Un pezzo di Galapagos a un’ora e mezza dal Golden Gate

Quando il 3 gennaio del 1603 padre Antonio de la Ascension, cappellano della spedizione di Don Sebastian Vizcaino, si trovava a largo della costa della California a bordo della nave spagnola San Diego, avvistò per caso una terra collegata al continente da uno stretto istmo di terra, che al suo sguardo apparve come completamente disabitata da esseri umani o animali che non fossero uccelli. All’epoca, era l’usanza che la prima persona che avvistava una caratteristica del territorio scegliesse per loro un nome sulle mappe ufficiali. E così l’ecclesiastico decise di attribuire a quel luogo l’appellativo di Año Nuevo, in onore delle recenti celebrazioni di capodanno che si erano tenute tra i marinai. Ciò che lui non sapeva, tuttavia, è che nell’entroterra della penisola si trovava un villaggio stagionale dei Quroste, tribù dei nativi Ohlone  che era solita sopravvivere pescando e raccogliendo molluschi lungo le vaste spiagge nordamericane, la cui presenza, attraverso i secoli, aveva fatto molto per modificare l’ecosistema locale. Soltanto di passaggio verso la zona di Pescadero per fare rifornimenti, la spedizione non approdò allora in queste terre, rimandando l’incontro con le genti locali fino a un lontano 1769, quando il governatore spagnolo della California Gaspar de Portola condusse un gruppo di conquistatori via terra, stabilendo un primo contatto e dando urgentemente inizio allo sforzo di evangelizzazione missionaria dei senza Dio. A quell’epoca ormai, i processi di erosione avevano fatto sparire completamente il vecchio ponte di terra che la collegava al continente. In breve tempo, le genti di Año Nuevo vennero contagiate da una vasta selezione di malattie europee, morendo e lasciando l’isola completamente disabitata. Fu un caso tragico da cui, tuttavia, nacque qualcosa d’importante: uno dei più preziosi, e largamente incontaminati santuari naturali di questa intera zona del globo, paragonabile per biodiversità e proliferazione al più famoso arcipelago situato a largo dell’Ecuador.
Fatta eccezione per l’assenza di tartarughe giganti quindi (che comunque, non vivono a queste latitudini) praticamente ogni tipo di bestia rara californiana viene rappresentata tra la cornice di queste sabbie mescolate a rocce sedimentarie, inclusa la rana dalle zampe rosse (Rana draytonii) e l’iridescente serpente giarrettiera di San Francisco (Thamnophis sirtalis tetrataenia) oltre a innumerevoli specie di uccelli migratori. Trote arcobaleno (gen. Oncorhynchus) si aggirano nelle aree paludose della foresta ripariale locale. Ma soprattutto, l’isola è stata spontaneamente ripopolata da due varietà di otarie, il leone marino della California (Zalophus californianus) e quello a rischio d’estinzione di Steller (Eumetopias jubatus) al punto che, osservandola da un ipotetica foto satellitare, le moltitudini di grosse creature potrebbero sembrare macigni coperti di muschio o grovigli di alghe trasportate a riva dalla corrente del mare. Eppure, una volta ottenuti i permessi speciali necessari e approdati sull’isola, appare chiaro che i grossi mammiferi sono pressoché ovunque, avendo preso possesso dell’entroterra e persino del gruppo di edifici in stile vittoriano abbandonati, che si trovano nella parte settentrionale del territorio. I quali comprendono gli alloggi, appartenuti a partire dal 1872 al guardiano del punto di avvistamento per le navi di passaggio, inclusivo in un primo momento di sirena da nebbia e a partire dal 1890 di una vera e propria torre del faro, oggigiorno ormai demolita da tempo. E la ragione, potete facilmente immaginarla: i due gruppi di otarie, creature curiose e sempre in cerca di luoghi da esplorare, avevano eletto la zona ad un proprio riparo dagli elementi, arrivando ad arrampicarsi lungo le scale fino al primo piano dell’abitazione. Ragione per cui, venne deciso di eliminare la struttura più alta e pericolante, un potenziale rischio per la loro sopravvivenza.
Per molti degli “studiosi”, i “ricercatori” e gli altri fortunati o volenterosi a cui viene concesso l’accesso di questo santuario, tuttavia, le otarie sono una presenza costante quanto ininfluente ai fini dei loro progetti operativi. Che si concentrano, in massima parte, nei confronti di quelle creature che pur essendo soltanto di passaggio, necessitano di quest’isola come irrinunciabile punto di sosta di un lungo viaggio;

Prima di aver causato svariati naufragi ed essere quindi acquistata dal governo per collocarvi un faro, l’isola di Año Nuevo appartenne lungamente ai fratelli Steele, che ne avevano fatto un pascolo per le mucche del loro ranch. Alcuni degli edifici rimasti testimoniano tutt’ora la loro presenza, durata oltre 80 anni.

