Artista crea minuscolo coltello da un bullone

Come raccontato al mondo nel documentario Le avventure di Crocodile Dundee ogni anno, in Australia, viene celebrata la festività dell’estrazione delle lame. Sulla base di un’antichissima tradizione (secondo le metriche locali, circa 10, 15 anni) i più rinomati cacciatori di bestie selvatiche del paese si radunano per le strade di Sydney, addobbate per sembrare New York, e mettono in scena innumerevoli rapine a mano armata. Metà di loro interpreta i malviventi, l’altra metà il turista soltanto apparentemente sprovveduto. Alla minaccia mediante arma bianca dei primi nei confronti dei secondi, quindi, questi si affrettano a portare una mano nella tasca del gilè color coloniale; per estrarne un’attrezzo tagliente più simile a un machete, una spada o un’alabarda, mentre pronunciano la sacra liturgia: “E quello me lo chiami coltello? QUESTO è un coltello, QUESTO è un coltello…” Ed ecco, signori, la ragione per cui il più isolato dei continenti possiede il primato dei più grandi, e dei più piccoli strumenti da taglio. Ma quello che non tutti sanno, oppure scelgono di non sapere, è che la specifica forma del coltello di Crocodile Dundee non era in alcun modo rappresentativa del suo paese, costituendo a tutti gli effetti, dalla punta della lama fino al pomolo dell’elsa, un grande simbolo dell’estetica e design statunitense. Un perfetto esempio di Bowie Knife, che è poi anche il cognome di James “Jim” pioniere del XIX secolo, famoso combattente di strada, rivoluzionario e cacciatore, il quale riteneva che anche in epoca moderna, l’americano medio avesse tutto l’interesse a portare con se un’attrezzo largo e pesante come una daga romana, utile in tutte quelle situazioni in cui una pistola sarebbe risultata inadatta, come sbucciare una mela, recidere una cima o scuoiare un cervo abbattuto in mezzo a una radura del Missouri.
La giorno d’oggi tuttavia, la miniaturizzazione è considerata molto importante. Nell’epoca delle automobili biposto e i pasti salutisti microbiotici, degli all-in-one “da grafico informatico” e i Nintendo Switch con schermo e joypad integrati, un uomo è pronto a dimostrarci la facilità con cui un coltello Bowie può essere inserito nel portafoglio, per tutti quei casi in cui si voglia essere pronti a microscopici assalti, o più semplicemente ci si rechi per una piccola visita nel paese dei wallaby e dei ragni paralizzanti. Il suo nome è Bobby Duke (Arts) e il modello scelto per la sua creazione, nel presente caso, altro non sarebbe che il Legionnaire Bowie, arma realizzata dal designer Gil Hibben per il film The Expendables 2. Certo, nessuno penserebbe mai di dubitare… Che il prodotto di un creativo del cinema, la cui specializzazione tecnica è “disegnare i coltelli di Sylvester Stallone” (curò ad esempio, anche quello di Rambo) sia il massimo della praticità e convenienza, unite a un aspetto in grado di generare sconforto nel cuore dei potenziali ladri dei fumosi vicoli di periferia. Il fatto poi che questo giovane collega riesca a mantenerne intatto il fascino, in una versione non più lunga di 8-10 centimetri, è una chiara dimostrazione dell’abilità dei nuovi maker, gli artigiani in grado di costruirsi una reputazione su YouTube. E la minuscola arma, completa d’impugnatura in pakkawood, curvatura a sciabola e persino la rinomata “tacca spagnola” che il vecchio “Jim” era solito impiegare per disarmare i suoi nemici, ne è una chiarissima dimostrazione. Soprattutto quando si prende in considerazione il primo passo del processo utilizzato per crearla: acquistare, presso un brico, il più umile del componenti nel contesto dell’assemblaggio industriale. Nient’altro che un singolo, insignificante bullone. Va da se che il pregio del metallo costituente, inossidabile prodotto della metallurgia contemporanea, avrebbe fatto l’invidia di qualsiasi scannatore dei tempi del Bowie storico. E poi, restando in tema cinematografico, chi ha detto che le proporzioni contano? Di sicuro non il nano verde, sul pianeta paludoso Dagobah. La cui sapienza nella strada della Forza, non ammette forse. E neppure l’ombra di un “Mah!”

Il marchio di un vero artista, molto spesso, è saper lavorare con materiali diversi tra loro. Come questa pietra decorativa da giardino, trasformata dal nostro Bobby nella ragionevole approssimazione di un’idolo animista polinesiano o vichingo.

