Cavalli e altre figure disegnate nello scheletro delle colline

Figurano senz’altro tra le immagini chiaramente inscritte nel repertorio della fantasia comune contemporanea, quella dell’uccello dalle ampie ali, del ragno geometrico e la scimmia, la lucertola e le altre messe in mostra sopra il suolo del deserto peruviano, dall’antica civiltà dei Nazca tra il 300 e il 500 d.C. Geoglifi dell’ampiezza di 300, 380 metri, fantastici e moderni nello stile fortemente idealizzato che li caratterizza. È curioso e significativo, tuttavia, che un’espressione molto simile dell’arte primordiale, al tempo stesso più antica ed a noi notevolmente più vicina, sia largamente sconosciuta all’opinione pubblica europea. Per lo meno fuori dal suo paese di provenienza, l’Inghilterra. Luogo di gigantesche pietre disposte in cerchio per formare antichi osservatori, ma anche anomali prodotti della geologia, colline, montagnole ed alture in cui grattato via lo strato superiore del terreno, compare il gesso bianco come l’osso che costituisce il grosso della massa sottostante. Uno stato dei fatti, questo, che può essere descritto solamente come origine di ogni ispirazione, ovvero in termini televisivi, il prototipo dell’Art Attack.
Certo è probabile che, circa 3.000 anni fa (verso la fine dell’Età del Ferro) la creatività dell’uomo fosse propensa ad instradarsi nella riproduzione di quello che aveva modo di vedere coi suoi stessi occhi primitivi. E non abbiamo alcun esempio, tra i ritrovamenti parietali sotterranei o le altre pitture miracolosamente giunte fino a noi, di arte astratta totalmente scollegata dall’espressione quotidiana dell’esistenza. Eppure questo non significa che i nostri remotissimi antenati fossero del tutti privi di talento: guardate, ad esempio, i ritratti di animali che ricoprono la celebre grotta di Lascaux, raffiguranti tra gli altri tori giganteschi, uri ed altri animali oggi estinti. O il colossale cavallo realizzato ad Uffington, nella contea dell’Oxfordshire, della lunghezza di 110 metri dal muso alla punta della sua lunghissima coda arcuata. Secondo un canone estetico che sembra concepito più che altro per esprimere l’idea del dinamismo, di questa creatura nobile e scattante, attraverso il numero minore di linee, con una concisione che in altre circostanze o località geografiche, si potrebbe quasi definire Zen. Chi ha tracciato tutto questo? Non si sa. Per quale ragione l’avrebbe fatto? Anche questo, a voler essere pignoli, non è chiaro. Benché le teorie naturalmente abbondino, compresa quella più probabile secondo cui si tratterebbe di un’insegna territoriale, tracciata all’epoca per indicare che l’intera zona era sotto il controllo di un’autorità, oggi convenzionalmente definita “il clan del Cavallo”. Non per niente, nel corso dell’ultimo secolo sono state ritrovate alcune monete risalenti alle origini della civiltà britannica, sopra le quali figura la rappresentazione dello stesso cavallo, facendone un probabile sigillo ricorrente dell’organizzazione sociale di allora. Ma proprio simili ritrovamenti, incidentalmente, si trovano alla base dell’assai difficile datazione, facendo di questo cavallo l’unico geoglifo inglese la cui autenticità è ritenuta pressoché certa. Diversamente dalle molte imitazioni presenti nel Sussex, nello Wiltshire e nell’Aberdeenshire, generalmente più simili alla sagoma di quello che potremmo definire un “cavalllo” eppure tutte risalenti al periodo che va dal 1700 alla seconda metà del XIX secolo. Tutt’altra questione invece per un paio di figure antropomorfe, in merito alle quali sussiste per lo meno un certo grado di sospetto d’autenticità.
Esse sono: l’Uomo Lungo (72 metri) di Wilmington, silhouette con strette nelle mani due lunghi bastoni sui quali, in base ad alcuni disegni d’epoca, un tempo trovavano posto gli accessori necessari a farne un rastrello e una falce, simboli universali dell’agricoltura; e l’assai più famoso, nonché scurrile, gigante di Cerne Abbas. Scavato per 55 metri in Dorset sull’omonima collina, con il possibile scopo di rappresentare una divinità pagana legata al culto della fertilità, vista la totale assenza di vestiti nonché l’evidente erezione, posta in giustapposizione con una grossa clava tenuta sopra la testa. Che potrebbe anche rappresentare, secondo alcuni,  il dettaglio (si fa per dire: è lunga già da sola 37 metri) concepito la fine d’identificare il personaggio, che in tal caso dovrebbe essere niente meno che Ercole, la versione latina dell’eroe figlio di Zeus, Eracle il fortissimo guerriero e cacciatore. Oppure, nell’interpretazione meno antica del geoglifo, semplicemente il dittatore militare del XVII secolo Oliver Cromwell, così raffigurato per mettere in ridicolo la sua dura lex, esercitata nella punizione sistematica di chiunque auspicasse alla restaurazione della monarchia inglese. Senza mai essere sconfitto in battaglia, almeno fino a che contrasse la malaria e un brutto caso di calcoli renali, lasciando le sue truppe impreparate a cedere sotto l’assalto di re Carlo II, che riuscì a riconquistare la capitale. Di certo, ad ogni modo, una simile interpretazione non spiega l’evidente stato di eccitazione sessuale del gigante…

Benché i titoli del genere click-bait tendando generalmente ad essere inesatti, bisogna ammettere che Tom Scott sta in questo caso realmente “Colpendo con il martello un’opera d’arte antica di 3.000 anni!”. Un caso evidente di correttezza formale. Se non metaforica, o in qualsivoglia modo spirituale.

