L’assioma del falchetto che usurpa le dimore dei pennuti africani

In una superficiale, ma formalmente corretta affermazione pronunciata da un personaggio di una recente serie di fantascienza (possibilmente o meno estratta dall’originale romanzo cinese) lo scienziato parte dell’iniziativa extra-terrestre affermava: “La lingua degli uccelli prevede soltanto due tipi di affermazioni: sono io, sono io. Oppure, accoppiamoci, accoppiamoci.” Egli tralasciava tuttavia, più o meno volontariamente, la terza tipologia di affermazioni dei volatili: “Se fai soltanto un altro passo, te ne pentirai.” Ed appartiene molto chiaramente a questo ambito la dimostrazione squillante effettuata pressoché continuamente dagli appartenenti alla compatta specie Polihierax semitorquatus, più comunemente detti falchi pigmei, rapaci straordinariamente affascinanti che possiedono il quasi-primato di essere i secondi più piccoli al mondo. Ma non per questo meno intimidatori verso topi o altri piccoli mammiferi, con i loro artigli uncinati, il becco appuntito ed il fiero cipiglio di un sergente consumato sulla linea del fronte di un’antica battaglia. Quella per la sopravvivenza, s’intende, che porta simili creature non più lunghe di 20 cm (circa i due terzi di un comune piccione) a sfidare enfaticamente esseri più grandi di loro, così come l’istinto gli ha insegnato a fare per proteggere i confini del proprio territorio e quando ne hanno donde, la preziosa dimora con il prevedibile corredo di uova. Il che non significa che lancino il proprio grido di sfida, accompagnato dalla danza guerresca che li porta a sollevarsi ed abbassarsi ritmicamente, per ogni minuto che trascorrono di veglia; naturalmente, dovranno anche cercare una compagna e procacciarsi il cibo. Ma di certo, tendono comunemente a farlo ogni qual volta un essere umano ne prende in mano uno e lo solleva innanzi all’obiettivo di una videocamera, il che può anche essere immediatamente interpretato come un senso di fastidio o di disagio per esser stati sottratti alle comuni circostanze della propria giornata in cattività. C’è del resto molto, nello stile di vita di questi uccelli perfettamente adattati alle oscillazioni climatiche della perturbazione di El Niño meridionale, che non può essere riprodotto fuori dai loro territori legittimi di appartenenza, che ne vedono due popolazioni distinte nella parte orientale d’Africa (Sudan, Somalia, Uganda) e i dintorni della punta di quel continente nell’emisfero australe (Angola, Sud Africa). Primo aspetto in assoluto, il loro particolare metodo di metter su famiglia all’interno di un luogo degno di essere chiamato casa, sufficiente a farne a tutti gli effetti una forma particolarmente funzionale, nonché predatoria e carnivora, di parassiti. Per il modo in cui s’insinuano una volta in età riproduttiva, senza particolari remore o esitazioni, all’interno di un condominio arboricolo gremito. Ma non prima di aver sfrattato, o più semplicemente ucciso, una piccola parte dei loro incolpevoli abitanti…

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L’oceano era invitante, il pescato abbondante. Scorgemmo all’orizzonte uno squalo rotante

