La macchina pensata per accoltellare il prato

Così il cemento, come l’asfalto, la plastica ed il vetro: sostanze solide che possono costituire SUPERFICI. Ciascuna delle quali è utile a uno scopo, piuttosto che ad un altro, suscitando inevitabilmente un vago sentimento: lieta soddisfazione. Un senso silenzioso di gratitudine, per la loro semplice esistenza. Perché…Sono artificiali? “L’ho creato, mi ubbidisce, lo rispetto. Reciprocità.” La natura non funziona in questo modo. Poiché pietra, suolo, addirittura una torbiera, contengono in se stessi il mistico principio della vita. La cosiddetta singolarità. Si può amare l’erba, mangiandola pensando di essere una capra. Non puoi rimanere indifferente. La si può anche, odiare. Ad esempio, se calpesti questi fili con un fine ben preciso: mettere la palla in buca, come gesto culmine di una partita a golf. Già, stiamo parlando di quel tipo di situazione, agonistico-procedurale. Il fairway, il green. Eagle, birdie, bogey. Senza passare per il rough. Mi raccomando (sarebbe un grave errore). Per non evocare quel grido silenzioso dal profondo dell’anima, che porta i praticanti di altri sport ad espletare con trasporto, ma che nell’ambiente, fine ed elegante, di un passatempo signorile degno di amministratori e presidenti, costringe a incamerare tutto dentro fino a che… Un giorno, per un apparente errore, si colpisce un po’ più un basso di quella pallina. Sradicando quella zolla con radici, erba e tutto il resto. Una vera e propria decapitazione. “Per Zeus, che scena orribilmente truculenta.” Fortuna che, una volta o più l’anno, il proprietario stanco di dover cercare i pezzi per rimettere in sesto l’autostrada per palline, affronta un simile problema in modo assai diretto. Mettendo in scena il più crudele, ed impensabile dei riti.
O almeno, così sembra. Vedere un aeratore per i prati all’opera, ricorda una scena di un film horror, in cui la vittima dell’assassino è stata assicurata al pavimento, prima di essere scacciata da questa valle di lacrime nel modo più lento truce immaginabile. I cinesi la chiamavano Lingchi, la tortura dei mille tagli, o in questo caso buchi. Realizzati grazie all’uso di una serie di sistemi, tra cui il più popolare è un semplice rimorchio da trattore, in cui la rotazione delle ruote mette in moto un meccanismo sussultorio, replicato in una moltitudine d’artigli, simili alle mani di un robot. Mentre il veicolo procede, quindi, il dispositivo infila tali punte dentro al prato, ricavando un buco dopo l’altro in serie pressoché ordinata, parallelamente l’uno all’altro. Per l’amante disinformato delle cose vegetali, è una scena niente meno che agghiacciante. Ecco a voi il perfetto prato, uniforme e splendido neanche fosse una trapunta, rovinato in modo sistematico, trafitto come San Sebastiano da infinite staffilate. Se fosse una creatura deambulante, il suo sangue ricadrebbe sulle mani del giardiniere. Se stessimo parlando del pianeta natio della principessa, pardon ammiraglio Leia, avremmo sentito “Milioni di voci che gridano terrorizzate e ad un tratto tacciono per sempre.” Vuole il caso tuttavia, che se gli ingegneri li progettano, le aziende specialistiche li  acquistano, e i gestori di country club li noleggiano, simili dispositivi abbiano uno scopo ben preciso e per così dire, fecondo.
Non è certo un mistero: l’erba dei campi da golf, in situazioni di gestioni ideali, ha sempre un aspetto che sarebbe riduttivo definire eccelso. Quel particolare colore, quella compattezza, la precisione dei contorni e dei confini definiti. Il che a pensarci non è poi così scontato, visto come ci siano sezioni, in modo particolare in prossimità della del punto di partenza e della buca, che vengono calpestate da molte dozzine di persone ogni giorno. E a scanso di equivoci, vi assicuro che i semi piantati all’origine della questione non erano certo appartenenti a una speciale varietà immortale. Nossignore, qui il segreto è un altro. Come nel caso di particolari tipi di foresta, che l’evoluzione ha preparato a ritornare uguale a prima dopo gli occasionali e devastanti incendi, l’accoltellamento sistematico del prato apre la strada a nuove geometrie di potenza. Quello che non ti uccide, può soltanto renderti più forte…

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L’oceano di mirtilli che riemerge dalla palude