I geoglifi d’Inghilterra costituiscono un’importante risorsa culturale e turistica di ciascuna contea, al punto che possiamo ipotizzare un’opera ininterrotta di mantenimento a cadenza quasi annuale per ciascuno di essi, dal giorno della loro messa in opera e finché la gente continuerà ad interessarsene, fino all’eternità. Fondamentale caratteristica di queste figure, create scavando direttamente nella collina piuttosto che spostando pietre come nel caso delle piane di Nazca sudamericane, e il trovarsi in un clima particolarmente umido e rigoglioso, dove la crescita continua dell’erba non può fare a meno di minacciarne l’esistenza. Ragione per cui, come occasione d’incontro durante le fiere di paese a cadenza annuale o altre ricorrenze del vicinato, avviene che la gente stessa di ciascuna contea debba riunirsi nei pressi del proprio cavallo o gigante, per mettersi al lavoro sradicando vegetali, aggiungendo gesso e sminuzzandolo in maniera che non possa rotolare via con eccessiva facilità. Mentre per i cultori delle antiche religioni pagane, non sussiste alcun dubbio: certamente gli Dei della pioggia e del vento devono aver protetto queste espressioni di chiara devozione nei loro confronti, evitando che l’erosione naturale li portasse a scomparire completamente dal mondo.
Non tutte le figure sulle colline, ad ogni modo, presentano le immagini di uomini, cavalli o un’unione delle due cose (vedi quella di Osmington, che dovrebbe raffigurare re Giorgio III in groppa al suo fidato destriero) sopratutto nei casi più moderni, che tendono a deviare in modo assai più significativo dalla tradizione. Vedi i celebri stemmi di Fovant, sopra un rilievo del territorio in Wiltshire, raffiguranti gli emblemi di diversi reggimenti temporaneamente stazionati da queste parti al principio dello scorso secolo, in attesa di partire per la grande guerra destinata a porre fine a tutte le altre, almeno nell’idea di chi dava ordine alle diverse nazioni di allora. Ma così non fu e forse anche per questo, lasciati a loro stessi per un periodo eccessivamente lungo, almeno un paio di stemmi sono andati perduti per la noncuranza senza lasciare la benché minima traccia. Il metodo impiegato dai militari di allora, nel frattempo, ci offre una valida finestra sull’approccio probabilmente usato in epoca neolitica e/o medievale: c’era un artista sopra un’alta torre di legno temporanea, il quale dava direzioni ben precise ai suoi operosi sottoposti, mentre tentava di mantenere chiaro il quadro generale della questione. E c’era l’approccio più invasivo di scavare delle lunghe trincee con un aratro o altro meccanismo similare, per poi riempirle con del gesso proveniente da un altro sito di scavo. Garantendo, questo modo, una sopravvivenza più lunga dell’immagine rappresentata, a beneficio del posteri immensamente remoti. Una considerazione importante, inoltre, va fatta in relazione al sito scelto per ciascuna figura: un rilievo antistante a un’ampia valle, da dove la gente poteva guardare in alto e prendere spontaneamente familiarità con l’immagine, scacciando ogni bizzarra teoria sulla necessaria esistenza di “astronavi” o “antichi elicotteri” capaci di trasportare la popolazione in cielo, per apprezzare la strana arte dei propri antichi contemporanei. Altri geoglifi fuori dal normale, dal canto loro, sono quello del leone del Bedfordshire, 147 metri di belva bianca risalente al 1933, concepita come manifesto pubblicitario permanente per il vicino zoo/parco di Whipsnade. O il volto di un panda da 16 metri comparso “misteriosamente” nel 1969 nel Galles settentrionale, successivamente rivelatosi uno scherzo di alcuni studenti della vicina università. Per non parlare dell’ancor più recente Homer Simpson intento a divorare una ciambella, creato negli anni 2000 per pubblicizzare il film un po’ TROPPO vicino al gigante di Cerne Abbas, così che i protestatori locali ne ottennero la pressoché immediata demolizione.

In questa vecchia ripresa del gigante di Cerne Abbas viene mostrata l’arma segreta del contadino nella continuativa campagna per il suo mantenimento: un gregge di pecore, gran divoratrici di tutta l’erba in eccesso.

Bianche e solide come le scogliere di Dover, le figure sulle colline inglesi continuano la loro guardia senza tempo di un mondo di tradizioni e folklore ormai lungamente dimenticati. Chi può davvero dire, ancora adesso, di conoscere i dogmi delle antiche religioni… Ma ciò che non può trascorrere, perché nessuno è propenso all’indifferenza in merito, è il valore senza tempo né confini dell’arte. Perché osservare, oggi, un’immagine come quella mostrata in apertura del cavallo di Uffington, non può che evidenziare una certa somiglianza coi moderni loghi aziendali, quasi un richiamo all’iconica virgola del marchio sportivo Nike.
A eterna dimostrazione, se davvero se ne sentiva il bisogno, che ciò che è bello un giorno può continuare ad esserlo anche per un periodo di 3.000 anni. Basta approcciarsi col giusto rispetto situazionale, o l’intenzione di approfondire ciò che una cosa simile realmente avrebbe voluto significare, dinnanzi al ciclo inarrestabile delle Ere. Ma è difficile, dopo tanti secoli, che il mero studio oggettivo dei fatti possa bastare a farlo. Occorrerà, molto probabilmente, fare ricorso alla risorsa istintiva dei sentimenti.

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