L’eccezionale curiosità dei cuccioli di licaone

Quando la scorsa primavera, la BBC diede inizio alla sua serie Spy in the Wild, basata sulla collocazione di alcuni pupazzi meccanici animatronic con videocamera in prossimità di gruppi di animali selvatici, scelse necessariamente di farlo coinvolgendo alcune delle specie dalle interazioni sociali più complesse e maggiormente simili alle nostre. Ciò per una ragione estremamente funzionale allo show: riprendere la loro reazione interessata, o vagamente confusa, di fronte ad un oggetto costruito per assomigliare il più possibile a loro ma che inviava segnali “sbagliati” come i movimenti scattosi, un odore, o assenza dello stesso, e/o la mancanza di adeguate vocalizzazioni. A questo punto intendiamoci, l’intero progetto non aveva in realtà particolari metodi scientifici, né divulgativi. Si potrebbe anzi affermare che i potenti obiettivi di cui dispone oggi l’industria videografica dei documentari, anche da centinaia di metri di distanza, potessero restituire un’immagine altrettanto chiara e definita delle creature al centro di ciascun episodio. Se non di più. Rappresentando piuttosto un modo per mostrare il loro comportamento in circostanze inedite, suscitando, nuovamente, l’interesse delle persone. Così tra scimmie, suricati, pinguini e castori, fu scelto di dedicare l’ultima puntata ad una delle creature più a rischio dell’intero continente africano, il cane selvatico di quelle terre, anche detto Lycaon pictus, o licaone. Occasione che diede l’opportunità di mostrare un lato inedito della sua condizione, ovvero la maniera in cui i piccoli del branco, durante le ore dedicate alla caccia, vengono lasciati occasionalmente soli in prossimità della tana. È un tratto altamente distintivo di questo animale, nel quale l’unica coppia a cui viene permesso di produrre una discendenza è quella dominante di ciascun gruppo di animali, con una quantità media di figli e figlie notevolmente superiore a quella del cane: 10-16, essenzialmente, abbastanza per costituire un nuovo branco subito dopo la nascita. Cosa che, in un certo senso e per lo più temporaneamente, avviene.
L’età giovanile è notoriamente un momento importante per gli animali carnivori, rappresentando la stagione della vita in cui gli viene concesso di giocare, facendo pratica per le loro successive cacce e l’implementazione della difficile regola della sopravvivenza. Difficile non ricordare le lotte inscenate dai tigrotti e leoncini, talvolta tra fratelli, qualche altra coinvolgendo gli stessi genitori, che con estrema pazienza si lasciano sottomettere dalla prole, sapendo istintivamente l’importanza che avrà nel loro futuro lo sviluppo di un’indole adeguatamente aggressiva. Il che implica, per il licaone, un’importante tratto di distinzione. Questo perché il canide in questione, che vive e soprattutto, caccia in branco, dovrà piuttosto curarsi di acquisire, già in tenera età, la capacità di capire il suo prossimo e cooperare con lui. Ecco perché tra tutte le scene del succitato documentario, forse una delle più memorabili resta questa usata nel promo di YouTube, in cui il pupazzo meccanico era stato riassemblato a guisa di un piccolo appartenente a questa specie. E ciò non soltanto perché l’esemplare adulto sarebbe stato più difficile e costoso da riprodurre (anche se questo può certamente essere stato un fattore) quanto per la ragione che dovrebbe animare, idealmente, ogni vero cultore della natura: mostrarla al suo meglio, evidenziare i tratti che maggiormente ci affascinano e colpiscono al nostra fantasia di umani.
È a questo punto, più o meno, che la sequenza ha inizio, con un primo piano del leggermente inquietante mecha-lycaon (vedi il concetto dell’uncanny valley, la somiglianza eccessiva, ma non perfetta, di ciò che imita la realtà). Il pupazzo, relativamente convincente da lontano, ha il suo punto forte nella passabile ricostruzione del manto maculato di questi canidi un tempo soprannominati “lupi dipinti”, ed è dotato di servomotori in grado di dargli un certo grado di vivacità. Ciò nonostante, difficilmente potrebbe superare uno scrutinio ravvicinato da parte di un bambino. Figuriamoci dunque, quello di un cucciolo della specie in questione, che a differenza di noi, possiede tutta una serie di segnali fisici e biologici per comunicare con i suoi simili precedentemente sconosciuti. Eppure nonostante questo, appare fin da subito chiaro che i piccoli di licaone non sono soltanto incuriositi, bensì addirittura socievoli nei confronti dell’intruso, mostrandosi più che mai intenzionati ad attirare la sua attenzione. C’è una netta differenza, con la reazione che potremmo aspettarci da parte di un animale territoriale verso qualcosa che non può realmente arrivare a comprendere, ovvero diffidenza, cautela, persino aggressività. Sentimenti sostituiti da una pacifica apertura che tra l’altro parrebbe estendersi, nella scena successiva, anche al comportamento dei cani adulti finalmente di ritorno dalle loro scorribande nella sconfinata savana dell’Africa subsahariana…

Una caratteristica particolare dei branchi di licaoni, che li distingue da quelli dei lupi nostrani, è l’ordine in cui i membri ricevono l’accesso al cibo: non lasciando passare prima i più forti, bensì l’esatto contrario, ovvero i cuccioli del gruppo.

