La profezia riemersa con le pietre fluviali del Centro Europa

“Hier ist! Hier ist sie!” 1417, 1616, 1707 […] 1842, 1921. E oggi, sul finire dell’estate del 2018 finalmente o inevitabilmente [esse] tornano a sporgersi e fare capolino. Allora come adesso, di nuovo, benché il significato debba necessariamente essere di tutt’altro tipo. Ma davvero, siamo al di sopra di qualsivoglia preoccupazione… Il 25 aprile del 1945, al termine di una sanguinosa campagna combattuta sui due fronti, l’esercito americano e quello russo terminarono di attraversare i verdeggianti campi punteggiati dalle bruciature e i crateri delle bombe. Dopo una lunga marcia, annotate le città abbandonate, i centri di comando con le insegne coperte di polvere e i possenti panzer ormai privi di carburante, del tutto immobili a lato della strada, i soldati scorsero le loro controparti dalle uniformi non familiari dall’altro lato di un nastro scintillante. Esso era, come chiaramente indicato sulle carte geografiche, il fiume Elba, che nasce nella Repubblica Ceca per sfociare nel Mare Nord. Alcuni tra i più coraggiosi loro quindi, ringraziando silenziosamente i distanti alleati, si tolsero gli stivali e con un gesto spontaneo quanto umano, corsero loro incontro sulle sabbiose sponde. Fu forse allora che più avanti ed in mezzo ai flutti, scorsero affiorare delle formazioni rocciose occulte, dalla forma stranamente smussata e regolare. Sulle quali, sarebbero stati pronti a giurare, sembravano comparire degli strani messaggi.
“Se mi leggi, piangi” oppure “Abbiamo pianto – stiamo piangendo – piangerai anche tu” seguito da “Chi mi ha visto, ha pianto. E adesso piangerà di nuovo”. Con il solo remote barlume d’ottimismo offerto da “Non piangere ragazza se il tuo campo è affetto dalla siccità. Ma riempi d’acqua il tuo annaffiatoio, quindi inizia subito ad irrigare.” Sembrava esserci una sorta d’ossessione per le lacrime, nell’opera degli autori delle famose hungersteine o pietre della fame, testimonianza epigrafica di come gli antichi vivevano il proprio rapporto col clima, in un’epoca antecedente all’efficienza dei trasporti moderni, l’invenzione dei frigoriferi e dei fertilizzanti. Quando un raccolto troppo poco abbondante poteva significare carestia, sofferenza e mestizia per l’intera popolo di una regione. Quasi come se nel momento in cui si vede fuggire via ogni speranza di salvezza, lo scenario auspicato fosse quello di un secondo fiume di provenienza oculare destinato a sostituire quello ormai inutile del paesaggio, che si trasformerà in lento torrente nei molti giorni a venire. Non a caso in effetti, a quanto ci è stato tramandato, i loro autori erano spesso i barcaioli dell’Elba e degli alti fiumi mitteleuropei, per cui l’interruzione del grande corso non significava soltanto siccità e conseguente carenza di provviste, ma l’effettiva impossibilità di navigare fino a un ritorno alla normalità, con conseguente cessazione della loro principale, per non dire unica fonte di guadagno. Queste pietre, tra le testimonianze di natura idrica più antiche del nostro continente, rappresentano una tradizione importante di questa terra e i suoi più immediati dintorni, concepita come testimonianza che il clima, ancora una volta, stava per tradire gli esseri umani. Il funzionamento può essere descritto come decisamente intuitivo e riassunto nel caso forse rimasto più celebre, del pietrone collocato in prossimità della città di Decin della Repubblica Ceca, sotto lo svettante ponte di Tyrs vicino il confine della Germania. Da cui i paesani avrebbero facilmente potuto leggere, una volta che l’acqua fosse discesa al di sotto di un certo livello, il chiaro contenuto del messaggio. Che non era soltanto, come fin qui descritto, un avviso generico a prepararsi ad affrontare tempi duri. Contenendo piuttosto, ai margini dello stesso, una serie di cifre indicanti anni, per costituire la cronistoria di quali e quante volte, effettivamente, la pietra si era già ritrovata a nudo. Perciò è praticamente impossibile fare a meno di chiederselo: ci sarà qualcuno, anche stavolta, a cui verrà conferito l’incarico di avventurarsi fin giù con mazza e scalpello, al fine di mantenere viva l’antica tradizione? Oppure, nel prevalere di un soggettivo bisogno di “preservare” il bene storico, ancora una volte ci s’inoltrerà in direzione diametralmente opposta alla sola ed unica strada della memoria…

Le pietre della fame assumono molte forme e dimensioni diverse. Alcune recano iscrizioni parzialmente cancellate dalla corrente, eppure tutti, nei loro paesi di provenienza, rammentano ancora il loro terribile messaggio.

