L’indissolubile legame che avvicina la tarantola alla rana

Sstrisciando ssilenziosamente, il sserpeggiante predatore sstava per colpire la sua vittima predesstinata. La ranocchia che friniva, sopra un ramo in terra ai margini della radura, inconsapevole di quanto ciò corrispondesse a render nota la sua posizione e conseguentemente, avvicinare la fatale ora della rettiliana fagocitazione. Per un solo istante e quello successivo, quindi, il ripetuto suono: rattle-rattle… rattle, rattle. Di un sonaglio suggestivo, per il modo in cui quel sanguinario si apprestava a pregustare il pasto saltellante, troppo stanco, oppure troppo innamorato per fuggire. Mentre il locale crotalo, pochi centimetri alla volta, allargava la sua bocca fino al diametro appropriato, 3 o 4 cm, non oltre, per farci passare quell’anuro soave. O almeno, questo è quello che sembrava stesse per succedere; poiché nel mentre che il carnefice si raccoglieva su se stesso, con la lingua biforcuta in vista e poco prima di colpire all’indirizzo della piccolina, la creatura sopra il ramo fece un lieve balzo, come richiamata dalla forza gravitazionale di un vicino pianeta, nel chiaro tentativo di portare a casa e in salvo la sua pelle bitorzoluta. “Ah, patetica illusa!” una spira dopo l’altra, sembrò pronunciare l’assassino sanguinario, veloce come un torrente in piena, ben sapendo che nel giro di pochi secondi l’avrebbe avuta, per raccogliere il suo premio delizioso. Se non che, saltando all’improvviso in direzione trasversale, l’esserino sembrò a un tratto scomparire nella sua buchetta. “Sei mia! Sei… Mia?” Sserpentile ssorpresa, ci puoi credere? A quell’ombra che riemerge, trasformata: un mostro? L’incubo con otto zampe? Dell’anfibio a questo punto, non v’è traccia. Mentre innanzi agli occhi spalancati dell’aspirante torturatore, pone lievemente a terra le appendici ricoperte di affusolati peli, coi cheliceri snudati e ripieni di veleno, il dorso in alto e gli occhi fissi senza un briciolo di umanità residua! Orribile, orribile trasformazione… Aphonopelma hentzi, la tarantola marrone del Texas: 12 cm di lunghezza, abbastanza da creare lo sconforto dentro al cuore di chi è coraggioso con i deboli, ma pavido, se gli conviene. Soltanto pochi attimi la serpe esita, prima di tracciare un solco ad U nel sottobosco, per tornare esattamente nella direzione da cui era venuta. Ed è quello l’attimo preciso, il fatale e indiscutibile momento, in cui si ode nuovamente l’insistente gracidìo. Stranamente carico di sottintesi, e un po’ beffardo, molto più di quanto lo sembrasse al primo volgere di questi eventi.
Gastrophryne olivacea è il suo nome, o rospetto bocca-stretta, di un anfibio con l’areale che si estende dalla parte meridionale degli Stati Uniti fino al Messico, il cui stile di vita include una specifica risorsa, non del tutto ignota nel regno animale. Quello di associarsi, in modo semplice e incruento, ad un specie molto più terribile o pericolosa di lui/lei, per beneficiare dell’inerente protezione che deriva dall’essere amico di un mostruoso satanasso invertebrato. Il ragno migalomorfo succitato, il quale apparentemente risulta solito riuscire a tollerare i suoi gracchianti richiami, secondo quanto ampiamente noto alla comunità scientifica fin dal 1936, grazie allo di un naturalista di nome Blair, citato nel 1989 dai suoi colleghi Reginald B. Cocroft e Keith Hambler mentre annotavano lo stesso atteggiamento tra una rana e un ragno peruviano (vedi a seguire). E particolarmente celebre su Internet, grazie all’immagine memetica dall’alta circolazione facebookiana, riportata al termine di questo articolo, che descriveva tale scaltra approfittatrice come “l’animale domestico” del mostruoso ragnone, nell’approssimazione ragionevole della trama di un cartoon. Laddove largamente pronte a rincorrersi tutt’ora, sembrano essere le ipotesi su cosa, effettivamente, leghi assieme le due tipologie di creature…

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Strana lucertola depone uova e partorisce al termine della stessa gravidanza

