Il musicista delle cianfrusaglie e i suoi fantastici spazzolini-Spice Girls

36 soldati tutti sull’attenti, perfettamente in riga salvo problematiche eccezioni. Il generale accusa i sintomi, per l’inadeguata prevenzione della carie. 35 soldati sull’attenti, ed uno zombie devitalizzato.
“Taking is too easy, but that’s the way it is!” Scary, Sporty, Posh, Ginger e Baby: molto era stato fatto per caratterizzarle in modo ben distinto tra loro, benché viste da lontano, sembrassero un po’ tutte indossare la stessa divisa. Il prodotto dell’effetto di un’armonia musicale precisa, sull’immagine perfettamente pianificata di una serie di stilemi e qualità esteriori. Semplicemente diabolico: “Se vuoi essere il mio amante, dovrai prima diventare un amico / Fai che sia per sempre, l’amicizia non finisce mai, Tuttu-tu-tururu! TUTU-tururuuu!! […]” Ecco un trillo che attraversa gli anni, le decadi e persino il volgere di un singolo millennio, in quel ritmo sincopato ed orecchiabile che ti entra in testa, per non sparire mai più. Chi non l’ha canticchiata, almeno una volta, mentre si trovava sotto la doccia? Lanciato/a a folli 30-35 Km orari dietro il manubrio del motorino? O magari a due o tre volte il ritmo originale, successivamente al raggiungimento dell’età adulta, mentre si risistemava la cravatta prima di un importante colloquio di lavoro. Per tutte le critiche che possono esser mosse alla musica Pop generalista (prevedibile, ripetitiva, senza un briciolo di sperimentazione…) resta indubbio il prezioso contributo che essa ci può offrire nei momenti di “concentrazione distratta”, per assicurare che i neuroni secondari portino adeguatamente a termine tutti quei compiti che tanto spesso, esige l’esistenza. Ma se c’è un tempo e un luogo in cui purtroppo, simili artifici non conducano al risultato maggiormente auspicabile, questo è quello quotidiano dell’igiene dentale. Sopratutto in forza della progressiva diffusione di quel particolare approccio risolutivo, che è l’impiego degli spazzolini automatici in qualche maniera mobili o vibranti. Il cui piccolo motore, nello svolgere la mansione per cui sono stati progettati, producono un rumore bianco penetrante, che riesce a interferire con ogni possibile esecuzione mentale di preziosi mantra risalenti al volgere degli anni 2000.
Validissima idea alternativa, in funzione di ciò, potrebbe essere quella di un hacker che presumo essere tedesco o almeno ciò fa pensare il suo accento, e il cui nome di battaglia online si configura nell’opportunamente descrittivo “Device Orchestra” (il Coro dei Dispositivi). La cui avventura digitale ebbe inizio circa cinque anni fa con l’esecuzione della memorabile marcia imperiale di Star Wars mediante l’impiego di un misterioso tostapane (ma lì c’era il trucco: il cellulare vibrante nascosto nell’alloggiamento del pane) per culminare dal punto di vista mediatico con questa esecuzione coreografata di un grande classico delle marcette dal successo pressoché globale…

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Prezzi unici: finisce all’asta il primo veicolo prodotto dalla Porsche

