un desiderio di spontanea condivisione benevola a vantaggio della collettività. Non c’è niente di commerciale o finanziario, esclusa una pur comprensibile richiesta di raccolta fondi per i suoi prossimi “viaggi”, nell’impresa qui documentata con pedissequa attenzione al benché minimo dettaglio. Eppure il video è anche molto chiaramente un tutorial, orientato a trasmettere ai visitatori una corposa parte del know-how necessario per farsi emuli di un tale co(r)po di genio. Che consiste, essenzialmente, nella soluzione più valida a un problema decisamente di vecchia data: come potrei mai riuscire a vivere più intensamente la natura, se la mia Smart, pardon, la Tata Lada, è troppo piccola per ospitare uno scafo intero? Come porto sulla scena del delitto, inteso in senso buono, un battello che possa permettermi di pagaiare, pagaiare fino al luogo pre-determinato per potermi mettere a pescare? La risposta che ci viene offerta, in questo caso, è particolarmente interessante e al tempo stesso, prettamente russa per definizione: ciò che serve, è appena il giusto grado d’ingegneria del senso pratico applicata. Che poi vorrebbe dire, costruirselo nell’ora del bisogno, spasibo tovarish.
Il che ironicamente, può diventare molto facile, se si dispone di un coltello, una tenda, capacità di falegnameria medio-avanzate, l’esperienza pregressa per creare un meccanismo totalmente innovativo per il blocco della stoffa, tale che in altri paesi al mondo, tra cui certamente gli Stati Uniti, l’inventore sarebbe subito corso a farselo brevettare. Ma che ci vuole, niente, è facilissimo. Davvero?! Yegorov, una volta giunto presso il suo campo base, che ricorda vagamente una versione più industrializzata di quello usato da un altro celebre autore di video-tutorial, l’australiano Primitive Technology con la sua schiera di mini-abitazioni fatte a mano, tira fuori dalla “cupola portatile” una perfetta struttura in legno, ricavata da rami semi-flessibili di pino, faticosamente attorcigliati e quindi uniti assieme con colla, incastri ed altri metodi ingegnosi. Ciò che ne risulta, essenzialmente, non è altro che uno scheletro del suo kayak finale, poco prima che si passi al secondo capitolo della vicenda. Ed è allora che le cose entrano nel vivo: perché la tipica imbarcazione degli Inuit, che in italiano viene spesso definita per antonomasia una “canoa” benché quest’ultima dovrebbe provenire dalla trazione canadese e presentare caratteristiche del tutto differenti, non fu generalmente costruita da pannelli solidi di legno, bensì fatta con pezzi di pelle della foca (povera foca!) cuciti assieme attorno alla struttura interna. Il tutto con un peso trascurabile, per facilitarne il trasporto. Il che, tradotto in termini moderni, diventa prendere un telo impermeabile e riuscire a metterlo in tensione, costituendo il bolide che possa sopravvivere alle onde, purché non troppo intense. Il nostro Avvocato si è persino premurato d’impiegare, come accennato poco sopra, un metodo di bloccaggio della stoffa di sua concezione, consistente essenzialmente in una serie di chiusure plastiche a scatto simili a dei tappi di barattolo, che offrano il vantaggio di non rovinare in alcun modo la stoffa. Affinché essa possa, giunta l’ora della tarda sera, riguadagnarsi l’uso progettuale originario: far da scudo alle intemperie. Il che porta al desiderio e alla questione intensa, che può essere tradotta nella domanda a seguire: non si potrebbe costruire un kayak smontabile come una tenda? Ebbene eccome, se si può…

Promuovere un prodotto nell’era di Internet significa ad oggi, sopratutto, disporre di un video di presentazione adeguato. La Justin Case Kayak in questo non ha nulla da invidiare, vista l’assistenza ricevuta in Montenegro dal loro membro operativo Nikita, descritto come “atleta ed avido viaggiatore.”