Con l’imminente occorrenza dell’annuale festività dedicata al risveglio climatico della primavera, laicamente associata alle peripezie del cosiddetto coniglio pasquale, torna a porsi l’annosa questione di quale dovrebbe essere, materialmente parlando, l’associazione tra l’orecchiuto piccolo mammifero e il contenuto del cesto che costui trasporta, nient’altro che il pegno interconnesso all’attività riproduttiva di pesci, rettili e uccelli. L’oggetto sferoidale, o per meglio dire ovoidale, che risulta naturalmente associato a specifiche occorrenze della ricombinazione biologica in Terra: giacché avete mai sentito parlare di un scoiattolo che si mette a covare, un cane, o cosa vieppiù maggiormente improbabile, mucche, cavalli o elefanti? “Assurdo!” Griderebbe vendetta la cognizione acquisita del senso comune, più che mai pronta a distinguere le bestie da un grado di sofisticazione “maggiore” che mai e poi mai, si abbasserebbero a separarsi dalla propria prole prima che possa muoversi e in qualche modo, sopravvivere in autonomia. Laddove l’effettivo studio dell’evoluzione, condotto sui fossili e le creature tutt’ora viventi, da tempo ci ha chiarito l’essenziale faccenda. Che passare all’approccio viviparo (partoriente) da quello oviparo, è una trasformazione di metodi relativamente breve, come tutte quelle interconnesse alle pratiche riproduttive, che avviene nel giro di appena una manciata di generazioni. Poiché comporta il disuso, e conseguente atrofia, di organi che possono coesistere con la placenta e talvolta, addirittura, essere impiegati in parallelo ad essa, in base al bisogno e il desiderio di una singola specie animale.
Che non può certamente essere, questo è palese, il fin troppo familiare coniglio, corrispondendo piuttosto (nel caso più celebre) ad un particolare aspetto della più comune lucertola, che tende immancabilmente ad essere scambiato per il suo cugino serpente: quel gruppo di scincidi (piccoli sauri cosmopoliti) dotati di zampe assai piccole e usate soltanto col fine di arrampicarsi, strisciando in modo sinuoso nel resto del proprio tempo, esattamente come il deprecabile essere che causò la nostra cacciata dal Paradiso terrestre. Notoriamente distinguibili, l’uno dall’altro, oltre che per la livrea delle loro caratteristiche strisce sulla pelle lievemente corazzata, in base al modo in cui sono soliti mettere al mondo la propria prole. Ed ancor più atipici nello stupefacente caso dello scincide australiano tridattile dal ventre giallo (Saiphos equalis) che addirittura mantiene entrambe le modalità disponibili a seconda dell’effettiva collocazione territoriale. Giacché, a quanto chiarito attraverso approfondite indagini, questa specie è solita mantenere i suoi piccoli fino alla nascita all’interno del proprio corpo, quando può godere dell’abbondanza di cibo delle pianure della parte costiera occidentale del suo paese. Preferendo piuttosto lasciarli relativamente al sicuro nell’uovo lassù, tra le montagne e colline dell’entroterra, dove avrà bisogno di tutta la propria sveltezza ed agilità per garantirsi adeguate speranze di sopravvivenza. Una questione già largamente approfondita da lunghi studi scientifici condotti attraverso svariate università. Immaginate dunque la sorpresa della biologa dell’Università di Sydney Camilla Whittington quando, durante uno studio di routine sulle caratteristiche del già noto animale, in versione ovipara, ne vide un’esemplare femmina mettere al mondo un figlio già perfettamente formato e del tutto privo di guscio, alcune settimane dopo che… AVEVA GIÀ DEPOSTO TRE UOVA. E il tutto senza ulteriori occasioni d’accoppiamento, potenzialmente in grado di sovrascrivere la sua preferenza genetica ereditaria. Riuscite ad immaginarlo? Il suono rimbombante delle certezze acquisite che s’infrangono, lasciando una pagina completamente da riscrivere sul funzionamento della vita animale. Un evento le cui radici potrebbero aver trovato l’origine secoli, per non dire millenni prima di questa fatidica scoperta…

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La lucertola ad anello che pensava di essere un drago