Esiste un concetto per certi versi analogo e per altri diametralmente opposto, nonché molto più recente lungo il corso della storia, delle pesantissime hungersteine. Esso trova collocazione fisica, casualmente, in quell’angolo di globo che prende il nome di Giappone, dove l’ostilità degli elementi, piuttosto che un motivo ricorrente per correre ai ripari, costituisce la base di uno stato di terrore pressoché costante, pronto a trovare realizzazione per l’insorgere di tifoni, eruzioni e terremoti. Soprattutto questi ultimi, sopratutto se caratterizzati, in uno dei casi più terribili, da un epicentro situato in mare. Le chiamano tsunami-ishi (pietre dell’onda anomala) e contengono anch’esse, come le loro corrispondenti d’Europa, un messaggio cautelativo: “Fin qui giunse il mare nel giorno fatidico dell’anno X. Che nessuno osi costruire la propria casa oltre questo punto.” Esplicite nonché dirette, come la cultura che le ha implementate. Eppure esiterei, dovendo ordinare le due soluzioni in base all’utilità, sulla base di quello che i posteri avrebbero potuto, effettivamente, industriarsi a fare per sopravvivere al futuro disastro. Edificate tutte nel corso dell’ultimo secolo, le pietre nipponiche si rivolgono a un mondo già dotato di comunicazione mediatica e un sistema d’interscambio globalizzato. Lo stesso che finalmente, accogliendo nella propria coscienza il messaggio degli antichi, potrebbe reagire in maniera positiva nei confronti del messaggio riemerso ad agosto dai flutti turbinanti dell’Elba.
Già, la fame. Un concetto universale e aleatorio, che sembra esulare così drammaticamente spesso dal suo significato indicato semplicemente sul dizionario, come analogia cosmica dell’insoddisfazione. Mancanza dei propri bisogni, intesa come carenza pecuniaria o di realizzazione personale. Condanna inesorabile a uno stato futuro d’indigenza. Caso vuole d’altronde, che la fame temuta sia molto spesso peggiore di quella reale. Perché ci porta a percorrere, un passo dopo l’altro, la strada inesorabile della rovina. Sono almeno dieci anni che la costante modifica dello stato orografico dei tributari dell’Elba e del Reno, condizionati dalla recente costruzione di dighe e briglie finalizzate alla generazione di energia elettrica, sta abbassando sistematicamente il livello del fiume, portando al riaffioramento di un numero sempre maggiore di hungersteine. Potrebbe dunque sembrare che l’antico avviso, invalidato causa manomissione delle condizioni originarie della sua apparizione occasionale, possa venire subordinato al fatto che dopo tutto, oggi, la siccità è un problema trascurabile che non condiziona in alcun modo il nostro benessere o sopravvivenza. Ma siamo davvero sicuri di questo? D’altra parte, la stessa mentalità aziendale/corporativa che ha condotto verso la ricerca di tali facili margini di guadagno resta alla base di un progresso industriale non sempre responsabile, non sempre attento alle ragioni e il rapporto causa-effetto che condiziona il progressivo mutamento del clima. Nel giro delle prossime generazioni, con l’incremento misurabile e dimostrato delle temperature terrestri, la vista della pietra di Decin potrebbe diventare comune come ogni altra componente del paesaggio campagnolo locale. Oppure, a causa della preventivata costruzione di una seconda diga, questa volta più avanti sul corso del fiume, scomparire del tutto alla vista per non tornare mai più. E con lei, ogni residua preoccupazione. Esiste a tal proposito un vecchio detto diffuso in metà dell’Asia: “Il tempo della memoria non supera tre generazioni.” Per alcuni, si tratta di un avviso relativo all’inevitabile dissoluzione dei beni accumulati dai propri predecessori. Per altri, c’è (molto) di più…

La siccità di quest’anno del fiume Elba ha portato a una profonda modifica del tratto antistante l’affascinante città di Dresda. Viene da chiedersi per chi, tutto questo, possa aver aperto la strada verso un’analisi di quello che potrebbe attenderci nell’immediato futuro.

Affrontare il tema del riscaldamento terrestre attraverso le testimonianze che ci vengono date dagli antichi è sempre un’impresa problematica. Poiché offre, ai detrattori dell’interpretazione scientifica del mondo o specifiche parti di essa, un’argomentazione superficiale del tipo “Le improvvise fluttuazioni di temperatura o umidità sono sempre esistite. Noi siamo sopravvissuti. Dunque, perché preoccuparsi?”
Laddove in effetti, l’insegnamento che se ne può trarre è di tutt’altra natura, se vogliamo più interna a ciò che comporta e significa, oggettivamente, percorrere l’esperienza di una vita umana. Esisteva, un tempo, la chiara cognizione che il mondo fosse molto più forte, ed infinitamente più spietato di noi. Poi grazie al progresso tecnico, gli aerei e i computer, Internet e i cani robotici connessi allo smartphone, l’uomo è diventato il dominatore di ogni cosa che ha attorno. O almeno, questa è l’idea generale. Non del tutto priva di basi nella realtà dei fatti. sarebbe sciocco negarlo! Il problema di perseguire i vantaggi che derivano dal possesso di un quadro d’insieme, è che ciò richiede la capacità d’interpretare ed elaborare i dati di un quadro d’insieme. Quando tra tutti, proprio la classe di chi potrebbe decidere, in maniera tutt’altro che casuale, ha ben pochi interessi o strumenti per farlo. E questo davvero nessuno, tra i fondatori del nuovo ordine globale “finalmente ragionevole” che stava nascendo in quel fatidico giorno del 25 aprile 1945, avrebbe mai pensato che potesse costituire un problema allora, in futuro e mai. Eppure neanche le pietre restano del tutto immutate, dinnanzi alla furia battente degli elementi.

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