Costruita sfera Pokemon per i biologi marini

Le più svariate motivazioni possono spingere qualcuno ad intraprendere il sentiero della scienza, tra le carriere più complesse, talvolta difficili e non sempre ricche d’immediate soddisfazioni. Può comunque causare un certo grado di stupore, la cognizione che al giorno d’oggi una di esse possa essere “Gotta catch’em all!” Ovvero lo slogan pubblicitario di un gioco elettronico che cambiò la storia di quel particolare media, dimostrando quanto fosse divertente catturare, far crescere e poi sfruttare in combattimento un grande numero di bestie immaginarie, tra il buffo, il fantastico e il mostruoso. Già, così tanto tempo è passato da quando Satoshi Tajiri, figlio di un venditore d’auto e una casalinga, dopo gli anni della sua rivista auto-prodotta sul media digitale interattivo ebbe modo di proporre a Nintendo un utilizzo mai pensato per prima per il cavo di collegamento del suo Gameboy: farci passare dentro insetti ed altre creature, affinché i bambini potessero “scambiarli” tra di loro. Era il 1996 ovvero abbastanza perché alcuni di coloro che crebbero facendo esattamente questo, oggi, siano dei ricercatori affermati nei rispettivi campi di competenza. Dove la realtà, talvolta, tende a superare di molto la fantasia. Che Zhi Ern Teoh, allora studente per il dottorato presso la prestigiosa divisione ingegneristica di Harvard, sia stato in precedenza un fan dei Pokémon dovrà per forza restare una mera speculazione. Nulla di simile è stato effettivamente dichiarato in alcuna intervista, conferenza stampa o biografia accademica. Tuttavia, è soprattutto osservando il frutto del suo lavoro, e in modo particolare l’utilizzo che quest’ultimo potrà riuscire ad avere sul campo, che la maggior parte dei siti Internet sembrano essere giunti alla stessa identica conclusione. Questo perché il RAD Sampler, l’apparato diventato oggetto dell’interesse collettivo proprio in questi giorni, a seguito della sua trattazione sulla rivista Science Robotics, sembra ricordare tanto da vicino l’orpello cardine dell’intera serie di videogiochi, giochi di carte e cartoni animati creata oltre due decadi fa. Molti dimenticano a tal proposito, seguendo in pieno il patto finzionale dell’autore, che il mondo dei mostri collezionabili non sia soltanto una fantasia di tipo biologico, ma anche e sopratutto purissima fantascienza. Nelle meccaniche di funzionamento della Pokéball (in italiano, sfera Poké) un attrezzo capace di “catturare” i mostriciattoli trasferendoli letteralmente in un universo quantistico parallelo. Come spiegare, altrimenti, il modo in cui un oggetto dal diametro approssimativo di una palla da tennis possa contenere draghi, pterodattili o giganteschi leviatani volanti? Ebbene io posso dirvi, con una certezza che proviene solamente dalla logica, che chiunque abbia cognizione di tutto questo, lavorando nel contempo in un qualsiasi campo di studio degli animali di questa Terra, un tale miracolo l’ha sognato più volte, come approccio super-semplice alla cattura di esemplari per la sua ricerca, soprattutto se appartenenti a specie difficili da maneggiare senza rischiare involontarie quanto problematiche conseguenze.
Sto parlando, per venire finalmente al nesso della questione, dell’opera di chi deve approcciarsi alle creature marine, per loro implicita natura alcune delle forme di vita più varie ed eclettiche del nostro pianeta. Il che sottintende che, per ogni pesce reso compatto dallo scheletro, molle cefalopode o mollusco corazzato, c’è una minuscola medusa predisposta a disgregarsi non appena viene toccata da mano umana, lasciandosi dietro il regno della materia osservabile e con esso, ogni proposito di essere attentamente studiata. Successe così che il giovane frequentatore della più famosa università statunitense, un giorno del 2014 scegliesse di partecipare a un corso del professore associato Chuck Hoberman dell’Istituto Wyss, divisione di Harvard deputata all’ingegneria ispirata ai processi naturali organici, nella quale si parlava di creare meccanismi capaci di piegarsi grazie a precisi calcoli matematici. Dal che lui scelse di elaborare, seguendo l’ispirazione del momento, un nuovo tipo di poliedri automatici, in cui l’applicazione di un singolo punto di pressione avrebbe indotto l’apertura, o chiusura del poligono di contenimento. L’idea di applicare una simile creazione nel campo della biologia marina, quindi, non sarebbe arrivata che qualche tempo topo, grazie al contributo di Brennan Phillips, un altro studente oggi assistente del dipartimento d’Ingegneria, il quale fece notare al suo collega quanto sarebbe stato utile poter disporre di un simile apparato per raccogliere campioni a notevoli profondità, in forza della sua semplicità di funzionamento, la quantità ridotta di parti mobili e la natura modulare del meccanismo. A quel punto il demone era metaforicamente fuori dalla bottiglia, il che poteva anche significare che c’era una bottiglia vuota, pronta ad accogliere le sopracitate, delicatissime meduse dei mari…

Uno dei punti più importanti nei sistemi pieghevoli di questo tipo è il sistema impiegato per i cardini, che devono risultare sufficientemente rigidi pur avendo la flessibilità necessaria a tollerare microscopici, ma inevitabili errori di fabbricazione. Ulteriore ragione per cui il silicone si è rivelato un’ottima scelta di materiale.

