Tre chilometri di ferro per il treno formidabile che attraversa la Mauritania

Con un rombo quasi apocalittico, l’interminabile convoglio ferroviario inizia ad arrivare presso la “stazione” di Atar. In realtà poco più che una piattaforma rialzata, collocata in corrispondenza del punto in cui dovrà fermarsi la carrozza passeggeri incorporata dalla compagnia SNIM (Société nationale industrielle et minière) onde soddisfare la propria quota di servizio pubblico, d’importanza fondamentale per questa gestalt di popoli sul bordo esterno del Sahara. Letterali centinaia di persone, tuttavia, si preparano a salire a bordo lungo un tratto di binari che potrebbe corrispondere, idealmente, all’intero estendersi della comunità di case, capanne e tende tra la polvere dei secoli: circa 3.000 metri di uomini, donne e bambini per cui un viaggio in treno corrisponde alla rapida scalata di un vagone per il trasporto del minerale grezzo, seguendo una prassi non soltanto tollerata ma persino ufficialmente concessa dai padroni dell’industria rilevante alla questione. Linfa vitale dell’intera Mauritania, in quanto pilastro della sua vulnerabile, ma relativamente stabile economia. Dopo il trascorrere di alcuni minuti di suspense, quindi, i conduttori delle tre distinte locomotive diesel-elettriche di produzione americana, ottimizzate per filtrare la sabbia del deserto e capaci di spingere l’intero ammasso di veicoli alla velocità di circa 40 Km/h, aumentano al massimo la pressione dei freni secondo un copione collaudato, generando il brivido a seguito del quale finalmente, la situazione s’immobilizza.
È una sosta breve, questa, giusto sufficiente perché i passeggeri possano salire a bordo, scendere e recarsi al “bagno” (o servizio equivalente) nel corso di un viaggio alquanto disagevole della durata di circa 12 ore per i suoi 700 Km di estensione. Che ben pochi, tuttavia, percorrono da un capo all’altro, data la collocazione ad un’estremità della sola colonia mineraria di Zouerate, luogo dove a partire dagli anni ’60 fu condotta un’attività di prospezione valida a trovare alcuni dei più utili, e fruttuosi, giacimenti di ferro dell’intero Mondo Occidentale. Dal punto di vista del tragitto, a partire da quel momento, il servizio passeggeri fornito si è dimostrato in grado di possedere un’utilità inerente per innumerevoli comunità sperdute come questa, il cui collegamento pre-esistente con il porto sull’Atlantico di Nouadhibou, strategico punto d’imbarco verso le isole Canarie e l’America Meridionale, prevedeva l’utilizzo di una strada molto più lunga, con deviazione panoramica verso la popolosa capitale di Nouakchott situata quasi 500 Km più a sud. Per un viaggio con caratteristiche molto diverse, per la maggior parte dei passeggeri esclusi quelli all’interno delle carrozze preposte, a seconda della direzione intrapresa, rispettivamente conduttiva ad una lunga serie di vagoni aperti completamente vuoti o pieni, come in questo caso, del prezioso materiale grezzo pronto all’imbarco verso destinazioni lontane. E quando dico lunga, lo intendo davvero, vista l’effettiva qualifica del treno che con le sue fino a 200 carrozze si qualifica come uno dei più estesi, se non il maggiore del mondo intero. Il cui carico complessivo, di circa 84 tonnellate ciascuno, supera di molto la totale quantità di metallo necessario a costruire una seconda Torre Eiffel.
Ma non c’è tempo per pensare troppo a tali circostanze, mentre il tempo a disposizione scorre rapidamente verso l’ora della ripartenza e con agili balzi, le persone con il volto protetto da turbanti e passamontagna si aiutano a vicenda nel salire nuovamente a bordo del mostro meccanico. Discendenti di un popolo di etnia berbera e beduina, per cui lo stato di diritto maggiormente rilevante finisce tanto spesso per corrispondere al bisogno, universalmente umano, di viaggiare…

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Ricchezza e dannazione oltre la soglia della montagna d’argento boliviana