L’aria che converge, le luci che si spengono, un sibilo che si trasforma in educato rullo di tamburi. Con l’avvicinarsi del vertiginoso 17 agosto, data in occasione della quale, durante l’annuale asta di automobili organizzata da Sotheby’s presso la località californiana di Monterey, uno dei singoli pezzi più importanti nella storia di questo evento dovrà essere venduto soltanto per la seconda volta in oltre 60 anni, ad una cifra stimata sui possibili 20 milioni di dollari. E che affare straordinario, possiamo facilmente immaginarlo, avrà fatto il facoltoso collezionista in grado di trionfare nella più importante occasione d’acquisto della sua vita…
Mai sottovalutare, all’interno di una famiglia d’artisti, la differenza che può fare una singola generazione. Soprattutto quando i suoi componenti piuttosto che dipingere o scolpire s’interessano a quel campo estremamente trasversale che è la progettazione per l’industria. Campo che possiede ramificazioni verso l’utile, il dilettevole e talvolta addirittura il tragico, sulla base degli eventi che attraversano effettivamente la società. Era dunque il 1934, quando Adolf Hitler in persona diede l’ordine che per il giudizio postumo degli storici, sarebbe stato l’ultimo capace d’introdurre un cambiamento positivo nel mondo: rivolgendosi al suo conoscente, forse addirittura amico Ferdinand Porsche, che aveva abbandonato volontariamente le origini cecoslovacche per trasformarsi in onorario ed orgoglioso cittadino del Reich: “Costruiscimi una macchina che sia per tutti: economica, capiente, facile da guidare. Che sia per questo degna di ricevere l’appellativo di Volkswagen (Auto del Popolo)” Tutto questo prima delle bombe e dei carri armati, prima del sostegno all’industria aeronautica e delle pericolose altre creazioni che avrebbero portato un tale grande dell’ingegneria al processo e la condanna per i crimini di guerra, successivamente alla vittoria degli Alleati 11 anni dopo quel momento di svolta nella sua carriera. E verso la creazione di un fondamentale maggiolino, destinato a rivoluzionare ciò che fosse possibile aspettarsi da un veicolo economico in termini di prestazioni ed affidabilità. E sebbene la storia non racconti di un contributo particolarmente significativo al progetto da parte di suo figlio e futuro erede tecnologico Ferdinand Anton “Ferry” Porsche, che aveva all’epoca già 25 anni, la situazione cambia in modo significativo con la successiva e più importante creazione dei due, il prototipo, assemblato con un obiettivo per lo più pubblicitario, che sarebbe passato alla storia con il nome di Type 60K10 o molto più semplicemente, Porsche 64. Che risultava essere, sostanzialmente, l’erede diretta di visioni del mondo distinte…

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L’uccello destinato a estinguersi ogni centomila anni

Chi non conosce, tra tutti coloro che hanno visitato anche soltanto grazie all’immaginazione l’arcipelago tropicale delle Mauritius, la tragica storia del Raphus cucullatus, anche detto comunemente il dodo… Di certo, non è una vicenda che i marinai sarebbero disposti a raccontare. Proprio loro che sbarcando, a più riprese, tra le isole gemmate di un tale geografico tesoro, fecero incetta del pennuto pollo stravagante, consumandone le carni come ingrediente principe di una vasta gamma di piatti mediterranei, inglesi e americani originariamente a base di pollo, così “adattati” alle locali circostanze. Finché dell’ingenua creatura, drammaticamente priva di qualsiasi diffidenza verso l’uomo, oppure i mezzi per sfuggirgli all’ultimo momento, finì per estinguersi del tutto dal pianeta Terra. Eppure un suono, ancora oggi, sembra risuonare di quel canto; un guizzo nella danza; il fruscìo tra i piccoli cespugli ai limiti del bosco. Come disse un saggio, non è morto ciò che può giacere eternamente. E in strani eoni, persino la Morte può morire.
Ora se dovessimo soltanto limitarci alla questione dell’aspetto, non c’è molto che accomuni il rallo dalla gola bianca dell’isola di Aldabra (Dryolimnas aldabranus) al suo predecessore nella strada biforcata dell’evoluzione. Membro dell’ordine dei gruiformi piuttosto che i colombiformi come il dodo, esso ebbe tuttavia un rimorso simile, nell’aver dimenticato l’antica e risolutiva arte del volo. Certo, potrà sembrarvi controintuitivo: eppure mantenere quel tipo di adattamenti necessari nello scheletro, la muscolatura e gli altri aspetti fisici necessari a staccarsi da terra è tra i propositi più dispendiosi in termini d’energia dell’intero mondo animale. Al punto che una volta raggiunto un luogo del tutto privo di predatori, come risulta essere per l’appunto il remoto atollo di Aldabra nel bel mezzo dell’Oceano Indiano, non ha semplicemente senso continuare a percorrere quel sentiero. Ma che dire di un problema particolarmente inaspettato? Quando i mutamenti climatici che condussero a una breve glaciazione, circa 136.000 anni a questa parte, sommersero completamente tali luoghi ameni, spazzando via ogni forma di vita camminatrice incluso quel lontano parente del porciglione europeo. Eppur chiunque dovesse sbarcare lì al giorno d’oggi, essendo sufficientemente fortunato, potrebbe sentire un caratteristico verso simile a un grugnito stridulo e vagamente porcino provenire dalla penombra del sottobosco. Poiché come evidenziato anche da un recente studio pubblicato sulla rivista zoologica della Linnean Society, ad opera dei Prof. Julian P. Hume e Davin Martill, “esso” vive di nuovo. Ecco qui dunque, la maniera in cui funziona la Natura: un continuo processo di sperimentazione lungo i rami divergenti di quell’albero, che si regge sulla base delle circostanze, verso l’obiettivo dell’esistenza. Che poi sarebbe, per la vita su questo pianeta, una lunga ed evidente proliferazione. Così di nuovo, a seguito di quel remoto evento, i ralli normalmente non migratori dei territori isolani ad est dell’Africa (Dryolimnas cuvieri) partirono dalla vicina terra firma del Madagascar, affollato dalle zanne costantemente in agguato del terribile fossa (Cryptoprocta ferox) sorta d’incrocio tra un giaguaro e una faina sovradimensionata, partendo verso destinazioni maggiormente attraenti. Molti di loro, dirigendosi erroneamente verso meridione, finirono annegati tra le onde dell’oceano incostante. Ma un numero considerevole raggiunse quell’atollo finalmente ed almeno temporaneamente riemerso di Aldabra. Riuscendo a rimandare un così triste destino, almeno per qualche tempo…