Tra le figure mitologiche capaci di comparire a più riprese attraverso i corsi e ricorsi della storia, il serpente Uroboro resta una di quelle dotate dal maggior senso di continuità: talvolta inteso come un reale essere gigantesco affine al mondo degli Dei, certe altre un mero simbolo alchemico o stregonesco, eternamente intento a mordersi la coda nel formare un cerchio dal significato che allude all’infinita ricorrenza dei cicli dell’Universo, per custodire gelosamente tra le sue spire il potere che perpetra, eppur rigenera se stesso. Mentre il drago come essere, può avere molti ruoli differenti. Guardiano, tiranno, esecutore di un destino apocalittico o di rivalsa, simbolo di un popolo o l’agente sulla Terra del demonio in persona… Difficilmente, dunque, ad un filologo o un artista umano, sarebbe venuto in mente di combinare due bestie mitologiche di così alta caratura, se non in quest’epoca del post-moderno, ovvero combinando per un esperimento o per gioco le loro principali caratteristiche esteriori. Il che, del resto, non è certo un passatempo originale: potreste crederci che fin da un tempo immemore, ci avesse già pensato la Natura?
Incredibile discrepanza tra l’aspetto leggendario e la mondanità di piccoli e benevoli predatori, senza nessun presupposto problematico per la catena alimentare. La famiglia tassonomica identificata con il termine latino Cordylidae, originaria unicamente dell’Africa Meridionale ed il Madagascar, contiene un certo numero di lucertole per lo più insettivore dalle dimensioni che si aggirano tra i 9 ed i 40 cm, il cui alterno percorso evolutivo sembrerebbe aver anticipato, in modo spontaneo, la fervida immaginazione di un illustratore fantasy dei nostri giorni. In modo particolare quando si scende dal fedele fuoristrada per un breve giro nelle aride distese del Karoo, il semi-deserto noto come “terra della sete” nella lingua dei nativi khoisan, e ci s’imbatte in un’agitata colonia di questi rettili intenti a prendere il sole tra le rocce, ciascuno ricoperto da una complessa armatura piena d’aculei e scudi interconnessi tra di loro, che li fanno assomigliare piuttosto da vicino a dei minuscoli armadilli o mostriciattoli vagamente preistorici o dragoneschi. Finché non iniziano a muoversi serpeggiando, a una velocità comunque relativamente bassa per quelle che si presentano, al secondo e terzo sguardo, come delle vere e proprie lucertole (qualsiasi protezione comporta anche un peso) tanto che una o più di esse, magari spaventata dalla nostra ombra, sceglie di fermarsi e assumere un diverso assetto difensivo. Ed è allora che la trama, per così dire, s’infittisce: perché è sotto gli occhi potenzialmente spalancati dell’osservatore, che l’animaletto si ripiega su se stesso, stringendo saldamente i propri denti acuminati sull’ultimo segmento della propria coda. La funzione di un simile comportamento appare piuttosto chiara, vista la scorza dura e le numerose escrescenze puntute che coronano la sua piccola forma, trasformata istantaneamente in qualcosa d’indigeribile per chiunque, tranne i più determinati e coraggiosi tra i predatori. Tuttavia è impossibile non ritrovarsi ad associare quest’insolita creatura al nume tutelare d’innumerevoli culti, religioni e discipline create attraverso i lunghi secoli dell’umanità.

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La rischiosa ricerca del più grande serpente domestico al mondo