Molti sono i segni della primavera nella boscosa regione geografica del Wisconsin, confinante con le acque gelide del lago Michigan e quello Superiore: la viola sororia, presente sull’emblema dello stato, sboccia in un tripudio di viola dall’emozionante intensità; il tasso nazionale si risveglia dal letargo, per andare in cerca di lombrichi, radici e frutti, prima di essere di nuovo sufficientemente in forze da tornare lo spietato carnivoro che era; mentre il pettirosso sugli alberi emette il suo canto melodioso, ettolitri di acqua vengono risucchiati dalle torbiere, permettendo a un tesoro di riemergere dal buio cupo delle Ere. Quel tipo di acquitrino, particolarmente tipico del continente nordamericano, in cui freddo e moto lento delle acque cooperano per creare un ambiente acido e limoso, in cui soltanto alcuni batteri e piante possono permettersi prosperare. Il che è fantastico per i contadini, che più di ogni altra cosa, aspirano alla purezza incontaminata delle proprie preziose messi, auspicabilmente impervie alle erbacce e ai bruchi predatori. Che fortuna! Dico questo, perché tra il vasto erbario locale, persiste da tempo immemore un particolare frutto, che non è una bacca nonostante le apparenze, la cui prerogativa principale è proprio il vivere felicemente sotto l’acqua che ristagna per l’intero inverno. È il cranberry (Vaccinium oxycoccos) altrimenti detto, per analogia genetica, mirtillo rosso americano. Oppure “Quella cosa con cui fai la salsa che poi metti nel tacchino degli amati Padri Fondatori” un punto fermo della Festa del Ringraziamento e del Natale, paragonabile per diffusione stagionale ad un’alimento come i nostri panettone o torrone. Il che pone, molto chiaramente, l’ora del raccolto non adesso ma in autunno. Quando finalmente, la mano sapiente del contadino ricoprirà di nuovo l’acquitrino di una rinnovata marea, tale da nascondere le piante per il tempo di qualche lungo minuto. Prima che il passaggio di un trattore, con le sue pale spietate, le separi dal loro dono “spontaneo” per l’intera umanità.
La produzione industriale dei mirtilli su larga scala è un’attività che non appartiene in modo particolare alle nostre terre, e benché la coltivazione della varietà nera (Vaccinium myrtillus) sia attestata, soprattutto sui monti del Centro e del Nord, nell’ora della raccolta ci si limita ad assumere un numero sufficiente di braccia, per coglierli uno ad uno esattamente come fossero dei pomodori. Mentre negli Stati Uniti d’America, luogo d’origine del vermiglio ossicocco, esiste un intero business plurisecolare dedicato a questa pianta, che attraverso numerosi esperimenti e qualche errore, è giunto alla codifica di un chiaro rituale delle stagioni, attraverso cui si ottengono due tipi di prodotto: imperfetto, pronto alla lavorazione (per fare succhi o salsa/marmellata) e perfettamente integro, inscatolato e pronto alla vendita nel reparto ortofrutta del supermercato. Forse contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, il più importante mercato dei due è il primo citato, poiché il mirtillo rosso mangiato a morsi ha un gusto piuttosto amaro che definire acquisito, sarebbe riduttivo. Chi lo acquista il più delle volte, vuole in effetti usarlo per fare la marmellata in casa. E a questo punto, perché non eliminare questo oneroso passaggio? Gli eventi, dunque, prendono il seguente corso: per tutto il corso dell’estate le piante, scoperte dallo strato protettivo d’acqua per stimolare la crescita con maggior quantità di luce e ossigeno, vengono mantenute umide e protette dal calore tramite l’impiego di sistemi d’irrigazione a getto. Nel corso di tale periodo, vengono noleggiate delle api al fine di impollinare il maggior numero possibile di nuovi virgulti, che assicureranno la continuazione della redditizia venture per ancora il prossimo anno a venire. Quindi, mentre il tasso torna finalmente satollo nel suo rifugio pedemontano, il contadino trascina le pompe idrovore fino alla torbiera e sposta l’interruttore sulla posizione “immettere”. Al che succedono, in rapida sequenza, due cose: le piante spariscono di nuovo e i loro frutti iniziano ferocemente a galleggiare. Questo perché all’interno del mirtillo maturo c’è uno spazio, attorno ai semi, in cui riesce a penetrare l’aria e resta lì dentro intrappolata. Il che significa che i frutti galleggiano, esattamente come innumerevoli boe di segnalazione. E per quelli più recalcitranti, il passaggio del trattore basterà a fare il resto. A questo punto lo spazio viene recintato con dei galleggianti morbidi in materia plastica, costringendo i mirtilli a raccogliersi attorno alla macchina che molto semplicemente, li raccoglierà.

