Toro rosso, questa non è un’esercitazione! Portate qui le bibite. E le ali?

Per centinaia, migliaia di anni essi hanno atteso in mezzo ai “semplici” bovini. Silenziosi agnelli, attenti a ogni dettaglio e indistinguibili dai loro fratelli e sorelle. Ma determinate condizioni o allineamenti astrali, nei momenti cardine delle alterne vicende, la loro unicità è venuta in superficie, inconfondibile, cromaticamente singolare. Le corna lunate che disegnano un profilo tra la gente. Splendenti d’energia riflessa, sotto un sole che non può comprendere il costrutto artificiale della pietà. Vi siete mai chiesti perché tra tutti i modelli animaleschi disponibili, il Diavolo sia stato tradizionalmente rappresentato con la coppia di protrusioni craniche tipiche di un maschio d’artiodattilo? E a voler dare un più specifico ambito d’appartenenza, proprio l’animale che diventa cibo sulle tavole di plurime nazioni terrestri! Creatura ragionevolmente rassegnata al proprio ultimo destino. E molto spesso, caratterizzata da un contegno ragionevolmente mansueto. Ma se il rapporto tra bestie sovrannaturali ed uomini si è sempre ragionevolmente configurato attraverso il culto delle immagini, non è davvero semplice ignorare… Quell’aspetto. Di colui che qui vediamo comparire all’improvviso, giù dal retro di un rimorchio agricolo. Per dare un senso alla parola: luminosità.
Così ha circolato, negli ultimi tempi, una crescente serie di commenti in merito al breve spezzone trasformato in gif, come di consueto privo di contesto, di una simile creatura tra i cerchi concentrici dei social network, hub memetico-sociali e gli altri “soliti posti” del mondo di Internet. Cui può dare un certo grado di soddisfazione, sulle nostre vecchie pagine, attribuire un nome e un luogo: Cu Chi (Cicogna) ed HCM (Ho Chi Min City). Sotto l’egida ed il marchio dell’allevatore Dang Van Ghen, riconoscibile dal suo inseparabile cappello Panama marrone. Ausilio d’altra parte utile perché, contrariamente a quanto si potrebbe tendere a pensare, di animali come questi ce ne sono vari esempi. Dislocati in vari luoghi del Sud Est Asiatico, dove di volta in volta vengono chiamati “un miracolo della Natura” o “casi di uno su svariati (?) milioni di esemplari”. Poiché siamo qui al cospetto, ed è senz’altro produttivo sottolinearlo, non di un maschio qualsiasi di mucca bensì il tipico rappresentante della specie Bubalus bubalis, anche detto bufalo d’acqua per la sua affinità ed adattamenti evolutivi al pantano. Nel presente caso connotato da una qualche tipo di anomalia genetica, probabilmente sufficiente a renderlo leucistico seppur non propriamente albino. Anche perché in tal caso, il colore degli occhi avrebbe dovuto tendere a un vermiglio decisamente più intenso. Ma perché, allora, il nostro amico non si presenta semplicemente in bianco, sotto la sua fine peluria? La risposta, a quanto pare, può soltanto provenire dal suo possessore…

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La mappa genetica che conduce al leggendario risultato del topo d’oro