Pur senza aver visionato l’intero episodio, la collocazione geografica di questi licaoni risulta essere per sommi capi desumibile dal loro aspetto. Esistono, in effetti, cinque sottospecie ufficiose di questo animale, distinte in base alla colorazione del loro mantello. Il cinofilo moderno sarebbe effettivamente più che mai pronto a definirle delle razze, benché lo scienziato naturale, piuttosto, abbia preferito identificarle con la convenzionale sequenza di nomi latini. Di regola, è perciò possibile affermare che i licaoni della parte settentrionale dell’Africa presentino una quantità e varietà di macchie sensibilmente maggiore, con tonalità tendenti al rosso, giallo ed occasionalmente persino bianco. Mentre nelle regioni del Capo e del Mozambico, i cani si presentano con colori più scuri e in generale uniformi, e l’unica chiazza variopinta nella regione appena dietro le orecchie. Simili creature prendono il nome esteso di Lycaon pictus pictus, costituendo nei fatti l’olotipo (prototipo preso in esame) della loro intera specie, oltre che un soggetto più facilmente reperibile per documentari ed “esperimenti sociali” di questo tipo.
Nonostante la differente livrea, e la dentizione a quanto pare lievemente meno possente, quanto mostrato nel documentario della BBC troverebbe un’applicazione simile anche tra i licaoni dell’Africa orientale (L. p. lupinus) occidentale (L. p. manguensis) e del Chad (L. p. sharicus) altrettanto proni a formare gruppi d’interazione e cooperazione pienamente finalizzati alla sopravvivenza. Si racconta di come, prima che la popolazione complessiva di questo animale tendesse a ridursi drasticamente per via del suo principale nemico, l’uomo, branchi di fino a 100 esemplari percorressero le distese erbose del continente, senza che faide tra i diversi aspiranti al comando potessero causare degli scismi nel gruppo. Questo principalmente in quanto il licaone, rispetto al lupo, presenta un altro tratto distintivo: il fatto che al raggiungimento dell’indipendenza, non siano i maschi a cambiare il branco al fine di cercare l’occasione di accoppiarsi, bensì le femmine, naturalmente meno aggressive e propense al raggiungimento di una regione di preminenza. Anche se ciò che l’istinto vuole, una volta raggiunto il nuovo gruppo sociale, è che le nuove arrivate scaccino quelle già presenti nella congrega, con una finalità in effetti niente meno che primaria: evitare l’accoppiamento tra consanguinei. L’importanza data a questo fattore nel comportamento del licaone, senza pari nel suo segmento dell’albero della vita, è allo stesso tempo il suo punto di forza e la sua debolezza. Proprio perché, tutelando al massimo la varietà del proprio codice genetico, esso finisce per richiedere un maggior numero di branchi indipendenti tra cui scambiare le proprie femmine in età riproduttiva, diventando estremamente vulnerabile alla riduzione del territorio. Il fatto che esse, tra l’altro, vadano in calore soltanto una volta l’anno, generalmente tra aprile e luglio, non è certamente d’aiuto.

Ciò che rende i canidi così affascinanti per noi, anche quelli ben lontani dall’essere addomesticati, è proprio la loro naturale propensione ad insistere, nella certezza che qualunque problema può essere risolto. A patto di riuscire a coinvolgere una quantità sufficiente di individui.

L’applicazione in età adulta dell’intrinseca cooperazione dei licaoni è invece proprio ciò che li rendono da lunghi secoli una stimata fonte d’ispirazione, artistica e culturale, per le popolazioni dell’area egizia, del Tigray etiope e i boscimani del meridione. Avendo sviluppato, attraverso l’istinto, una tecnica che gli permette di catturare la gazzella di Thompson (Eudorcas thomsoni) con un successo di oltre l’80%, laddove persino il più temuto e rinomato carnivoro d’Africa, il leone, riesce a farlo per poco più del 15-20% dei tentativi. Vedere i licaoni che fanno ciò che gli riesce meglio è come osservare una partita a scacchi, in cui ogni pezzo ha il suo ruolo, portato a compimento con inesorabile efficienza. Nei casi in cui il branco si ritrovi ad affrontare un avversario più propenso al combattimento, come un facocero, la prassi vuole che sia il maschio più forte ad affrontarlo di fronte, bloccandogli le zanne mentre i suoi complici lo aggrediscono ai lati. Una volta abbattuta la vittima, quindi, il branco vi si avventa sopra di concerto, facendo in modo di consumarla in un tempo massimo di 10-15 minuti. Questo perché in natura, il principale pericolo per i licaoni è l’arrivo sulla scena di una creatura più grande, come un leone o una iena, capace di soffiargli via la preda grazie al semplice impiego della violenza. Un’altra implicazione, se vogliamo, della tragica legge della savana. E non è neanche raro, in simili casi, che il branco di cani debba nuovamente cooperare in manifestazioni di straordinaria aggressività, per tentare di tenere a bada il nemico e riuscire, quanto meno, a salvare la pelle dei propri simili e la vulnerabile prole.
Perciò, la prossima volta che vi capita di avere sottomano un animatronic, non credo ci sia ragione di esitare. Nel collocarlo presso una specie animale socievole, piuttosto che quella più strana e diversa da noi. Perché, altrimenti, sfruttare l’assistenza di un piccolo e (relativamente) convincente robot? Tutto quello che vi riuscirebbe d’ottenere tra insetti e meduse, è una manciata d’inquadrature ravvicinate tutt’altro che nuove. Il giusto strumento per ogni circostanza: anche in questo si dimostra la capacità di discernimento, alle radici stesse della curiosità umana. Un sentimento, prima ancora che intellettuale, fondato sulle ragioni stesse della nostra appartenenza al regno animale. Nonché la ricerca della sopravvivenza ulteriore… Sia nostra, che altrui.

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