Ogni tanto Mora si permetteva il lusso di porsi un paio di domande esistenziali. In quale maniera, esattamente, si era trovata in questa situazione assurda? Perché non aveva puntato la sua ventosa verso una pacifica balenottera, o tranquillo squalo elefante? Aveva sentito il racconto dei suoi simili che avevano finito per abbinare la propria esistenza a un capodoglio. E della scocciatura che rappresentava, ogni giorno, il modo in cui tali cetacei si tuffavano in profondità in cerca di prede, per poi tornare in superficie con tutta la rapidità e la grazia di un sottomarino nucleare. Eppure, anche considerando il modo in cui gli echeneidi raramente potessero scegliere l’ospite del proprio rapporto simbiotico, Mora non poteva fare a meno di sentirsi particolarmente sfortunata. Soprattutto dopo un atterraggio particolarmente violento, a seguito del balzo reiterato che costituiva ormai da tempo il suo (amaro) pane. “Dannato squalo, vuoi darti una calmata?” Imprecò tra se, mentre mangiava l’ennesimo parassita che aveva il potenziale di arrecare danni alla pelle ruvida dell’imponente creatura. “Dopo tutto quello che ho fatto per…” Ora il pesciolino dalla testa adesiva, poco più che una macchia sulla sagoma da 90 Kg del carcariforme, scorse sulla distanza il segno che stava per succedere ancora. Uno scintillante branco di aringhe, intente a muoversi placidamente lungo la colonna oceanica lungo la linea dell’orizzonte. Grosso errore. L’amico Spinny, che costituiva il suo veicolo e vivente dimora, diede lo strattone a lato che segnalava l’inizio della “caccia”. Se così fosse effettivamente possibile chiamarla! Affrettandosi alla velocità che un umano avrebbe definito di quasi 70 Km orari, lo squalo si avvicinò adesso dal basso al branco di prede inconsapevoli. Mentre il suo passeggero si preparava a quello che sapeva, malauguratamente, stava per accadere. Mora sentì la forza centrifuga che aumentava esponenzialmente, mentre Spinny si orientava verticalmente con il muso verso la luce di superficie. E girando, girando su se stesso penetrava a gran velocità nel nugolo d’impreparate creature. Mentre “Chomp, chomp!” facevano le sue mandibole, i denti lisci chiusi come implacabili tagliole. Finché la sua trivella, inevitabilmente, bucò il cielo. Mentre la piccola remora attaccata sopra il dorso, parzialmente e momentaneamente accecata dal formidabile flusso d’aria, tentava di tenersi attaccata…
Lo squalo rotante, nome scientifico Carcharhinus brevipinna, è la formale o pratica dimostrazione di quello che sarebbe possibile ottenere dall’evoluzione chiedendo d’imparare a fare una singola cosa molto bene, continuando a perfezionarla ulteriormente nel corso della propria esistenza. Un balzo alla volta, un pasto dopo l’altro, nell’effettiva definizione di una nicchia ecologica che nessuno, in alcun caso, avrebbe mai potuto tentare di sottrargli. Questo perché una creatura affusolata degli oceani, avendo la necessità di muoversi all’interno di un fluido, possiede inerentemente la dote di essere altrettanto aerodinamica all’interno della massa rarefatta che costituisce la nostra atmosfera. E nessuna barriera invalicabile, una volta che irrompe oltre il margine del primo e si ritrova nella seconda, può frapporsi ad interrompere il suo cammino…

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Adesso in giallo: il pesce che rivoluziona in un attimo il suo colore

