Golfista-per-caso inventa la mazza robotica definitiva

Immane lo sforzo ma grande la soddisfazione, di riuscire in qualcosa che non è parte del nostro sentire quotidiano. Scendere in campo, anche letteralmente, tra i fronzuti fusti della sfida e cercare non soltanto di tenersi al di sotto della loro ombra, bensì lanciare palle verso il cielo ed oltre tali ostacoli, fino alla buca della consapevolezza ulteriore. Poiché golf non è soltanto un modo per passare un pomeriggio in mezzo a prati ben tenuti, sotto il solleone che c’illumina con il suo sguardo indagatore; giungendo, piuttosto, a realizzare il sogno di un predominio strategico sul territorio e le regole del tutto arbitrarie, nonché fastidiose, che determinano la traiettoria di una pallina. Ma che dire di coloro che, nati con due mani sinistre, semplicemente non comprendono gli astuti metodi per compiere la marcia fino al green? Chi si ergerà a proteggere il loro diritto a far di tale sensazione un punto cardine della giornata ideale, che inizia con la nascita e raggiunge il compimento il giorno dell’improvvida ma inevitabile dipartita dai viventi? Shane Wighton, qui presente titolare del canale StuffMadeHere, sembrerebbe possederne il potere, pur non avendone il dovere, il che del resto non ha fatto nulla per fermarlo dal percorrere la strada che conduce all’ultima risoluzione dell’idea. Pensiero che conduce nel caso specifico, alla creazione di un oggetto al cui confronto Excalibur parrebbe un mero gioco per bambini: elettronica, robotica ed analisi statistica, fatte convergere in un crogiolo perfettamente coerente ad uno scopo, e quello soltanto! Condurre il pegno con la forma di un piccolo globo dalla superficie complessa fino alle radici dell’agognata bandierina, per 18 volte fino all’ultimo coronamento di una delle più stimate competizioni sportive tra gentlemen, uomini d’affari e presidenti degli Stati Uniti dalla folta chioma elettorale.
Il tutto per uno di quei video, estremamente rappresentativi della maker culture (tipica dei cosiddetti “artigiani digitali”) in cui non soltanto l’attrezzo pseudo-sportivo viene messo in opera e testato, bensì spiegato in ogni sua parte neanche si trattasse di un vero e proprio tutorial per la sua riproduzione. A partire dal driver relativamente a buon mercato fatto a pezzi e utilizzato come base, per l’immediata sostituzione della testa dietro elaborazione di un meccanismo che consentisse, in parole povere, di “scegliere” la distanza di ciascun tiro, mediante inclinazione operativa di un vero e proprio attuatore robotico, di quelli usati per la maggior parte dei progetti basati sull’architettura hardware Arduino, creata originariamente in Italia presso l’IDI di Ivrea. Soluzione che costituisce nel caso specifico un punto d’arrivo, piuttosto che la partenza, mirante a risolvere una questione tutt’altro che scontata: come far muovere a comando e in tempi sufficientemente brevi un meccanismo, al tempo stesso leggero e capace di resistere alle quasi due tonnellate di forza assorbite per un brevissimo istante dalla parte finale della mazza, senza che ogni singolo componente acquistato off-the-shelf, e concepito per utilizzi decisamente meno estremi, finisca per andare in mille pezzi ad ogni singolo tentativo d’impiego….

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L’astuto richiamo della rana con il muso di un formichiere