Un lungo condizionamento contestuale assieme al peso della convenzione digitalizzata che convergono nella necessità fondamentale di acquisire la “cosa più desiderata”, “l’oggetto/soggetto del desiderio”, “il cruccio dell’anelito primario”. Persone, cose ed animali, se non la risultanza delle prime, per il tramite delle seconde, all’interno dell’insieme immaginario dei terzi; ovvero in altri termini, il muride comunemente noto col vezzeggiativo linguisticamente invariabile di Pikachu. Ma c’è qualcosa di ancor meglio, nella logica del collezionista, che è possibile riporre nell’involucro della prototipica sfera Poké. Sto parlando, chiaramente, di un topo elettrico di un giallo LEGGERMENTE più scuro. Shiny è il termine che viene riferito al singolo esemplare di creatura di quel mondo che ha un colore differente, perciò inerentemente più rara e dunque preziosa. Ma nel mondo reale tale ideale categoria di esseri è generalmente fluida al punto di poter includere, di volta in volta, tutti gli animali poco noti che assomigliano a una varietà più comune. Il che implica, molto più spesso di quanto tenderemmo a pensare, l’intromissione più meno diretta della mano dell’uomo. Nel caso dei topi comuni d’altra parte, con la loro vita breve e la ben nota capacità di proliferazione, gli aspiranti allevatori hanno molto di cui divertirsi. Una creatura intelligente, semplice da nutrire ed ancor più semplice da accudire, che può essere addestrata ad obbedire ad una larga varietà di comandi. Finché l’onda inarrestabile delle generazioni non permetterà, dopo poco più di un ciclo di stagioni, di poter apprezzare il risultato del proprio specifico processo di selezione. Fino all’ottenimento di un qualcosa di talmente eccezionale, così straordinario e fuori dal comune, da sembrare non meno fantastico di un Charmander verde oliva.
Così la foto che vedete qui sopra, avendo circolato orma da più di cinque anni online (tanto che il soggetto sarà ormai da tempo transitato a miglior vita) è stata laboriosamente ricondotta al suo autore e proprietario del topolino, l’utente Sapphiresenthiss del portale Deviantart, che oltre ad un’interesse per i disegni a tema supereroistico del genere slash (d’incontri romantici tra eterni nemici) parrebbe avere l’interesse duraturo nell’allevamento di tarantole e roditori. Speriamo all’interno di gabbie ben separate. E qualifica il suo notevole beniamino come appartenente alla “razza” dei Satin Texel, sulla base della classificazione utilizzata nel corso degli show di settore. Ora come potrete facilmente comprendere, vista la complessità inerente nella definizione di categorie all’interno della famiglia Muridae a maggior ragione risulta difficile inserire le risultanze d’innumerevoli processi paralleli di perfezionamento genetico all’interno di macro-categorie universalmente riconosciute, come le razze di cani e gatti. Tanto che si usano, in maniera molto pratica, dei tratti di riconoscimento multipli al fine d’identificare l’effettiva schiatta del partecipante all’estetica tenzone. Di cui queste, potrete facilmente apprezzarlo, sono due delle più altamente desiderate…

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L’eccezionale maxi-pecora che rappresenta l’opulenza del popolo senegalese

In un tempo antecedente ai faraoni, quando l’intera area geografica dell’Africa saheliana non era stata ancora occupata da un vasto deserto, le genti di lì apprezzavano a pieno lo stile di una vita nomadica, fondata sulla caccia e la raccolta delle abbondanti risorse naturali terrestri. Fu soltanto sei migliaia di anni dopo, attorno al 7500 a.C, che l’avvicinarsi della fine dell’epoca Neolitica portò alla formazione di un diverso approccio all’esistenza. Con la creazione d’insediamenti permanenti e campi coltivati, gli uomini e donne di quel continente cominciarono a costituire un lascito tangibile, destinato a culminare con la messa in opera delle grandi piramidi e gli altri monumenti egiziani. Eppure ormai a quel punto, soltanto pochi luoghi potevano essere ancora definiti fertili, ragion per cui le nazioni limitrofe dovettero trovare una risorsa alternativa per poter alimentare la propria economia. Così fato volle che un tale tesoro sarebbe giunto camminando sulle proprie stesse zampe, incoraggiato dai commerci, inizialmente attraverso l’istmo di Suez e la penisola del Sinai. Si trattava della pecora domestica (Ovis aries) principalmente del tipo dotato di una coda lunga e sottile. Mentre soltanto a numerosi secoli di distanza, probabilmente per il tramite del Corno d’Africa e le altre regioni orientali del continente, una diversa varietà di ovini avrebbe avuto modo di essere importata, con la loro coda corta e ideale per l’immagazzinamento del grasso. In forza della mera logica delle distanze impercorribili, soprattutto al di là di una barriera paesaggistica come un mare di sabbia inadatto alla transumanza, i popoli dell’Occidente africano avrebbero tratto il principale giovamento dalla prima delle due varietà, selezionata attraverso le generazioni al fine di ottenere un animale perfettamente adattato al clima secco ed arido dell’entroterra. Con gli antenati pressoché diretti di razze come la Touabire della Mauritania e la cosiddetta pecora moresca o Bali-Bali originaria della regione del Mali. Due esempi esteriormente ben diversi, ma fisiologicamente altrettanto validi, di animale domestico capace di fornire latte, lana e carne ai propri proprietari, senza interruzioni di alcun tipo nella propria devozione ed i servizi resi all’umanità. Finché a qualcuno, in epoca particolarmente recente, non sarebbe venuto in mente d’incrociare membri delle due razze contrapposte, creando qualcosa di assolutamente inusitato: una sorta di super-pecora, se vogliamo, più grande, forte e resistente, ma soprattutto distintiva nell’aspetto con il suo muso convesso, la colorazione bianca ed a macchie e le corna ritorte sia nei maschi che nelle femmine. Sto parlando della Ladoum, così chiamata dal nome della tribù Ladem situata nella regione di Hodh El Gharbi, in Mauritania, che soltanto negli anni ’70 dello scorso secolo iniziò a trarre grande beneficio, e notevoli vantaggi economici, dall’allevamento di questa particolare creatura di 114 cm al garrese per 175 Kg di peso. Caratteristiche più che sufficienti a far classificare la pecora nel gruppo degli animali da fattoria medio-grandi, benché il pelo corto e poco vendibile ne avrebbe certamente limitato l’importanza nel mondo dei commerci. Se non fosse stato per l’imporsi di un singolo, fondamentale tratto culturale legato ai rituali di una delle principali religioni al mondo…

