Il mistero tecnologico delle navi nella bottiglia

La prima menzione giunta fino a noi di quest’arte figura nei diari di bordo della County of Pembroke, veliero da trasporto costruito nei cantieri del Sunderland nel 1881, destinata a naufragare nel 1899 con un carico di guano durante un attraversamento di Capo Horn. Scrisse il suo capitano, prima di quell’anno sventurato: “Uno dei nostri marinai sta lavorando nelle ore di riposo a mettere una nave nella bottiglia, un processo che ha richiesto dodici mesi di lavoro, fino a questo momento. L’ha intagliata con un coltellino e ha ritagliato ed incollato ciascuna singola vela. Non manca nulla. […] “Che cosa vuoi farci” Gli ho chiesto. “Venderla, ovviamente. Per due sterline di tabacco da masticare.” A quanto possiamo desumere da un certo tipo di narrazioni di seconda mano, ad ogni modo, si trattava di una pratica diffusa. Gli uomini legati ad un lavoro particolarmente faticoso verso l’inizio del secolo scorso, nelle ore libere a disposizione, erano soliti intrattenere un passatempo capace di concedergli dei piccoli guadagni extra. E se la loro manualità risultava sufficientemente utile allo scopo, la strada scelta per esprimersi risultava un particolare tipo di modellismo, finalizzato a stupire e in qualche modo coinvolgere i potenziali futuri compratori. Ciascuno produceva ciò che conosceva meglio: esistono infatti miniere, locande, opifici, saloon in bottiglia… La nave, come concetto, non è particolarmente antica e viene fatta risalire al massimo attorno al 1880, quando l’invenzione degli stampi in ferro raffreddato rese per la prima volta economico e sopratutto, trasparente, uno dei materiali più versatili mai usati nella storia dell’umanità. Creando un tipo di curioso soprammobile che in molti abbiamo visto, e qualche volta persino acquistato, senza tuttavia giungere ad interrogarci sulla maniera stessa in cui, effettivamente, fosse stato possibile realizzarlo. Il più semplice, nonché apparente dei misteri: come fa un oggetto dal chiaro sviluppo verticale, quale un veliero dell’epoca delle grandi esplorazioni, a passare attraverso un pertugio stretto come il collo di un tipico flacone per la birra o altra bevanda similare? Possibile che l’autore, in qualche modo, sia riuscita a costruirla con dei lunghi strumenti lavorando direttamente all’interno? Tutto è possibile. E se l’esperienza della storia dell’arte ci ha insegnato qualcosa, è che l’ingegno umano non conosce letteralmente limiti, quando si tratta di dare uno sfogo alla creatività. Quello che tuttavia non molti sanno, perché non è abitudine dei maghi svelare i loro arcani trucchi, è che esiste un metodo assai più semplice, eppure non meno funzionale, per giungere ad un risultato altrettanto ineccepibile nel suo complesso. Si potrebbe addirittura dire che ricordi vagamente il funzionamento del teatro delle marionette, con la sua pletora di fili per il controllo remoto di un movimento.
E che movimento! Come ci mostra in pochi attimi, con un’onestà disarmante, Rob della vecchia trasmissione televisiva australiana Curiosity Show, quasi come se volesse insegnarci il metodo per fare lo stesso. E non è impossibile pensare che qualcuno, all’epoca, abbia intrapreso la costruzione della sua versione, oppure un’intera serie di tali oggetti, basandosi su quanto stiamo per esprimere in parole semplici e dirette: la nave viene costruita fuori dal recipiente, avendo cura che lo scafo stesso, ricavato inevitabilmente da un singolo pezzo di legno, sia capace di passare attraverso il collo trasparente. Mentre per quanto concerne la sovrastruttura, ciascuno degli alberi è stato dotato di un minuscolo cardine e conseguentemente abbattuto in parallelo alla linea di galleggiamento. Le vele, incollate solo nella parte superiore, ricadono orizzontalmente sul ponte del modellino. Tutto il cordame ricade, invece, libero dinnanzi alla prua. A questo punto con estrema cura, Rob inizia il processo d’inserimento, lasciando quest’ultimo completamente al di fuori della bottiglia. E con un’ottima ragione: una volta incollata la nave stessa all’interno del vetro, mediante la mistura tradizionale di colla e plastilina color-del-mare, basterà infatti tirare questi fili verso l’esterno, perché l’alberatura torni eretta come il braccio di una minuscola catapulta. Et voilà, come direbbe un prestigiatore: l’impossibile è diventato realtà. Non è chiaro chi abbia inventato questo particolare approccio, né se fosse già noto, in effetti, all’epoca del marinaio senza nome della County of Pembroke. Si ritiene tuttavia che questo tipo di artifici, assieme al concetto stesso di creare una bottiglia “impossibile” e proprio per questo dannatamente affascinante, sia una tradizione importata in Europa Occidentale e negli Stati Uniti dal suo contesto geografico originariamente slavo, tra popoli che erano soliti impiegarlo come approccio alla venerazione religiosa o una sorta di ex-voto rivolto alla mente suprema dei cieli. All’epoca, ovviamente, l’oggetto al di là del vetro non era affatto un fiero metodo di spostamento al di là del mare, bensì una forma ancor più riconoscibile e a suo modo, stimata dal popolo per la sua fondamentale funzione. La croce sopra il Golgota, sopra cui era stato messo a morte il figlio di Dio.