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L’unico attrezzo che permette di rapire un albero

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Sentirsi piccoli non è difficile. Guardare fuori la finestra, verso il cielo vuoto e distante, o lasciar spaziare lo sguardo durante una scampagnata, per andare a perdersi con l’immaginazione tra le valli e i colli verdi, rotolando con la mente verso Sud. Un esercizio appagante, anti-stress, che aiuta ad allontanare la pressione gravosa dei propri problemi quotidiani. Ma che a volte, può peggiorare le cose. Per chi vive unicamente nel presente. Per tutti coloro che hanno una visione umanocentrica del mondo. Per chi ama i giardini piccoli, soprattutto perché in essi c’è il dominio della volontà sulla natura: quegli alberi e i loro svettanti rami! Le radici ben piantate, nel profondo della terra, che s’inoltrano fameliche tra i tubi che conducono alla propria sacra abitazione… Il tronco piantato, con le migliori intenzioni, dai precedenti proprietari del terreno, e che adesso incombe, prevenendo la realizzazione dei progetti che richiedono lo spazio per germinare. Si può giungere ad odiare una pianta? Probabilmente, si. E il séguito di questa storia, inevitabilmente, non ha proprio niente di particolare. Qualcuno impugna un’ascia, oppure una cornetta del telefono, con la stessa definitiva intenzione. Un taglio netto col passato, l’annientamento ostile della vita, affinché altri esseri, più vividi e fecondi, possano produrre nuove determinazioni degli spazi. Se invece il sentimento era più un senso vago di fastidio, oppure se si da valore all’antica forza stolida della corteccia, e si desidera evitare l’arbustocidio, allora si, che le cose iniziano a farsi veramente interessanti. E molto, molto complicate.
Intendiamoci, trapiantare un albero con la pala veicolare è un’attività che può trovare origine da molte specifiche necessità. Gli stessi vivai arboricoli, venditori di virgulti relativamente cresciutelli, difficilmente potrebbero affidarsi unicamente la metodo fondato sul sudore della fronte. Alcune amministrazioni cittadine particolarmente attente ai meriti dell’ecologia, nel frattempo, si affidano a sistemi simili per fare spazio alle loro nuove piazze o strade. Nessuna picea resta indietro! Nel caso di progetti architettonici di alto prestigio, invece, non c’è ornamento più efficace che un pino, un acero o un abete, rigorosamente già adulti e collocati ove lo sguardo dell’osservatore deve scendere verso il terreno, incontrando nuove linee del disegno avveniristico, o nel caso più meramente pratico, la semplice porta d’ingresso dell’edificio. Il punto di arrivo, insomma, quel buco precedentemente scavato nel terreno per accogliere il nuovo inquilino vegetale, può essere concettualmente anche quello di partenza: perché se lo scopo era soltanto TOGLIERE l’albero, perché mai fare tutta questa fatica? Che non è, sia  chiaro, di natura muscolare. Niente affatto, ed è proprio questo il punto: l’avrete certamente notato nel video soprastante della Treemovers, compagnia di Purcellville, Virginia, Stati Uniti, egualmente nota per la sua rapidità nel creare spazio a discapito dei nidi soprastanti, almeno quanto lo è per la sua nursery, presso cui è possibile acquistare molte specie differenti di portatori della corona di foglie: ciliege, querce, cipressi, salici piangenti… C’è n’è un po’ per tutti i gusti. Soltanto, prima di ordinare, vi consiglio di documentarvi con i video a seguire. L’operazione di trapianto, sotto diversi punti di vista, potrebbe risultare impressionante.
A cominciare dall’estrazione dell’esemplare scelto: nel caso mostrato in apertura, la pala veicolare impiegata per l’impresa era del tipo più grande, con lame curve concepite per adattarsi a molte dimensioni di albero senza tagliare una quantità eccessiva di radici. La quale, aprendosi lateralmente per avvolgere completamente il tronco, ha quindi iniziato a penetrare inesorabile nel terreno… C’era inoltre un attrezzo montato su un carrello elevatore e del tipo semi-troncato, su cui la compagnia faceva affidamento solo per scavare il buco di destinazione. È facile immaginare come un tale impiego in parallelo abbia velocizzato la missione.