Succede ogni anno con l’arrivo della primavera, particolarmente nelle abitazioni rurali: un suono fastidioso che ricorre verso le ore diurne, prodotto dall’insetto che non ha paura di farsi trovare. Grillo, grillo, grillo (sono io) continua a reiterare, nell’egoistica speranza che qualcuna, di passaggio, resti catturata da quel suo richiamo. E non importa quanto, con enfasi e attenzione operativa, si tenti disperatamente di trovarlo per farlo tacere. Il cantore non potrà far altro che spostarsi, mettersi più in alto e dare fondo nuovamente al repertorio. Immaginate dunque di svegliarvi, per un caso del destino, presso un resort verso l’entroterra della catena montuosa indiana dei Ghati occidentali. Ove fin da tempo immemore, il richiamo per l’amore mattutino maggiormente conosciuto fu associato al semplice frinir del vento, o insetto invisibile delle boscose circostanze. Poiché questo sibilo strozzato, simile alla tromba di un giocattolo per cani, pareva provenire tanto spesso da radure ove non c’era nessun tipo di animale, nascondiglio o altra maniera per riuscire ad esibirsi rimanendo al tempo stesso lontano dagli sguardi dei predatori. Se non che costei, la rana Nasikabatrachus sahyadrensis, non ha bisogno di cespugli, tronchi o altre preminenze del paesaggio, poiché può creare il proprio spazio personale grazie ad un approccio che ricorda quello della talpa: semplicemente, scavando.
Strano ma vero? Sono certo che non avrete mai sentito parlare di una rana che emette il suo richiamo, rigorosamente durante la piovosa stagione dei monsoni, dalle ctonie tenebre della sua tana. Forse disinteressata alle limitazioni acustiche di tale scelta, oppur costretta, dalle circostanze, a rimanere sottoterra fino all’ultimo secondo. Con una lunghezza di 45-48 mm in un’area come quella delle cosiddette “Benevole Montagne” cionondimeno abitate da una grande quantità di mammiferi e rettili aggressivi o in qualche modo spaventosi, tra cui mustelidi, macachi, tigri e lucertole iguanidi, per non parlare delle popolazioni umane locali tradizionalmente abituate a mangiarla, questa creatura non può dunque far altro che anteporre la propria personale incolumità, facendo in tal modo seguito al comportamento adottato nel corso del resto dell’anno. Una vita trascorsa interamente nella sua buca segreta, facendo affidamento sulla sola lingua lunga e tubolare per catturare formiche o termiti di passaggio, una dopo l’altra, senza neanche muoversi sulle zampe lunghe o flessuose. Quanto detto, naturalmente, non può che dare a intendere una morfologia piuttosto distintiva, che oltre alla pelle spessa e violacea ricoperta di muco, da cui la rana prende il nome, vede la presenza di un naso estremamente caratteristico ed appuntito, spesso paragonato nella descrizione tassonomica a quello di un suino. Un approccio pur pseudo-scientifico, nelle descrizioni di quest’animale, che possiamo aspettarci di trovare soltanto a partire dal 2003, anno della sua recente classificazione o ancor più tardi per quanto riguarda la Nasikabatrachus bhupathi, specie cognata che vive dall’altra parte dei rilievi montuosi dei Ghati occidentali, regolando le sue tempistiche biologiche sui venti monsonici di Sudest. Entrambi esseri, del resto, la cui esistenza era già nota alle popolazioni native ed i cui girini erano stati già classificati e messi in relazione potenziale tra di loro, benché l’esemplare adulto fosse ancora nascosto agli occhi attenti dei ricercatori. Girini la cui storia inizia, d’altra parte, in maniera assai particolare…

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Il verme che si occulta per combattere la tirannia delle formiche

Puoi essere forte, scaltro e preparato. Puoi avere la saggezza e vagonate di prudenza. Puoi metterti alla testa di un esercito da un milione di zampe, il cappello di Napoleone di traverso sulle antenne. Ma ci sarà pur sempre un istante, un singolo fugace momento, in cui farai un passo di troppo, scivolando dentro quello spazio che è sinonimo della tua fine. Una depressione nella sabbia, ben poco visibile, con la forma (gli italiani la direbbero “dantesca”) di un cono rovesciato verso le profondità del sottosuolo. Con pareti ripide composte da sabbia estremamente fine, posta in bilico in prossimità dell’angolo di resistenza al taglio, non troppo lontano da un’inclinazione di 100 gradi. Niente di davvero problematico per tutti coloro che, come gl’invincibili imenotteri del formicaio, possiede la capacità di arrampicarsi su qualsiasi superficie, sia pure liscia e verticale come una finestra. Purché non succeda l’imprevisto, nell’imprevisto: che qualcuno, o qualcosa, posto in fondo a un simile pertugio, inizi all’improvviso ad agitarsi, scagliando micro-grammi di quel materiale tutto attorno e sopra la tua testa con mandibole vibranti d’ira. Causando lo scivolamento, senza scampo, fino al centro di quel vortice privo d’ogni speranza. Lasciandoti soltanto il tempo di contorcerti e gridare: “Aiuto, salvatemi o verrò mangiato da un form- formicaleone!” BZZ-T! ERRORE!!
Avete mai sentito pronunciare il detto: “Ci sono più cose in Cielo e nel Deserto…” E strano certamente a dirsi, esistono anche due diversi tipi di creature, entrambe larve di un qualcosa di volante, che costruiscono la propria tana nel sostrato sabbioso del sotto/suolo. Con modalità perfezionate per ghermire, come un falco all’incontrario, coloro che si dimostrassero abbastanza folli da percorrere il sentiero soprastante. E non siamo qui a parlare, quest’oggi, del più tipico e ampiamente conosciuto mirmeleontide (fam. Myrmeleontidae) con le sue mandibole a tenaglia, bensì del vero ispiratore, all’insaputa di chiunque, del mostro noto come Sarlacc, che avrebbe divorato Boba Fett nel corso del terzo (sesto?) episodio della serie Star Wars. Il quale compariva sullo schermo, ricordiamolo soltanto per un attimo, con la forma non dissimile da un grosso verme. Un palese riferimento ai divini Shai-Hulud della serie di romanzi Dune di Frank Herbert, noto ed indiretto ispiratore della saga, ma anche un semplice richiamo alla famiglia di creature artropode note come vermileoni (in latino Vermileonidae) con la loro rilevante abitudine di tendere agguati a noialtri spuntini deambulanti, che viviamo alla luce dei molti Soli della galassia. Con un riferimento leonino presente nel proprio nome, comune alla succitata e per certi versi simile creatura appartenente all’ordine dei Neuroptera, che potrebbe di certo lasciar basiti, finché non si pensa al nome anglofono del grosso ed insaziabile formichiere, concorde nell’apprezzare una tale dieta: antlion per l’appunto, o “leone delle formiche”. Benché di un simile felino, ben poche caratteristiche siano presenti, all’interno di ciò che inizia e termina la propria vita come un dittero, o in altri termini, una mosca (potremmo addirittura definirla cavallina…)

