Gli stregoni del projection mapping giapponese

PICS Onna Nobunaga

Nel 58° anno di regno dell’Imperatore Suinin, tradizionalmente corrispondente al 29 d.C, un cane sbranò uno dei tassi della specie detta muinin, presso il villaggio di Kuwada, nell’ancestrale Tamba. Siamo, qualora dovesse interessarvi, pressapoco nell’odierna prefettura di Hyōgo, presso la sezione sud-occidentale del Kansai. Tale bestia selvatica, ovviamente, era una creatura magica in grado di mutare forma a piacimento – non che questo artificio sia servito a qualche cosa, in un tale caso dell’improvvido destino. Né ci è nota, del resto, la razza del carnefice canino: sarà stato forse un kaitoraken, cacciatore indipendente dalle strisce simili a una tigre. O magari il fido akita, difensore antico delle case contadine. Piuttosto che il minuto ma agguerrito shiba, dal rossiccio ghigno, carico di sottintesi… Poco importa. Trascorso un pomeriggio di angoscioso senso del rimpianto, il proprietario dell’animale, un tale di nome Mikaso, si decise infine a macellare la pelosa vittima delle pesanti circostanze. Ritrovando, con sua estrema sorpresa, un corposo calcolo di giada nello stomaco della creatura. Tale oggetto era grande all’incirca, per usare un anacronistico termine di paragone (benché assai diffuso, vista l’estrema adeguatezza) quanto… Una palla da baseball. E aveva la forma esatta di una virgola, con un foro nella parte larga del suo ghirigoro. Tale miracolo della natura, parimenti a un frutto generato dalla sommità di un albero divino, venne presto dato in dono al saggio governante Suinin, discendente della relativa Dea. Che portatolo su un monte, vi eresse attorno un santuario, il tempio shinto di Isonokami. Dove si dice che sia ancora custodita tale sacro tesoro, il venerando magatama.
Tra i tre emblemi della nazione giapponese, che includono la spada biforcuta della forza e lo specchio bronzeo della saggezza, nessuno è misterioso quanto quello strano manufatto, continuamente riprodotto, in mille forme e dimensioni, nei tumuli preistorici Kofun. Tombe di nobili, guerrieri e generali, la cui storia è andata persa tra le sabbie di un’arena troppo antica, priva di testimonianze scritte o durature. A parte le leggende come questa… Ma presente, in recondita potenza, tra le regioni occulte dell’immaginifica realtà. Ricostruite, ai nostri giorni, grazie all’uso del moderno proiettore?  Basti soppesare questo fatto: nella gemma c’era un buco. Dietro ad essa, fin dalle origini del mondo, la figura della suprema signora del Sole, Amaterasu, fonte di ogni lucido barlume di sapienza. A metterci davanti un libro, lei sarebbe presto diventata una candela, utile ad espandere la mente anche di notte. Ma collegaci un computer, per vedere cose che…
P.I.C.S.Co è l’azienda mediatica di Tokyo, qui egregiamente rappresentata dal creativo e direttore tecnico Nobumichi Asai, che si specializza in una recente e straordinaria forma d’arte, molto usata in campo pubblicitario: il projection mapping, che consiste nella mappatura di una superficie tridimensionale, sia questa un palcoscenico, un palazzo, un antico monumento (persino il volto umano) e proiettarvi sopra delle immagini create grazie agli strumenti digitali. Qualcuno ricorderà l’impiego che ne aveva fatto l’onnipresente multinazionale Sony in quel di Roma, appena l’anno scorso, per lanciare la PS4 usando le utilissime mura di Castel Sant’Angelo. Le alternative sono innumerevoli: persino un paravento, così facendo, può trasformarsi anch’esso in un castello. Un kimono nella veste fiammeggiante di un signore degli Inferi, finalmente rivelati al mondo della superficie. O persino di una signora, perché no, avvolta da un turbine di petali e di sangue rosa-fuchsia. Vedi la risoluta protagonista di questo memorabile segmento, realizzato per la promozione del recente serial televisivo Onna Nobunaga, in cui il massimo conquistatore giapponese, che aveva nome Oda e visse nel XVI secolo, veniva trasformato nella sua ipotetica sorella, qui l’unica figlia dell’anziano patriarca Nobuhide. Un interessante gioco sulle implicazioni della storia pre-moderna, questo, che trovava modo di concretizzarsi nell’onnipresente “regola 63” del web: “Per ogni personaggio di sesso maschile, qualcuno avrà probabilmente ipotizzato una versione al femminile.” A meno che costei non fosse, in realtà, solamente un tasso mutaforma della specie muinin. Chi lo sa.