Se lo sconcerto improvviso rappresenta una potente arma di difesa in natura, tra i banchi di sabbia alle propaggini occidentali dell’Oceano Pacifico (Indonesia, Filippine, Nuova Guinea…) figura una creatura tra le più inaspettatamente terrificanti dell’intero mondo animale. Nonostante, o forse proprio grazie alle apparenze: un piccolo pesce affusolato, tra i 10 e i 15 cm di lunghezza, la pinna dorsale piuttosto pronunciata e due raggi spinosi morbidi come coda. Una spina appuntita nell’opercolo branchiale. Superficialmente simile a una sardina, finché non compie il gesto per cui è famoso. “Pesce/tilefish camaleonte” è per l’appunto un altro nome degli Hoplolatilus chlupatyi, protagonisti della propria narrazione grazie ad una dote rara, ma tutt’altro che inaudita in ambito biologico. Quella di cambiare, pressoché istantaneamente, la propria estrinseca tonalità apparente. Poiché una descrizione tanto breve non potrebbe veramente rendere l’idea, lasciate dunque che connoti tale contingenza con la notazione della sua notevole, diabolica velocità. Siam qui di fronte, in effetti, a una creatura capace di essere arancione in partenza, viola subito dopo, quindi verde, blu elettrica, bianca ed infine gialla. Il tutto nel giro di pochissimi, spettacolari secondi. Qualcosa che pur essendo fisicamente possibile per maestri del camuffamento come i polipi o le seppie, non viene mai comunemente fatto da questi ultimi, proprio perché essi non ricercano l’aposematismo. “Se sei troppo visibile, eviterò di mangiarti” parrebbe l’essenziale sillogismo in base a cui prolunga la sua stirpe tale membro della famiglia cosmopolita dei Malacanthidae, biologicamente composta da planktivori scavatori di tane nei fondali soffici del proprio rispettivo areale di appartenenza. La cui tecnica di autodifesa sembrerebbe funzionare tanto bene da essersi guadagnata anche l’attenzione, non sempre desiderabile, degli umani. Con uno stato di conservazione largamente ignoto, il tilefish in questione ha cominciato in epoca recente a comparire negli acquari di mezzo mondo, costituendo un ornamento fuori dai parametri e il perfetto rompighiaccio per aprire la conversazione con gli ospiti di un appartamento. Senza tenere nel contempo conto, purtroppo, della relativa difficoltà nel mantenere simili creature in cattività, per il bisogno di nutrirsi di continuo e la poca inclinazione ad acquisire nutrimento da fonti non più viventi. All’inizio, in altri termini, di quello che potrà soltanto essere un lungo e laborioso processo di acclimatamento…

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Di scarabei antiacidi che sfidano i sensi unici e rinascono dal posteriore della rana

Ora sarà meglio che inizi a spiegarvi come ho fatto a ritrovarmi in questa situazione. Non è normale per noialtri prendere, in maniera più o meno intenzionale, il percorso relativamente oscuro della “retta” via. L’ano-nima condotta, il lato B, la strada ove non batte il sole. La Cloaca. Ma un insetto artropode lacustre deve fare, ciò che deve fare ovvero sopravvivere comunque, riportando indietro l’esperienza che contribuisce a renderlo davvero “maturo”. Poiché non puoi dire veramente di aver vissuto, finché non ha visto coi tuoi occhi compositi la disposizione interna degli organi del tuo nemico, in una sorta di lezione d’anatomia eccessivamente realistica, anche troppo calibrata sulla base della sperimentazione diretta. “Poteva essere la fine, invece è stato il nuovo inizio” amano da dire da queste parti. Che poi sarebbero l’intero territorio dell’arcipelago giapponese, oltre a Taiwan, Cina, Sud-Est Asiatico e il meridione di quel continente fino ad India e Pakistan. Con qualche piccola comunità distribuita in Arabia ed Australia settentrionale. Tutti luoghi in cui un Hydrophilidae o scarabeo raccoglitore d’acqua può ragionevolmente aspettarsi di prosperare, finché non incontra l’affamato anfibio che ogni giorno sogna, e con puro intento cerca di ottenere, la fagocitazione delle cose che zampettano ai vicini margini delle ansiogene impellenze. Insetti lunghi non più di 2-3 millimetri ma che cionondimeno possiedono, di loro conto, perfezionate strategie e risorse utili ad andare oltre. O come nel nostro caso di マメガムシ (il nome recita mamegamushi, puoi chiamarci se lo preferisci Regimbartia attenuata) l’assoluta… Immunità, nei confronti del pericolo pressante dell’altrui digestione.
Per la corazza chitinosa ma non solo, avendo ricevuto in dono dalla Natura l’ancestrale conoscenza e la prestanza fisica del tutto necessarie, per nuotare agevolmente lungo esofago stomaco, intestini fino alla letterale luce in fondo a un tunnel che sembrava non conoscere la parola fine. Laddove ogni essere che ha un punto d’ingresso deve necessariamente possedere, di suo conto, una possibile e altrettanto irrinunciabile via d’uscita. Benché non sia effettivamente scritto da nessuna parte che debba essere spaziosa, piacevole o dotata di un buon odore…

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