Una grande collezione di Cristo in bottiglia si trova presso il Jubilee Museum di Columbus, in Ohio. Questa particolare forma di arte popolare, raramente creata con finalità commerciali, giunse probabilmente negli Stati Uniti tramite l’arrivo per nave di migranti dall’Est.

Di bottiglie della crocifissione, o bottiglie della passione, esistono numerosi esempi, vari almeno quanto l’aspetto delle diverse navi fatte oggetto della stessa idea realizzativa. Nella maggior parte dei casi è presente l’essenziale croce, soltanto a volte accompagnata dalla figura intagliata in legno del condannato Gesù. Altri oggetti inclusi nel piccolo diorama includono gli strumenti usati dai torturatori, come martello, tenaglie o chiodi, e il lungo manico della lancia che dovrà trafiggere il costato del Signore al termine della sua sofferenza. Spesso veniva incluso un piccolo cartiglio, assicurato al braccio superiore, recante la dicitura con il l’acronimo latino della croce, INRI (“Gesù il Nazareno, Re dei Giudei”). Per quanto concerne il metodo d’inserimento di un tale oggetto così tanto PLT (Più Largo del Tappo) possiamo desumere un approccio inerentemente simile a quello dei tappi con sistema bloccante all’inverso, che si dimostrarono particolarmente popolari negli Stati Uniti, durante la proliferazione locale dell’insolito passatempo: la componente orizzontale veniva inserita nella bottiglia separatamente, ma non prima che un sottile ed invisibile filo venisse assicurato ad essa e fatto passare all’interno di un minuscolo buco nella parte superiore del palo, assicurato al fondo della bottiglia. Tirandolo verso l’alto, quindi, ci assicurava che i due componenti si combinassero secondo le modalità desiderate. Un approccio che ritroviamo, come ulteriore accrescimento del mistero per i fruitori della piccola opera d’arte, nelle creazioni dell’ormai leggendario hobo (senzatetto vagabondo) di nome Carl Worner, vissuto in America nell’epoca del tardo Far West. Il quale era solito, ogni qual volta raggiungeva una nuova città recarsi presso il saloon locale, ed offrire una propria creazione in cambio di vitto, alloggio e la bottiglia ancora piena che si sarebbe scolato, prima di mettersi di nuovo all’epoca per guadagnarsi il pane. Il suo soggetto, assai prevedibilmente, si basava sullo stesso locale in grado di offrirgli ospitalità, riprodotto con dettagli certosini all’interno del flacone e completo di numerose figurine in legno di persone, vivande e arredamento. In alcune delle sue creazioni più famose veniva incluso un piccolo indovinello, riportato a chiare lettere sulla superficie del vetro: “Trovate l’uomo mancante.” Che si era andato a nascondere, sul fondo della bottiglia, dentro una sorta di “gabinetto” visibile soltanto inclinandola in una specifica maniera. Il destino di simili oggetti non era quindi poi così diverso da quello delle navi fin qui discusse, spesso scambiate dai marinai una volta a terra per i servizi maggiormente voluttuari (qualcuno sarebbe pronto a definirli “immorali”) della loro esistenza, tra cui alcol, tabacco ed altre simili amenità.
Altre bottiglie inusuali, molte delle quali mostrate e discusse a più riprese nei libri e apparizioni televisive di Susan Deupree Jones, una delle principali collezioniste al mondo in questo settore, includono quella datata 30 marzo del 1883, di un autore ignoto che intendeva pubblicizzare un drammatico fatto di sangue, relativo ad un giovane della Pennsylvania che aveva sedotto una ragazza e quindi ucciso il padre di lei, che intendeva costringerlo a sposarla, venendo successivamente perdonato da una giuria chiaramente corrotta o di parte. All’interno del flacone non è tuttavia riprodotta la scena del crimine, bensì semplicemente la figura stilizzata di un hobo, con tanto di fagotto legato ad un palo, accompagnata da un messaggio su carta recante la narrazione della vicenda. Dimostrando una maniera certamente insolita, eppure efficiente, di rendere noto il rischio dell’ingiustizia a vantaggio della posterità futura.