Non c’è da restare necessariamente delusi, quando si approda presso i lidi di una seconda scelta. Sulle seconde scelte ebbero luogo alcuni dei maggiori successi della Storia, come quando gli spagnoli partirono alla ricerca dell’assolata città d’Oro, per trovarne invece una del colore, sotterraneo, della Luna… Termine sovrano al vertice della questione, umanamente fondamentale, del “Cos’è il denaro, dopo tutto?” A cui troviamo una risposta, tra le molte possibili, nell’espressione prototipica spagnola “Costa/vale un Potosi” ove quest’ultima parola, certamente d’uso non comune, viene convenzionalmente riferita a un luogo o per meglio dire, una città. Quando il celebre galeone spagnolo solcava i mari dei Caraibi, durante il corso del XVI secolo ed era in un certo senso proprio questo, il luogo in cui traeva origine la sincera cupidigia, l’egoismo e il desiderio delle ciurme dei pirati, pronti a condannare molti uomini a una morte particolarmente cruda e violenta, pur di mettere le proprie mani sopra la ricchezza transitoriamente posseduta dai loro nemici giurati, le autorità. Non meno colpevoli, dal canto loro, di essersele guadagnate grazie all’inerente spietatezza di coloro che costringono la gente, in maniera più o meno diretta, a perseguire un solo fine, spesso a discapito di tutti gli altri. Così nacque, letteralmente da un giorno all’altro nel 1543, la nuova municipalità all’origine di molti cambiamenti, all’elevazione di 4.000 metri lungo le pendici della montagna del Cerro Rico che i nativi boliviani chiamavano Quechua (“Magnifica”) e gli spagnoli, invece, [Picco della] Opulenza. Chiamata fin da subito, per l’appunto, Potosi in base alla leggenda secondo cui una “voce cavernosa” si sarebbe rivolta agli originari scopritori delle sue ricchezze nascoste, gli Inca che l’avrebbero udita in un imprecisato momento del XIV secolo, mentre gli ordinava di lasciare tutto com’era fino all’arrivo di un presunto nuovo padrone. Il quale sarebbe dunque giunto, sull’onda di un fato particolarmente gramo, grazie al resoconto dello spagnolo Diego de Huallpa, minatore in cerca di fortuna destinato a ritrovare, assieme ad essa, la letterale origine di tutti i mali.
Erano questi gli anni, e le decadi, in cui stava nascendo uno degli assi principali destinati ad influenzare l’evoluzione del concetto stesso di società, fondato sulla naturale attrazione di ogni singolo grammo d’oro e argento a partire dalle Americhe verso l’Europa, e da lì in Asia, in cambio di spezie, artigianato ed altre merci tenute in alta considerazione dai mercati Rinascimentali. In altri termini il primo vero mercato globale, fondato sul concetto di valute in grado di mantenere fisso il proprio valore di scambio grazie al prestigio degli imperi che ne coniavano e garantivano l’esistenza. E come dovremmo già sapere fin troppo bene, nessuno riusciva a farlo meglio di Filippo II di Spagna, quando il suo volto compariva assieme ai marchi del mercante sopra la superficie dell’ormai leggendario pezzo da otto, per cui l’estrazione della materia prima e il successivo conio avvenivano, caso vuole, proprio all’ombra di questo massiccio rinomato. Grazie la sudore e la fatica, mai ridotte oltre una sogli minima di sofferenza, di un’intera classe sociale sfruttata e messa ai ferri sostanziali dalle ragioni del desiderio: quella dei minatori.

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In un affascinante video, celebrata l’evoluzione organica dei cristalli

Immaginate di lanciare una moneta dal finestrino di un aereo, inclusiva di un dispositivo GPS per riuscire successivamente a trovarla. Il tutto con la finalità, inerentemente utile, di creare un grafico con la quantità di volte in cui essa cade mostrando testa o croce. Fatelo 100, 200, 2.000 volte: quanto spesso capiterà che l’oggetto, raggiungendo il terreno di taglio, resti conficcato nella terra soffice di qualche radura disabitata? Non più di una manciata di volte, probabilmente. Eppure moltiplicate la ripetizione del gesto per un numero di volte che tende all’infinito ed anche una tale casistica, per quanto rara, non potrà fare a meno di fare lo stesso. Ed è soltanto per lo stesso rapporto di causa ed effetto, fondamentalmente, che possono esistere determinati tipi di gemme. Frutti inconfondibili del processo mineralogico attraverso cui gli atomi o le molecole si dispongono, sotto l’influsso di condizioni estreme, con un reticolo perfettamente modulare ed infinitamente ripetuto. All’altro capo del quale prendono forma, con imperturbabile progressione, gli orpelli facenti parte delle nostre esposizioni museali, gioielli e in casi particolarmente opulenti le braccia dei lampadari. Eliotropio quarzite ametista diaspro citrina e così via a seguire, come potremmo estrarre da un qualsivoglia libro di cristallomanzia… Eppur sussiste, strisciante ed inevitabile, la percezione che molto altro possa nascondersi dietro le cognizioni liberalmente acquisite, che un mare in tempesta ondeggi letteralmente, sotto l’apparenza solida di questa terra, in attesa che gli occhi umani possano finalmente attribuirgli migliaia, se non migliaia di nomi. Questione citata dal creativo della grafica 3D Dan Hoopert, che pubblicando il suo ultimo video sulla piattaforma multimediale Vimeo ha scelto d’includere come didascalia un brano dell’articolo del 2019 della rivista Earth che affermava: “Esistono 5.000 minerali diversi riconosciuti dalla International Mineralogical Association, molti dei quali documentati a partire da un numero limitato di occorrenze. È perciò improbabile che gli scienziati scoprano nuovi depositi di sostanze particolarmente abbondanti. È invece probabile che molti minerali rari debbano ancora essere scoperti.” Contributo cui si aggiunge, nel caso specifico, l’elaborazione visiva più notevole di quelli che potremmo definire in senso generico cinque tipologie di cristalli fantastici, ispirati a pietre davvero esistenti, da lui mostrati in maniera piuttosto insolita: in quello che potremmo definire, volendo, una sorta di time-lapse esteso attraverso secoli, se non millenni, e almeno parzialmente fantastico nel suo svolgimento. Non ci viene mostrato, infatti, il reticolo cristallino nel suo stato (apparentemente) immutabile, né il processo di solidificazione sperimentato al momento della sua nascita, bensì una sorta di stato intermedio e trasformativo, attraverso cui le rispettive venature delle diverse pietre si allungano fino all’estremo, s’incrociano e formano nuovi reticoli, sistemi all’interno di un sistema più grande. Circondati dal più munifico florilegio delle arcane circostanze. Sarebbe in altri termini possibile paragonare l’effetto risultante a quello del sistema linfatico di una pianta o creatura, rispondente a regole totalmente diverse poiché tipiche del regno della non-vita. Finché in un crescendo finale, le cinque pietre vengono mostrate tutte assieme, mentre lo spettatore, silente, finisca idealmente per vocalizzar tra se e se: “Bello ma vorrei sapere cosa, esattamente, ho appena visto…?”