È una qualità tipica delle leggende metropolitane, quella di riuscire a prescindere dall’attribuzione precisa di un momento ed un luogo. In alcune versioni di questa storia, i protagonisti sono una coppia di erpetofili americani, che avevano adottato un’anaconda nel caldo e accogliente stato della Florida. In altre, si tratta della disavventura vissuta da un ricco imprenditore indiano, che per accrescere il suo prestigio aveva scelto di accogliere in casa sua un pitone… Piuttosto grande. Diciamo, tra i 5 e i 6 metri di lunghezza. Ebbene indipendentemente dalla specie o paese di appartenenza, il racconto prosegue descrivendo il fenomenale appetito della creatura, cresciuta sin dalla sua giovane età nutrendola con degli esseri che corrispondessero al suo diametro maggiore: dapprima topi, quindi, polli e conigli man mano che cresceva, per giungere quindi ai maiali ed alla fine, almeno una volta ogni tanto, delle luculliane carcasse di cervo surgelate. Così che, ogni qualvolta uno dei proprietari apriva il terrario illuminato per accarezzare il proprio scaglioso amico, era il caso di frapporre un oggetto di qualche tipo tra esso e la mano umana, affinché nel suo vorace entusiasmo non finisse per mordere proprio l’unica persona che riusciva a riconoscere ed a suo modo, ad amare. Tutto ciò finché un giorno, all’improvviso, la bestia smise all’improvviso di mangiare. Completamente, per giorni che ben presto diventano settimane. Preoccupato per il benessere del suo serpente, il padrone decide quindi di trascorrere più tempo con lui, ed aperta la gabbia trasparente inizia a trascinarlo con se a fare il bagno, in giardino, persino sul letto matrimoniale di casa sua. Quest’ultima prassi, in particolare, sembra rassicurare il grosso rettile che sul morbido materasso, diventa completamente calmo, immobile e sembra distendersi a lato del suo padrone, mostrandosi totalmente timido e più che mai mansueto. Ed è a questo punto che nello svolgersi del mito, entra a pieno titolo il personaggio del salvatore: si tratta di un veterinario abituato alle visite a domicilio, contattato tempo prima dai padroni dell’anaconda o pitone, il quale telefona a tarda sera direttamente a casa del suo cliente: “Dove si trova adesso [REDACTED] e cosa sta facendo? Allontanatevi immediatamente, ripeto, lascia subito la stessa stanza in cui si trova il serpente. Stamane ho finalmente avuto modo di conversare con un esperto, ed ho scoperto l’origine del vostro problema: il rettile non ha perso l’appetito. Lui ha soltanto rinunciato temporaneamente al cibo, per prepararsi ad un pasto PARTICOLARMENTE grande. Hai misurato di recente il diametro raggiunto da [REDACTED]? Perché posso garantirti una cosa: ogni qual volta saliva sul letto, lui stava misurando il TUO. Questa creatura, questa selvatica, preistorica, gigantesca creatura, è probabilmente ormai pronta ad avvolgere le sue spire attorno ad un essere umano. Credo che a questo punto, avrai compreso di chi si tratta…”
Un’altra caratteristica di simili storie, almeno quelle migliori, è che esse contengono una certa percentuale di fantasia, ed un’altra di verità. È ad esempio del tutto privo di base logica che un grosso serpente costrittore, per quanto possa trattarsi di creature dotate di una certa subdola intelligenza, sia in grado di “misurare” l’ampiezza o lunghezza del suo pasto, né di fare scelte in merito all’alimentazione sulla base di grossi banchetti futuri. Come tutti i predatori del mondo animale, è assai più probabile che l’anaconda o il pitone colga l’occasione nel momento stesso in cui percepisce che gli si trova innanzi. E se successivamente non dovesse riuscire a digerire un boccone troppo grande, potrà semplicemente provvedere a rigurgitarlo. Risulta invece ampiamente possibile, per non dire acclarato, che un serpente di questo tipo uccida e riesca fagocitare un essere umano. Diversamente da quanto si afferma generalmente sugli squali, per i quali un mammifero molto più piccolo di una foca e pieno di ossa costituisce un pasto assai poco soddisfacente, nel caso del mega-rettile possiamo tranquillamente affermare che un uomo o donna adulti corrispondano perfettamente ad una tavola imbandita in un pregevole ristorante. Nel caso dell’anaconda verde (Eunectes murinus) ad esempio, chiamata nel Sudamerica serpiente mata-toro (uccisore di tori) esistono plurime testimonianze di esseri umani attaccati e secondo alcune fonti, persino uccisi dall’animale. Spesso si trattava di situazioni in cui il serpente, per qualche motivo, si era sentito minacciato, inducendo in lui il riflesso automatico di balzare addosso all’umano, avvolgendovi attorno le sue spire e impedendo la circolazione del sangue, fino alla morte (contrariamente all’opinione comune, questi serpenti non uccidono per asfissia). Gesto a seguito del quale, inevitabilmente, hanno provato a fagocitare la propria vittima più o meno accidentale. Non si hanno notizie invece di anaconda domestiche che abbiano attaccato il proprietario, benché ciò possa essere attribuito alla comprensibile rarità con cui un serpente dal peso medio di 50-70 Kg venga accolto all’interno di un’abitazione. Anche se, come potete osservare nel video di apertura girato dall’Università di Guadalajara per le scienze biologiche ed agricole, a casa di una donna amante dei rettili che resta purtroppo priva di un nome da ricercare, si tratti di una casistica tutt’altro che inaudita. Ed è palese, osservando la signora bionda col suo adorabile beniamino, che abbraccia ed accarezza sopra i cuscini del divano, lo stato pacifico e quasi sonnolento di un simile animale per lo più acquatico, il quale tirato fuori dal suo ambiente naturale, accetta di buon grado l’offerta di cibo periodica e le pacate moine. Diverso può essere invece il caso, a quanto è stato precedentemente chiarito da alcuni spiacevoli fatti di cronaca, delle creature appartenenti alla famiglia dei Pythonidae, suddivisi in 8 generi e 31 specie diverse. Tra cui le più grandi, notoriamente, vengono considerate “addomesticabili”. Almeno, da alcuni dei coraggiosi sostenitori di questo particolare segmento di mercato…

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