“Quanto costa?” “Me lo vendi?” “Fallo in serie.” Sono tre dei commenti più riprodotti in calce alle creazioni di Bobby Duke (Arts) i cui recapiti oltre a YouTube si limitano a una pagina su Patreon e un profilo di Instagram. Da cui emerge una personalità scherzosa e accattivante (se non vi fossero bastati gli “strani sguardi” del video di apertura) insieme all’intenzione dichiarata di riuscire, un giorno, a fare a meno del suo lavoro diurno di fattorino delle consegne, per dedicarsi a tempo pieno alla sua vera passione: la creatività. Una meta a cui sembra avvicinarsi in via piuttosto diretta, con gli attuali 509 dollari mensili guadagnati grazie a 115 finanziatori in aggiunta, possiamo soltanto presumerlo, agli introiti pubblicitari dei video e le collaborazioni promozionali con diverse marche degli attrezzi utilizzati di volta in volta. Mentre sembrerebbe ancora mancare, al momento, una pagina per acquistare i suoi lavori a distanza. Il che è senz’altro un vero peccato, pur costituendo uno stato necessariamente temporaneo: alla fine, chiunque di noi ha uno spazio limitato per i pregevoli prodotti delle proprie mani. Soltanto i soldi, non bastano mai.
Per tornare quindi al video del micro-coltello Bowie che costituisce al momento il maggior successo dell’autore, con oltre 16 milioni di visualizzazioni a partire dal 3 giugno e articoli su blog di tutto il mondo, incluso il Giappone, ciò che colpisce maggiormente è la chiarezza con cui viene mostrato ogni singolo passaggio, quasi si trattasse di un effettivo tutorial mirato ad informarci sulla maniera in cui potremmo, almeno teoricamente, costruirci qualcosa di simile facendo tutto da noi. A patto di possedere qualche migliaio di euro in macchinari, s’intende. Tutto inizia con la scelta del bullone che viene quindi trasportato nel “giardino di lavoro” sotto la supervisione dei cani di famiglia, due chihuahua e un pitbull dall’aspetto particolarmente bonario. Ciò che viene, a quel punto, è il riscaldamento con la fiamma ossidrica, seguito dalla classica battitura sull’incudine, mediante l’impiego del martello da fabbro d’ordinanza. Un poco alla volta, la forma tubolare del bullone si trasforma in una cosa piatta, simile a una spatola, sulla quale Bobby dispone una sagoma ricalcata su carta del coltello di Expendables 2. A quel punto, viene il difficile: una precisa rastrematura, mediante nastri diamantati e varie dimensioni di frese rotanti, mirata a plasmare il metallo nella forma desiderata, con pochissimi millimetri di margine d’errore. Qualunque artigiano, in effetti, potrà confermarmi che costruire le cose piccole risulti essere inerentemente più complicato. Raggiunta un’approssimazione ragionevole di quanto desiderato, l’autore passa quindi all’aggiunta del manico, segando a misura un pezzo di resina composita a base di legno (la famosa pakkawood) del tipo comunemente impiegato per i coltelli. Il componente viene quindi diviso in due parti e incollato ai lati dell’impugnatura, creando la tipica soluzione “a sandwich” resa famosa da James “Jim” ai tempi delle sue epiche battaglie al di là della frontiera. Ma il bello viene nella parte finale, in cui Bobby, dopo aver limato e lucidato il tutto, passa all’effettiva affilatura del coltellino, usando niente meno che una serie di pietre ad acqua giapponesi. Effettuando l’intera progressione dal ruvido al sottile, fino all’ottenimento di un attrezzo sufficientemente affilato da poterlo usare, almeno teoricamente, per togliere la barba. Passaggio che viene prontamente incluso negli ultimi secondi di video, con buona pace di tutte le aziende che gonfiano il prezzo delle lamette in maniera decisamente sproporzionata.

Ma tra le creazioni più d’impatto incluse nell’antologia del canale figura certamente questa fedele riproduzione dell’amo da pesca di Maui nel film Dysney Moana (ehm, pardon, “Oceania”) ricavata da una serie di listelli in legno incollati tra di loro. Le cui decorazioni, grazie all’impiego di vernice fluorescente, brillano al buio. Addirittura!

Spesso, come genìa di creature pensanti, ci avventuriamo nelle possibili regioni della creatività, senza prendere in considerazione ciò che esse comportano nel futuro che sia meno immediato. Vedi il caso della corsa agli armamenti di strada australiani. Poiché non sempre, coloro che partecipano alla festività dell’estrazione delle lame Bowie si scambiano sistematicamente di ruolo. Creando il problema di persone che, anno dopo anno, costruiscono coltelli sempre più grandi e via così, finché questi non diventano capaci di tagliare i fiumi e dividere a metà le montagne.
Così un giorno, troppo vasti perché il mondo possa riuscire a contenerli, essi finiranno per sorreggerlo sul filo di rasoio, uno dopo l’altro e così via fino all’eternità. Ma quale potrà mai essere, alla fine, la lama degna di sorreggere l’Universo? E in che modo potremmo crearne una sufficientemente piccola, ovvero la chiave in grado di ristabilire l’equilibrio nel Creato, riportandoci a uno stato di pace tra il rapinatore e il turista australiano in visita a New York? La soluzione potrebbe anche essere scritta in un microfilm che si nasconde nel terzo dente di squalo della collana di Crocodile Dundee, per quanto sia impossibile che noi, arma da taglio alla mano, si riesca a carpirla per i posteri affamati di verità.

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