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Come stampare facilmente una risaia

Rice Paddy Machine

Piccole dita robotiche, un comodo posto a sedere. Persino l’uso di un volante, per sterzare! Siamo, a quanto si desume dai cartelli, in una qualche zona rurale della Corea del Sud. Per assistere al funzionamento di un particolare metodo agricolo, che è al tempo stesso utile, geniale e letteralmente sconosciuto dalle nostre parti. Per il fatto che noi occidentali d’oggi, il riso, molto semplicemente NON lo trapiantiamo. Proprio così. Perché mai “complicarsi” la vita? Feh! All’epoca di Gutenberg, portare a termine la stampa di un volume non poteva prescindere da un certo senso di gravitas e responsabilità. Le rotazioni successive del torchio, sul cui pannello trovavano collocazione i singoli caratteri posizionati attentamente, la concentrazione, lo sforzo fisico e la soddisfazione, al termine, di avere in mano quella bibbia degna di un messale da basilica romana. Oggi, con le nostre “Xerox”, “Epson” e “HP” possiamo ripetere l’impresa alla pressione di un pulsante, o ancora meglio, un’icona priva di sostanza. L’interfaccia tra uomini e prodotto editoriale non fu mai più semplice, né bella o produttiva nella sua fondamentale essenza. Ma non è forse vero che, in questa maniera, abbiamo perso il senso antico di quel gesto estremamente significativo? I treni a vapore di un tempo funzionavano con il carbone, che necessitava di essere spalato a mano. Difficilmente, un tale impegno poteva essere ignorato. E se c’era una strada ferrata fino ad un distante luogo, potete starne certi, si trattava di una meta rilevante! Produrre musica dovrebbe richiedere uno strumento! Non l’impiego di un sintetizzatore per computer con capacità d’automazione… Dov’è finita ad oggi la creatività! Dove sono, il buon gusto ed il coraggio di studiare?
Ogni quindici giorni, un aviatore si sveglia in California. Ben sapendo quale sarà il compito della giornata: di buon ora, recatosi alla pista di decollo, solleva momentaneamente gli occhiali da Sole, per fare un saluto al suo datore di lavoro milionario. Sale quindi a bordo del suo monoposto Piper PA-25, accende il GPS e scalda un po’ il motore. Poi parte e vola fino alla destinazione. Un sofisticato sistema a guida laser, incorporato nel suo meccanismo di rilascio del carico, prende contatto con le guide automatiche posizionate a terra. Tutto quello che costui dovrà riuscire a fare, quindi, sarà transitare sopra il campo parzialmente allagato. Attendendo che la triangolazione dei suoi movimenti, un prodotto dei numeri gestiti dalle macchine, permetta al sistema di capire quando rilasciare i semi. Nel giro di qualche decina di minuti, l’opera sarà compiuta: un intero potenziale raccolto del cereale più completo e nutritivo in assoluto, sarà ben posizionato e pronto a crescere, nell’immediato o prossimo futuro. Parassiti permettendo. Ma è dopo tutto proprio a questo, che servono i pesticidi. E l’alterazione genetica dei semi! Tutto questo, senza neppure la necessità di bagnarsi i pantaloni, WOW. Evviva, evviva la modernità!
Nel frattempo, in terra d’Asia Meridionale, diciamo…Thailandia, Vietnam, Filippine…Un gruppo di lavoratori si ritrovano su appuntamento, presso le proprietà di un imprenditore agricolo locale. Come da prassi lungamente acquisita, sollevano una per una le zolle di terra dell’apposito recesso, in cui erano stati piantate le sementi migliori. Ora cresciute, fino allo stato di piantine verde brillante, finalmente grandi abbastanza da sopravvivere nella risaia vera e propria. Quindi, camminando faticosamente dentro l’acquitrino, costoro le separano una per una dalla massa aggrovigliata, infiggendole nel suolo alla distanza di 30 cm una dall’altra. Sapienze secolari guidano i loro gesti. Al punto che ciascuna potenziale erbaccia o infestazione d’insetti è largamente nota, con tanto nome, cognome e numero di previdenza anti-sociale. E ogni qual volta dovesse sopraggiungere un problema, questo potrà essere estirpato, o sterminato, con le loro stesse esperte mani. La missione: un’impegno quotidiano a stare curvi, dandosi da fare. Il mal di schiena: un vecchio compagno d’avventure. Ora, di sicuro ci sarà una funzionale via di mezzo tra i due estremi fin qui descritti….

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