Un altro costruttore di navi in bottiglia disposto a rivelare i propri segreti è il barbuto Jim Goodwyn, durante questo segmento dello show CBS della domenica mattina. Non senza mancare di rivolgere un’accusa ai truffatori che “aprono e re-incollano la bottiglia” degradando una così nobile arte capace di unire diverse generazioni.

La definizione in lingua inglese di questo particolare canone espressivo è quindi whimsy bottle (curiosità in bottiglia) e viene allargata a tutto l’insieme di soprammobili costituiti da un recipiente il cui collo è chiaramente troppo stretto per far passare ciò che si trova, cionondimeno, all’interno. Il modo più semplice per ottenere un simile effetto, noto ai bambini di molti paesi, consiste nel prendere una pigna sottile e infilarla all’interno, ben sapendo che una volta seccata, questa tenderà ad aprirsi rendendo impossibile la sua successiva estrazione. Un principio applicato, in maniera diversa, anche al caratteristico brandy sudafricano di Babylonstoren, venduto con una pera intera preservata nell’alcol, chiaramente caratterizzata da proporzioni PLT. Per creare il quale, approccio più ingegnoso non poteva trovare l’applicazione: infilare il bocciolo si ramo dell’albero dentro il vetro, attendendo che la natura si occupi del resto.
E poi, ci sono i voli pindarici della fantasia: ricordate i “gattini bonsai” dell’anno 2000? Si trattò di una delle prime leggende memetiche internettiane, creata attraverso il sito di un buontempone di nome Dr. Michael Wong Chang che affermava di possedere un segreto proveniente dal remoto Oriente, consistente nel far crescere un cucciolo di felino domestico all’interno una bottiglia, in modo che esso adattandosi a un tale stile di vita innaturale avrebbe avuto, alla fine, dimensioni simili a quelle di un topo. Una storia assurda che riuscì lo stesso a sollevare un polverone mediatico, culminante con un’indagine dell’FBI con tanto di ordine esecutivo firmato da Bill Clinton in persona, finalizzata a chiarire come si trattasse soltanto di uno scherzo. A nessun gatto era stato fatto del male per creare le bizzarre foto mostrate sul sito web. Eppure, nella mente di molti, il dubbio restava. Possibile che quello che i marinai facevano coi loro stuzzicadenti e pinzette acuminate, fosse al di fuori della portata della natura stessa, coadiuvata dalla mano sovversiva dell’uomo? Forse, chissà, da qualche pare, un gatto minuscolo miagola ancora. Non ci sarebbe del resto alcunché da meravigliarsi, se il suo creatore provasse una sincera vergogna di quanto è riuscito a fare…

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