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Berezniki, un’intera città che rischia di sprofondare nel sottosuolo

La città si staglia in controluce sull’orizzonte, mostrando agli spettatori il suo volto composto di magazzini, abitazioni e altri edifici. Ma la sua essenza, ovvero il significato di quello che abbiamo davanti, non può essere raggiunto altrettanto semplicemente dagli occhi umani. Poiché si trova, a tutti gli effetti, sotto terra. Stiamo parlando per essere chiari di un grande centro industriale nel territorio di Perm, circondario autonomo della Russia Occidentale, grazie ai suoi 156.000 abitanti il secondo più popoloso dell’intera regione amministrativa d’appartenenza. Almeno, fino all’epoca presente. Per il suo immediato futuro, non sono molti a poter fare ipotesi. E se aveste rivolto la stessa domanda a uno qualsiasi dei suoi residenti, all’epoca della fondazione nel 1873, avreste avuto più o meno la stessa risposta. Questo in funzione di un campo di lavoro d’epoca sovietica, costruito secondo il protocollo vigente nelle immediate vicinanze di una risorsa considerata importante per il paese, che si trovava sul più vasto singolo giacimento di potassio minerale scoperto a memoria d’uomo, talmente ricco da poter rispondere, ancora oggi, al 10% dell’intero fabbisogno mondiale. Ma non tutto è rimasto lo stesso, da queste parti ed il senso d’incertezza, che un tempo veniva considerato in positivo, conserva ormai le gravi implicazioni di un disastro incombente. La possibile fine immediata di tutto quello che è stato costruito dai sognatori e amministratori di un tempo… E la gente non può dormire, senza sognare di precipitare improvvisamente per un’estensione di fino a 50 piani, dentro il baratro della vecchia miniera.
Le prime avvisaglie si presentarono verso la fine degli anni ’80, quando a causa d’infiltrazioni d’acqua intere sezioni della fitte rete di tunnel sotterranei collassarono su loro stesse, permettendo l’apertura di alcune voragini nei boschi circostanti la città. Ma allora nessuno volle affermare, in maniera evidente, che lo stesso potesse verificarsi in maniera esplosiva da un momento all’altro, presso qualsiasi quartiere del centro abitato. Spesso càpita: nessuno vuole pensare al peggio, nel timore che ciò possa precipitare gli avvenimenti. Finché non diventa del tutto impossibile conservare l’ottimismo. Siamo a luglio del 2007 quando al centro esatto di una zona industriale cittadina, d’un tratto, inizia a comparire una crepa sull’asfalto. La gente, elaborando un immediato sospetto su quello che possa rappresentare, inizia rapidamente a lasciargli spazio. E questa è l’unica scelta che potesse salvargli la vita; nel giro di qualche minuto, la fessura diventa di forma perfettamente circolare, poi s’ingrandisce in maniera rapida e devastante. L’intera sezione di un magazzino scompare alla vista, mentre i materiali contenuti all’interno precipitano rapidamente verso il basso. Ma chiunque potesse pensare che il baratro fosse destinato a riempirsi immediatamente di tali detriti, ottenendo il risultato paesaggistico di un nulla di fatto, era destinato a venire ben presto a patti con la realtà. Di un letterale canyon largo 310 metri e lungo 393, con una profondità di 257, abbastanza vasto da giocarci dentro una partita di baseball della Major League.
Tale luogo sarebbe stato chiamato il Nonno, ed avrebbe continuato, un poco alla volta, ad ampliarsi con suoni terribili e roboanti, causati dal gas intrappolato sotto la superficie di questa terra, un tempo carica di promesse e possibilità. Nel 2010, quindi, avrebbe ricevuto un degno erede con il cosiddetto Giovane, una voragine meno imponente presso un deposito ferroviario, in grado di devastare un’intera linea di capannoni, lasciare i binari sospesi nel vuoto e costringere le abitazioni negli immediati dintorni ad una frettolosa evacuazione. Per un periodo di 14 lunghi giorni, quindi, ogni trasporto via treno del prezioso minerale di potassio venne temporaneamente arrestato, dando una spinta significativa all’esportazione dello stesso a partire dalle miniere canadesi, principali concorrenti sul mercato globale di questa importante risorsa mineraria, usata come fertilizzante, lubrificante, isolante e in campo medicinale. A partire da quel momento cominciò ad apparire evidente, più o meno a tutte le persone coinvolte, che nulla sarebbe tornato più come prima…

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