Gli operatori di conservazione naturalistica mostrati nel video di apertura datato 2011, facenti parte dell’associazione Oikonos, sono forse i più celebri divulgatori e protettori di questo particolare volto dell’isola californiana, la cui posizione geografica risulta fondamentale nel corso delle occasionali peregrinazioni di un uccello noto come alca minore rinoceronte (Cerorhinca monocerata) da loro definito “pinguino del Pacifico Settentrionale”. E questo nonostante il fatto che biologicamente, assomigli piuttosto alle pulcinelle di mare, per la capacità di volare e scavare buche in cui custodire i suoi piccoli, prevalentemente dal becco crudele dei gabbiani. Mentre per quanto concerne l’azione dei predatori di terra, esso non presenta alcun tipo di difesa, rendendo assolutamente primaria la disponibilità di isole situate a poca distanza dalla costa, una presenza, in effetti, piuttosto rara lungo i confini oceanici della California. Peccato che, dopo essere tornate in gran numero a seguito della scomparsa degli umani, le otarie avessero letteralmente devastato i tunnel scavati dai piccoli uccelli, generalmente riutilizzati dalle coppie di volatili in età riproduttiva l’anno successivo. Ragione per cui, l’intervento degli operatori è dovuto consistere prevalentemente nel sotterrare di 90 tunnel di ceramica resistenti alle pressione di superficie, con la particolare conformazione a gomito preferita da questi uccelli, coadiuvata dal trasporto in loco di circa 10.000 piante adatte al clima salmastro, usate per contrastare il processo erosivo delle spiagge che ha già portato, nei secoli scorsi, a far sparire l’istmo che collegava l’isola alla terraferma.
La vita delle due specie di otarie locali, di contro, è largamente priva di problemi finché si considerano le placide spiagge, benché questo non possa certamente dirsi dei loro frequenti bagni finalizzati a procacciarsi il pesce che sostiene la loro dieta. Le acque circostanti Año Nuevo sono infestate da squali, in particolari appartenenti alla variante temibile del grande bianco (Carcharodon carcharias) noto per la sua voracità famelica e l’indole particolarmente spietata. Una volta lasciata la sicurezza dell’isola, dunque, i leoni marini devono nuotare il più possibile vicino al fondale, al fine di evitare che la loro sagoma si stagli in controluce costituendo un facile bersaglio per il predatore, mentre quest’ultimo tenta di fare lo stesso per garantirsi la migliore visibilità. Considerata la quantità di pinnipedi che popolano questi luoghi, tuttavia, apparirà evidente come in assenza d’intromissioni da parte della mano umana, le due stirpi animali riescano a vivere in armonia.

In un memorabile documentario del National Geographic, una telecamera subacquea è stata assicurata sulla schiena di un leone marino della California, per osservare le sue manovre finalizzate ad evitare gli squali. L’intera sequenza, in qualche maniera, finisce per ricordare la suspense di un film dell’orrore.

La grande fortuna di Año Nuevo risulta dunque essere la sua vicinanza alla civiltà, che ha permesso negli anni d’inserirla in un parco naturale, proteggerla e preservarne la naturale tendenza ad ospitare numerose specie di creature. Tutto questo, anche grazie all’insolita ordinanza del governo, che per oltre 70 anni l’ha resa completamente off-limits all’accesso da parte di visitatori. E quanti esplorativi abusivi puoi aspettarti, dopo tutto, in un luogo perennemente circondato dalle pinne di squalo?
Oggi, almeno a giudicare dai video reperibili online, le visite guidate non sono del tutto sconosciute, mentre lo stesso vecchio edificio in cui veniva conservato il carburante per il faro, l’unico rimasto libero dalle otarie, è stato trasformato in un vero e proprio centro di ricerca naturalistica, periodicamente utilizzato dalle varie associazioni e università a cui viene dato il permesso di operare in questo luogo. Ciononostante, il vecchio territorio degli “indiani” Ohlone resta una terra promessa dinnanzi all’intera metropoli di San Francisco, le cui propaggini meridionali si trovano a meno di 100 Km da questo letterale paradiso (ormai) incontaminato. Chiara testimonianza, come altri luoghi rapidamente e completamente rimasti privi di popolazione umana, che la natura può sempre riprendersi, purché venga momentaneamente lasciata a se stessa. Che cosa volete che siano, dopo tutto, qualche decennio o secolo appena, dinnanzi agli interminabili eoni d’evoluzione…

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