Leggi tutto

Giocattoli resuscitati con la forza della grafica 3D

SIGGRAPH Tops

Gira, trottola. Vola, aeroplanino: te lo ordina il coprocessore. Per decreto di una sola mano, questa mia destra servitrice, che insistentemente clicca con il mouse. E a vantaggio della sua compagna, testimone immobile, mentre meditabonda scorre sulla barba bianca. Mai più dovremo attendere il flemmatico Babbo Natale! Per creare vita e dinamismo ludico, sarà sufficente averne il seppur vago desiderio. Ciò soprattutto grazie a questi due nuovi software presentati nell’ambito del SIGGRAPH 2014 di Vancouver, l’annuale conferenza tecnica, finita proprio ieri, sugli ultimi sviluppi della visualizzazione digitale. D’ora in poi la strada per comprendere il funzionamento delle cose in grado di librarsi, e soprattutto infonderla a piacere, sarà veramente breve. Purché almeno uno dei due progetti finisca per venire commercializzato! Allora, piuttosto che applicarsi a fondo producendo tali e tanti fallimenti aerodinamici, potremo procurarci la versione virtuale della fabbrica degli elfi con le scarpe a punta, assai diversa da quella tradizionale, perché accesa delle luci vulcaniche del demone informatico. Ma tanto simile nei risultati, senza le gelide problematiche del Polo Nord.
Cominciamo, per doverosa precedenza, da uno dei giocattoli più amati dai bambini, fin dalle epoche remote: il rapido cono appuntito, variopinto, secondo la tradizione in legno e metallo, in grado di ricevere ed amplificare il moto rotatorio indotto. Un dono al mondo offerto generosamente dalle leggi della fisica. Le quali talvolta funzionano in modo tanto affascinante ed indiretto, da poter carpire l’attenzione umana solo grazie a un solo gesto. Quello di due dita strofinate, con un perno in mezzo. O un trapano a mano, una cordicella, le varianti sono infinite…Ai tempi dell’Antica Roma, secondo Catone, cose del tutto simili, una volta messe in moto dalla gioventù perditempo, si disponevano su dei quadrati tracciati sul terreno. Con la finalità di occuparne alcuni, sopra gli altri. Era un passatempo, questo, molto meno problematico dei dadi, perché ben distinto dal concetto di gioco d’azzardo. O così dicono! Le trottole sono state trovate presso i siti archeologici di moltissime culture e varie civiltà, venendo sviluppate spontaneamente, quasi da un’applicazione naturale dell’ingegno umano. E ancora oggi, grazie a una patina d’innovazione, si ritrovano nei giochi e anime di grandi compagnie giapponesi, vedi la Takara Tomy con Beyblade, oppure nelle fantasie di quelle americane, tra cui la Disney, con questo progetto avveniristico e portato innanzi dalla sua divisione di Ricerca & Sviluppo, la Science at Play, con sede presso la città di Zurigo. L’idea è veramente innovativa, benché venga da lontano: da tempo, in effetti, esisteva il concetto delle trottole asimmetriche. Una versione del giocattolo in questione dotata di una forma fuori del comune, in grado di ruotare solamente grazie ai contrappesi posti nel suo interno. In tale maniera, quasi da sempre, era possibile far girare su stesse ballerine, elefanti, draghi, uccelli e così via, ma che fatica. Neanche un team di scienziati, ad occhio, poteva creare in un baleno una simile cosa, tanto difficile da calibrare; ah! Sciocchi primitivi. A noi basta una stampante tridimensionale. Guidata dal software in questione: un CAD per trottole, praticamente. Con connotazioni ingegneristiche davvero non da poco. Cioé la capacità, automatica e flessibile, di adattare la struttura interna ad un qualunque tipo di involucro, sia questo affine a cose rotative per natura (come quelle già citate) alla tipica teiera dei software tridimensionali o ad oblunghi astrattismi senza senso. Il computer non si fa formalità. Che si può chiedere di più dalla vita, se non l’opportunità spiccare il volo? Beh, anche per questo c’è in arrivo la sapiente soluzione:

Leggi tutto

Fare il grafico col gufo sulla penna

Satsuma

Sussurra nel mio orecchio, o musa ispiratrice, le parole per descrivere una tale scena. Di una mano giapponese intenta a disegnare con l’uccello della notte sopra, a guisa d’ornamento per-testa-di-matita. Avete presente quegli oggettini gommosi ad incastro, che coprivano perfettamente l'(in)utile gommino? Basta tartarughe ninja! Niente più mini ponies variopinti! Né modellini finemente dettagliati del castello di Osaka all’epoca di Hideyoshi, con 22 feritoie dotate di cannoni funzionanti e minuscole tegole a forma di drago. Sarà meglio metterci, da quest’oggi, trenta centimetri di “gufetto trasformabile” o giù di lì, tanto per usare il termine riconoscibile. Decorazione vivida, quindi capace di spostarsi se sbagliamo, per lasciarci cancellare…Mentre ci osserva coi suoi tondi occhi d’accusa. Una precisazione: le sue ridotte dimensioni, del tutto comparabili a quelle del merlo, basterebbero a classificarlo come assiolo (o assiuolo – otus scops). Assi-ccuro! Non è un pulcino dall’aspetto accidentalmente adulto, questo qui. Resterà così tutta la vita. Con la faccia bianca ed un potere straordinario. Però arriviamoci per gradi, non vorrei diffondere il segreto. Un simile animale, nel bel mestiere di chi produce l’arte digitale, può fornire un servizio di primaria priorità. Per ogni pixel comandato, a seguito di ciascun tratto triangolato, guardandolo per un secondo si può trarre il senso d’armonia della foresta. Quando lo stuzzichi, poi…
Non per niente Harry Potter, oltre alla bacchetta, metteva nella borsa da studente una civetta delle nevi. Dovremmo farlo tutti quanti; ciascuno, sulla base delle sua facoltà di studi. Gli architetti porterebbero un philetairus socius, il passero africano costruttore di svettanti condomini, alti edifici posti sopra i pali della luce. Agli aspiranti filosofi, io consiglierei un sapiente merlo indiano, capace di ripetere il soave verbo degli antichi; per scienze della comunicazione, non saprei. La chiassosa upupa, giornalista delle tiepide mattine in primavera? E a tutti gli artisti…Mah! Direi che dipende, caso per caso. Chi disegna deve scegliere il soggetto, questo è chiaro. La realtà è che questa situazione rassomiglia vagamente a quella tipica del gatto in pieno inverno, che si mette sul PC portatile, al fine di trarne un po’ di amabile tepore. Ma i gatti variano nei casi e nelle case. Ce ne sono di pelosi ed ingrugnati, sottili, rossicci o maculati. Di amichevoli o forastici: i diabolici lesionatori del divano e delle tapparelle. Chi mai ce lo vorrebbe, un animale come quello, a far da contrappeso e filo conduttore! Occorre stabilire un buon rapporto con il proprio sopra-penna, pardon, totem-pennuto. Bisogna sceglierlo con cura.

Leggi tutto

Incontro improvvisato con Saturno

Saturn Yeti Dynamics

Che mai succederebbe se il secondo più grande pianeta del sistema solare d’un tratto, stanco di aspettare, lasciasse la sua orbita e corresse qui da noi? Con una massa pari a 95.152 pianeti come la Terra, anelli del diametro di 270.000 chilometri e 150 lune al seguito, semi-nascoste tra le particelle di ghiaccio e i granuli rocciosi che lo avvolgono in un manto. Ebbene, gli dei non viaggiano leggeri. Per newtoniana analogia, siamo abituati ad associare ogni corpo celeste ad un particolare frutto: la mela. Rossa quanto Marte, verde come Venere, oppur marrone caramellato, ben cotto dal calore di un potente Sole – nessuno ha mai pensato, neanche all’origine, che Mercurio fosse zuccheroso. Però tanto più ci allontaniamo dalle orbite nei nostri prossimi dintorni, meno si riscontra una simile (fruttifera) rassomiglianza. La ragione è nell’origine del tutto. All’interno del caos rotante dell’ancestrale nebulosa proto-stellare, improvvisamente compressa da forze senza chiara origine, si formarono dei grumi di materia. Il maggiore fu lui solo, il Sole, l’astro che ci nutre: litioberillio, boro, neon, silicati ed ogni tipo di metallo, tanto densi da innescare una fusione nucleare senza posa, fino al suo remoto esaurimento. Mentre nel contempo l’attuale pianeta azzurro, semplice nota a margine, si formava tra le schiere dei pianeti piccoli, abitabili, tanto strategicamente collocati, rispetto ad una tale fonte di calore, da poter teoricamente dare origine alla vita. Cosa che poi fu, ma questa è tutta un’altra storia. Perché nelle propaggini esterne, si verificò una mezza soluzione, non stellare, ma neanche propriamente planetaria: il gigante gassoso.
Giove, Saturno, Urano, Nettuno non somigliano a dei pomoli. Sono, piuttosto, logotipi di un marchio commerciale; rosso, arancio, azzurro, blu profondo. Hanno strisce che li coprono da un polo all’altro, macule giganti, tempeste roboanti. Colossali e stravaganti quanto i numi che gli danno il nome, sono soprattutto mera apparenza, perché composti di gas liquido o compresso. Non puoi camminare su di loro. Provandoci, cadresti attraverso gli strati esterni della superficie, stritolato da una gravità indicibile, soffocato dal carbonio e dal metano. Poi, verso la mezza profondità, lì rimarresti, come scheletro, per i secoli a venire. Questa è la legge dello spazio: nessuna pietà per gli incauti. Secondo il mito greco e poi romano, Saturno fu l’ultimo dei Titani. Figlio del Cielo e della Terra, assassino dei suoi orribili fratelli, divoratore dei suoi molti figli. Tranne uno: Giove. Colui che la madre Rea, partorendolo di nascosto, portò presso la capra che viveva sopra il monte Ida, nell’isola di Creta, che lo nutrì. Qui egli crebbe indisturbato, forte, intelligente, rabbioso, in cerca di vendetta. Fu da questa situazione che ebbe inizio la più lunga e terribile delle disfide, una guerra al cui confronto i pianeti paiono giocattoli, le lune, dolci caramelle.

Leggi tutto