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La saga della mucca creata geneticamente per salvare il popolo cubano

Viene dato per scontato quale sia l’amico più sincero e duraturo, tra le multiple creature della Terra, dell’umana società indivisa: il cane, la creatura che più di ogni altra ci assomiglia per contegno empatico, bisogno di attenzioni e tipologia d’intelligenza. Se la stessa domanda fosse stata rivolta al sedicente Líder Máximo nel suo momento di più alto e incontrastato potere, quando l’Unione Sovietica aveva ancora le risorse, e la ragione di fornire il supporto necessario a mantenere prosperosa un’isola situata nei Caraibi a largo della costa statunitense, egli non avrebbe certamente esitato nell’andare controcorrente… Che a Fidel Castro piacessero in modo particolare i bovini, e ciò che questi erano in grado di donarci a seguito di una convinta mungitura, era cosa particolarmente nota ai servizi segreti di mezzo mondo. Inclusa la CIA, che oggi sappiamo aver tentato d’istigare l’assassinio negli anni ’60 del più longevo detentore del potere assoluto in Occidente dopo la fine della monarchia, colpendolo attraverso ciò che amava più di qualsiasi altra cosa. Un frappè al latte, che doveva essere contaminato preventivamente con la tossina del botulismo. Se non che la capsula letale, tenuta nel tipo sbagliato di frigorifero, finì per rompersi perdendo il suo letale contenuto per un errore dell’agente incaricato. Mentre il bersaglio, del tutto inconsapevole del rischio corso, continuava lietamente per la sua strada. Un sentiero che l’avrebbe portato in modo del tutto collaterale, a partire da quel fatidico momento, a coltivare la sua passione per l’industria casearia con l’intento che soltanto una figura della sua caratura, e con le istituzioni di un’intera nazione al proprio servizio, avrebbe mai potuto pensare di perseguire. Una finalità nobile, per lo meno in linea di principio; battere il capitalismo in ciò pareva riuscirgli meglio di qualsiasi altra cosa: nutrire il popolo tramite l’applicazione delle regole del pubblico mercato. Ma come avrebbe potuto beneficiare di tutto questo un paese costruito secondo i crismi di un’utopia Marxista-Leninista, se non esportando un prodotto che fosse migliore, a minor prezzo e proprio perciò maggiormente competitivo della concorrenza? Fidel non aveva dubbi in materia. Sui verdeggianti pascoli di Havana sarebbe dovuta nascere, entro la fine della decade ulteriore, una razza di mucche migliori. Perfettamente adattate al clima dei tropici, al punto da poter raggiungere una vetta di efficienza precedentemente ritenuta indubitabilmente remota.
Dovete considerare, a tal proposito, come l’industria zootecnica bovina fino a quel momento non avesse avuto particolare fortuna in quelle terre, complice una sfortunata dicotomia di proposte. In primo luogo la ben nota razza Holstein, fonte instancabile della stragrande maggioranza del latte europeo e statunitense, sfortunatamente incapace di sopravvivere, o quantomeno prosperare, alle temperature giudicate normali al di sotto del 24° parallelo. Dall’altra parte lo zebù indiano (Bos taurus indicus) chiamato cebu da queste parti, perfettamente trapiantato nelle verdi valli ma purtroppo notoriamente inefficiente nella produzione del candido fluido nutriente ricercato da coloro che avevano deciso d’intraprenderne l’allevamento. Ed proprio dall’unione ideale tra i due reciproci princìpi contrapposti che il sedicente dittatore avrebbe ricercato la maniera di uscire dall’impasse. Attraverso la comunione, coadiuvata dalle avveniristiche tecnologie di fecondazione artificiale, tra ciò che la natura non era mai stata in grado di congiungere autonomamente. Il che non voleva d’altra parte significare che l’uomo, di suo conto, avrebbe dovuto limitarsi a guardare…

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