Osservato nella sua forma più basilare, il RAD (Rotary Actuated Dodecahedron) non è altro che la versione spalmata di quella specifica forma geometrica, utilizzata per i grossi dadi di Dungeons & Dragons nella determinazione dei tiri di salvezza, in cui ogni faccia può corrispondere a un numero da 1 a 12. Ma che nel caso di quella che Internet ha deciso di definire una “sfera” subacquea di cattura (che in realtà tutto è, tranne che una sfera) appaiono totalmente prive di marchi, pallide e semitrasparenti. Questo perché, aspetto forse non propriamente evidente, ciascuna di esse è composta di morbido silicone, al fine di scongiurare ulteriormente eventuali danni al campione scelto per l’intrappolamento. Tutto in nome della scienza, ma anche uno spontaneo e condivisibile amore per le creature rare. Nel momento dell’utilizzo, dunque, il sampler apparirà come un fiore spianato fra le pagine di un libro, in cui ogni petalo è composto da un susseguirsi immoto di pentagoni interconnessi tra di loro. Tuttavia pronto ad animarsi non appena la torsione inizierà ad essere immessa nel sistema da parte di un semplice motore elettrico, chiudendosi a qualsiasi ritmo l’operatore ritenga necessario. Dovete immaginare, a tal proposito, un impiego tutt’altro che manuale, bensì condotto grazie a un sistema telecomandato assieme a un piccolo batiscafo o sommergibile d’altro tipo, da sempre strumento principe delle osservazioni marine, anche a notevoli profondità. Un ambiente per il quale, incidentalmente, l’apparato di Teoh appare assolutamente predisposto, visto il test già avvenuto, di cui si parla estensivamente anche nella press release dell’università (purtroppo, l’articolo rilevante è visionabile soltanto a pagamento). Un’immersione tra i 500 e i 700 metri dalla superficie a largo delle coste californiane, condotta grazie un ROV fornito dall’acquario di Monterey Bay, durante la quale sono stati catturati e rilasciati alcuni esemplari di seppia e medusa, senza causargli il benché minimo danno o segno evidente di stress. Non prima, ovviamente, che il poliedro fosse stato testato anche nella situazione più controllata di una vasca artificiale, risultando più che mai convincente nella sua modalità intrinseca di funzionamento.
Il RAD sampler non costituisce ad ogni modo una creazione del tutto isolata, bensì l’ultimo capitolo della lunga serie di apparati utilizzati dagli studiosi del mare attraverso gli anni, al fine di procurarsi esemplari in merito a cui annotare con calma le proprie osservazioni. Questione fondamentale di questo campo di studio, in effetti, è proprio la quantità e natura variabile degli strumenti a disposizione, ciascuno dei quali presenta una vasta gamma di punti forti ed alcuni, specifici problemi. Le reti a maglie larghe ad esempio non riescono a trattenere i pesci più piccoli, mentre quelle più simili a zanzariere finiscono necessariamente per essere spostate in maniera più lenta, permettendo ai più grandi di scappare. Altri sistemi idonei per il fitoplankton, come le cosiddette reti bongo o a tamburo, tendono a spingere i pesci l’uno contro l’altro, in un’esperienza non propriamente piacevole per nessuna della parti coinvolte. Le reti fyke, nel frattempo, trappole capaci di operare in autonomia, tendono talvolta a intrappolare a lungo termine un mammifero marino dotato di polmoni, causando per lui un effettivo rischio di annegamento. La sfera Poké di Harvard si colloca, di contro, nel reame degli attrezzi dall’uso ancor più specifico come i “grab”, ovvero delle letterali pinze per il sollevamento di terra, capaci di chiudersi lungo specifici tratti di fondale permettendo alla micro-fauna di essere condotta rapidamente verso la superficie. Stiamo parlando dopo tutto, di quasi esattamente la stessa cosa esclusa la zavorra solida, sostituita unicamente dall’acqua necessaria a garantire la sopravvivenza della piccola gemma vivente, rapita dagli abissi in quella che lo stesso creatore definisce “Qualcosa di simile ad un rapimento alieno”. Il che ci conduce, a stretto giro di lancette, verso il futuro di questo ed altri simili meccanismi, particolarmente auspicato dal suo giovane creatore…

Questo complicato sampler costituito da una serie di bottiglie auto-sigillanti, mostrato dal canale scientifico di Euronews, costituiva fino a poco tempo fa il modo migliore per catturare plankton e microrganismi vari. Ma chi può dire, entro qualche anno, quanti scienziati sceglieranno ancora di farvi ricorso?

“Spazio” come diceva qualcuno: “L’ultima frontiera”. Un confine che siamo tutti, chi più che meno, ansiosi di oltrepassare, particolarmente quando vengono diffuse notizie come quella degli ultimi giorni, secondo cui un lago di acqua sotterranea sarebbe stato scoperto circa un chilometro e mezzo sotto il Polo Sud di Marte. Una distanza, per inciso, facilmente raggiungibile da molte delle trivelle minerarie che usiamo qui sulla Terra, naturalmente a patto che qualcuno, prima di farlo, riesca un giorno ad arrivare sul più famoso pianeta rosso del nostro Sistema Solare.
E come pensate, a quel punto, che i fortunati astronauti possano portare a termine l’eventuale “primo contatto” con forme di vita che potrebbero o meno esistere, facendo il primo passo verso la risoluzione di uno dei misteri più antichi della nostra stessa esistenza? Il poliedro pieghevole harvardiano è un sistema come tanti altri, ma è anche un sistema, probabilmente, molto migliore di altri. Perché come sappiamo fin troppo bene dalla nostra letteratura fantastica d’evasione, è sempre meglio comportarsi con gentilezza, ogni qual volta s’incontrano forme di vita ignote o bizzarre, almeno quanto i membri del consorzio di mostriciattoli di Satoshi Tajiri. Chi può realmente dire, dopo tutto, in che forma possa presentarsi inizialmente un’intelligenza, o saggezza, persino maggiori di quelle di noi, remoti discendenti degli ominidi di questa Terra..

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