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Le profonde radici di Macquarie, isola che perfora la crosta terrestre

Esattamente in corrispondenza dei Cinquanta Ruggenti, latitudine superiore persino a quella di Capo Horn per forza, imprevedibilità e pericolosità dei venti, c’è un punto in cui le correnti deviano ed il flusso d’aria subisce un’improvvisa suddivisione. Tutto questo in forza di una terra emersa lunga 35 Km, la cui collocazione corrisponde grossomodo al punto intermedio tra i due continenti d’Australia e dell’Antartide, ove le foche prendono il sole, i pinguini si moltiplicano e gli uccelli migratori si fermano per riposare. Il suo nome: Macquarie, da quello del governatore del Nuovo Galles del Sud al momento della sua scoperta, nel 1810. Eppure, per una volta, non è la popolazione di questi ultimi a ricevere le principali attenzioni del mondo scientifico, benché in questi luoghi sia presente la minaccia di popolazioni di ratti e conigli portati qui due secoli fa dai cacciatori di balene. Bensì la natura geologicamente unica di questo luogo, la cui stessa formazione, per un tempo quasi equivalente, ha saputo sfidare le principali ipotesi dagli scienziati del settore. Collocata in corrispondenza della dorsale oceanica all’incontro tra le placche Indo-australiana e quella del Pacifico, l’isola sembrava totalmente priva di attività vulcanica o tellurica tale da lasciar emergere il suo suolo, di composizione lavica, oltre i 2 Km di oceano che si estende verticalmente tra il fondale e la superficie. Almeno finché non si ebbe l’occasione di scoprire, sotto lo strato di sedimenti risalenti al Miocene (23-5 milioni d’anni a questa parte) formazioni rocciose perfettamente in linea con l’aspetto dei cosiddetti basalti a cuscino, spesso associati alla formazione di un’ofiolite. Dicesi affioramento roccioso spinto dalle inusitate pressioni sotterranee, attraverso letterali migliaia di secoli, fino a materializzarsi la ove potesse, in qualche modo, raccogliere la luce dei cieli. Il che significa, in altri termini, che questo luogo è il probabile prodotto dello stesso mantello terrestre, ovvero uno dei pochi luoghi in cui è possibile osservare con i propri occhi le viscere stesse, crudelmente esposte agli elementi, della nostra Terra generatrice.
Le implicazioni di tutto questo, in prima analisi, potrebbero non risultare evidenti. Simile per composizione paesaggistica ed elevazione alla vicina Tasmania, benché totalmente priva di vegetazione ad alto fusto a causa del suo clima rigido e il continuo battere dei venti, l’isola presenta per le menti interessate l’occasione di studiare da vicino l’effettiva composizione degli strati sottostanti all’involucro geologico sopra il quale, normalmente, siamo soliti poggiare i nostri piedi. Con una varietà di tipo geologico capace di mostrare, a profondità zero, rocce normalmente rare come particolari formazioni di doleriti, troctoliti, harzburgiti, duniti e peridotiti, normalmente parte di un colonna sotterranea irraggiungibile senza l’impiego di trivelle. Il che ha giustificato, a partire dal 1997, all’iscrizione di un simile luogo all’elenco dei patrimoni naturali dell’UNESCO, anche grazie ad una rara conservazione pressoché perfetta dello spazio geologico, soprattutto causa la collocazione remota e irraggiungibile di questo luogo. Attenzione certamente non intenzionale, e d’altra parte, incapace d’estendersi all’effettiva sopravvivenza dei suoi più antichi, pennuti abitanti…

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