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L’uccello di plastica sopra la città di tufo in Turchia

Invero sopravvalutata risulta essere, tra tutti i mezzi di trasporto aerei, la forma fluttuante della mongolfiera simbolo della Cappadocia. Utile certamente nei trascorsi, per osservare il mondo con flemma di un altro tempo, meditando sul vero significato del volo. Laddove nell’odierno mondo dei viaggi ogni cosa dev’essere rapida, sintetica, dritta al punto! Giacché non è forse vero che, tra tutti gli obiettivi di chi visita un luogo, dovrebbe figurare al primo posto lo spazio ricavato in seguito su Instagram, Facebook, Twitter e le altre montagne cave del Web? Senza ulteriori indugi, per questo, vi presento un esempio: Beautiful Destinations, canale iterativo del Tubo, che spedisce un rapido velivolo negli azzurri cieli della Cappadocia e perché… Se non allo scopo di farci conoscere i singolari paesaggi dall’alto, attraverso il tenore divulgativo che nasce da un’approccio acrobatico e ultraveloce, grazie all’approccio dell’FPV. Ecco un’idea intrigante, per quanto discutibile (almeno) in determinati ambienti. Che consiste, una volta raggiunta la destinazione dei propri desideri, nell’indossare il pratico visore che copre completamente gli occhi, per trasformarsi attraverso lo sguardo in qualcosa di totalmente diverso: l’araba fenice, l’uccello del fulmine, la bestia rotativa dei venti che prende il nome, non propriamente descrittivo, di un drone. Il cui volo in prima persona, come certamente saprete, presenta numerosi vantaggi, primo dei quali rappresentato dall’opportunità di compiere evoluzioni al limite, senza il timore di schiantarsi contro antiche formazioni rocciose e monumenti. Il che, unito a un certo lassismo delle normative vigenti (o poco rispetto delle stesse da parte dell’operatore) può qui permetterci di dare un significato diverso alla descrizione presentata sull’UNESCO del parco nazionale di Göreme in Turchia.
Patrimonio di nome e di fatto, come reso evidente dalla notevole struttura paesaggistica, frutto dei molti millenni di corrosione del territorio ad opera del vento, della pioggia e del ghiaccio, che penetrando negli spazi vuoti, si espande e disgrega la roccia neanche il friabile raccolto di una piantagione di caffè. Risultato, o per meglio dire risultati: questa pluralità di escrescenze o veri e propri pinnacoli, chiamati in geologia “camini delle fate”, attorno ai quali, sin dai tempi degli Ittiti, venne fatta fiorire e costruita l’intera locale civiltà. Che sembra invitarci a conoscerla, tra una vite in picchiata e un drammatico giro della morte, dalle molte finestre artificiali aperte nella roccia, attraverso le quali anticamente scrutavano l’avanzata di eventuali nemici gli abitanti del posto, prima di chiudere porte nascoste e rendersi formalmente irraggiungibili ai più. Mentre oramai, in questi luoghi, abitano soltanto gli uccelli, all’interno di apposite colombaie utilizzate, originariamente, per raccogliere il prezioso guano da usare come concime per l’agricoltura. Ma è al profilarsi di una riconoscibile torre, minareto della moschea di Uçhisar, che la carta di credito inizia ad avvicinarsi ai nostri pensieri, mentre pensiamo di prenotare un viaggio in Turchia…

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