Durante la seconda guerra mondiale, le forze speciali inglesi erano solite impiegare un particolare tipo di imbarcazione con struttura in alluminio, definita cockle, che poteva essere ripiegata su se stessa ed inserita in una borsa nel giro di pochi minuti, per tornare disponibile a missione completata. Purché il nemico offrisse un tempo simile una volta ritornati sulla spiaggia. E…Chi l’avrebbe mai detto, dopo tutto? Che una simile cosa sarebbe ritornata in auge così tanti anni dopo, sulla base di un presupposto totalmente nuovo: non evitare di attrarre l’attenzione indesiderata da parte delle guardie appartenenti alla fazione dell’Asse, bensì occupare spazi che si possano vedere come ulteriormente ragionevoli, più facili da attribuire. In un mondo in cui le case sono piccole, i mezzi a motore sono piccoli e l’umanità sembra vivere in anticipo l’ansia inutile della sovrappopolazione. O forse, diciamo la verità, si tratta unicamente di crisi economica, ovvero assenza delle risorse finanziarie che ebbero a disposizione i nostri genitori. Fatto sta che in un simile scenario occorre reinventarsi, ed è proprio a questo che servono portali come Kickstarter, luoghi utili a raccogliere i finanziamenti della gente per qualcosa che sia di sicuro impatto, innovativo o in qualche modo interessante.
Come l’invenzione di Inna Morgan, ragazza canadese che all’intera questione sembrerebbe aver pensato veramente molto a lungo, per giungere alla concezione del suo innovativo Justin Case Kayak (il “se proprio càpita” kayak) una fenomenale mini-imbarcazione che può essere facilmente smontata e riposta nell’apposita borsa, del peso di appena 2,7 Kg. Dico, vi rendete conto? Come un computer portatile + laptop + lettore di e-book. Ma volete dirmi voi cosa ve li siete portati a fare quelli, durante un viaggio tra foreste canadesi o le regioni gelide dell’Alto Karabakh? Molto meglio uno strumento come questo, che nel giro di una decina di minuti (15 la prima volta, qualcosa in meno una volta fatta pratica) può diventare l’analogo moderno del vascello degli Inuit fatto in pelle di foca, permettendo di decidere, sull’onda del momento, che il sentiero della propria escursione ha la meta successiva proprio nel bel mezzo di un lago…Oppure a valle di un invitante fiumiciattolo, ed è quindi giunta l’ora di sfoderare la propria arma segreta. Il Justin può tra l’altro fregiarsi dell’impiego di un tessuto esterno in materiale ripstop, analogo a quello dei moderni paracadute. La resistenza alla foratura, dunque, parrebbe essere notevolmente superiore a quella della tenda usata da Yegorov. Viaggiare col kayak del resto, viene alquanto giustamente spiegato sul video del prodotto, significava pianificare ogni spostamento tenendo conto dell’ingombrante massa del gravoso pezzo unico in fibra di vetro o plastica, generalmente plasmata grazie al processo industriale del rotostampaggio. Mentre non è affatto detto, né in alcun modo necessario, che le cose continuino per sempre ad essere così. Per lo meno in futuro: attualmente, la campagna di Kickstarter di Inna è stata improvvisamente e stranamente interrotta sulla cifra dei 50.000 dollari raccolti, apparentemente nell’attesa di riuscire a implementare alcuni miglioramenti progettuali entro l’epoca di quest’estate. Allo stato attuale dei fatti, ad ogni modo, si prevede un prezzo unitario di 790 dollari, sensibilmente inferiore alla concorrenza. Benché volendo spendere qualcosa in più, le alternative non manchino affatto. Anzi…

Attenzione: un assemblaggio incorretto potrebbe limitarsi a produrre una versione ingigantita della gru di carta giapponese.

La risposta essenzialmente alla domanda che potreste o meno aver posto: “E nel caso, diciamo ipotetico, in cui io sia del tutto inetto nel montare una tenda, quindi figuriamoci un kayak?” C’è una soluzione valida, sul mercato, persino a questo apparentemente insormontabile problema. È un altro prodotto della piattaforma di crowd-funding Kickstarter, al quale riuscì nel 2013 di raccogliere ben 443.000 dollari sugli appena 80.000 richiesti, riuscendo quindi subito ad entrare in produzione. Grazie all’approccio molto interessante all’annoso problema di un kayak pieghevole: renderlo formalmente ed a tutti gli effetti tale, neanche si trattasse di un origami giapponese (da cui, per l’appunto, il nome). Basta guardare l’affascinante video per comprenderne il funzionamento: due allegre ragazze californiane che raggiungono, assai probabilmente, quella stessa costa di Mendocino dove l’inventore ed imprenditore Anton Willis ebbe la capacità di farsi venire l’idea, con al seguito corpose, ma non pesantissime borse. Simili a cartelle d’arte, ma che nascondono, al loro interno, altrettanti kayak a tutti gli effetti già fatti e finiti. Tutto quello che occorre, una volta in spiaggia, è infatti dispiegarli, chiudere i blocchi in materiale plastico e varare il proprio affidabile dispositivo. Con una semplicità, e rapidità, tali da fare l’invidia dei commandos britannici armati fino ai denti di appena una settantina d’anni fa. Certo, questa immediatezza di utilizzo non è priva di un costo, tale da posizionare gli Oru su un segmento che parte dai 1.175 dollari di base, per un peso complessivo non inferiore agli 11 Kg. che potrà sembrare irrisorio per il semplice tragitto auto/acqua ma credetemi, inizierà a farsi sentire nel corso di una lunga escursione in mezzo alla foresta.
Per chi volesse disporre, dunque, dell’assoluta libertà procedurale, l’unica scelta davvero valida rimane attendere la commercializzazione dell’alternativa canadese. O fare come il carpentiere autodidatta russo, che la barca l’ha creata direttamente in loco, spinto innanzi dalle semplici ragioni del bisogno. Resta totalmente vero il fatto che, ad ogni modo, la mente umana non fatichi troppo a interpretare il nesso di un problema. Ed a ciascuno di essi, riesca sempre a generare una valida e perfetta soluzione. Ora, se soltanto fosse possibile ripiegare anche la macchina e infilarla nella borsa, senza più doversi preoccupare del parcheggio. Quella si, profonda fisima dei tempi odierni (ed urbani)…

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