Il fiume di ghiaia più terribile della Nuova Zelanda

Se dovessimo stilare un elenco degli sconvolgimenti che ha portato in questi giorni la perturbazione Burian alla vita nella nostra temperata penisola mediterranea, credo che potremmo compilare una lista piuttosto lunga: problemi alla viabilità, chiusura delle scuole e degli uffici pubblici, aumento del consumo di gas e potenzialmente, disagi personali tutt’altro che indifferenti (inclusa la realizzazione tardiva che forse, sarebbe stato meglio indossare uno strato o due in più di vestiario). Ciò di cui invece, i telegiornali non stanno parlando affatto, perché in effetti è un dramma che si stava svolgendo, fino a ieri, all’altro lato estremo del globo terrestre, è la scia di distruzione lasciata dal ciclone Gita nell’emisfero meridionale, il più grave ad aver visitato l’arcipelago di Tonga negli ultimi 30 anni, sufficiente a distruggere l’antico edificio del parlamento. Per poi spostarsi, un po’come il nostro ammasso di gelida aria siberiana, ai paesi più prossimi dell’area polinesiana, tra cui Samoa, Samoa Americana, Fiji e Nuova Caledonia, poco prima di approdare, con possente enfasi inerziale, fino a quella terra di attraenti pascoli e candide greggi, che tutti abbiamo avuto modo di apprezzare al cinema durante l’epocale trilogia del Signore degli Anelli. Così che se la Nuova Zelanda dovesse, oggi, realizzare un elenco di disagi parallelo al nostro Grande Inverno del 2018, potrebbe certamente superarlo per estensione e gravità dei singoli punti: con un vento sufficientemente forte da abbattere le linee di comunicazione, intere zone rurali evacuate per sfuggire alle inondazioni, numerosi voli disdetti e rimandati. Ma un ipotetico storico nazionale sulla falsariga dell’antico Erodoto di Alicarnasso potrebbe anche scegliere, piuttosto, di evidenziare un singolo punto: “Nella giornata del 20 febbraio, alle 9:13 di mattina, presso la pianura dove scorre il fiume Rakaia, si è formato un impressionante torrente di pietra polverizzata, quasi come se la montagna antistante si fosse trasformata in liquido, ed avesse iniziato a discendere giù a valle.” Trattasi di un fenomeno in realtà per niente inaudito, come evidenziato dalla documentarista del caso di nome Donna Field, proprietaria di una fattoria locale, che non ha esitato ad identificarlo sul suo profilo Facebook col nome di shingle fan (ventaglio di ghiaia) come riferimento alla forma che simili scivolamenti tendono a disegnare, al momento in cui esauriscono la propria forza gravitazionale, quando si arrestano nel bel mezzo della pianura erbosa. Quasi sempre ma non stavolta, in cui le forti piogge, oltre al notevole accumulo di energia potenziale, hanno condotto l’intero ammasso proveniente dal monte Hutt fin giù dentro ai caratteristici canali intrecciati del succitato corso d’acqua, un fiume paragonabile, per l’insolita forma, al nostro Tagliamento nel Friuli-Venezia Giulia o a particolari tratti del Piave.
Un evento non privo di conseguenze, nonostante il corso abbia fortunatamente evitato la direzione di strutture umane, riuscendo comunque a tagliare a metà la strada di Double Hill, unico collegamento tra la cittadina di Rakaia e le otto fattorie locali. E così affascinante, per la sua natura concettuale non dissimile da quella di una colata lavica, da scatenare la solita valanga di ipotesi sul Web, oltre ad un più limitato numero di analisi scientificamente coerenti. Così che io non potessi esimermi, come di consueto, da aggiungere il mio contributo: in gergo geologico, l’evento neozelandese viene definito come il tipico debris flow o colata detritica, consistente di un ammasso di materiale, talvolta anche molto significativo, capace di muoversi verso il basso a velocità di fino 25 metri al secondo. Ulteriormente caratterizzato, e reso altamente caratteristico, dalla sua composizione granulometrica, con numerose particelle di una dimensione pressoché equivalente. Questo grazie, in primo luogo, alla composizione piuttosto rara del massiccio del monte Hutt, contenente la più alta concentrazione di grovacca (dal tedesco Grauwacke, roccia grigia) arenaria composta da un insieme di frammenti angolari dei minerali quarzo e feldspato, sospesi in una matrice di argilla semi-solidificata. Così che non è impossibile che, all’aggiunta dell’acqua penetrata negli strati sotterranei, la montagna stessa perda solidità, trasformandosi nell’incredibile visione di martedì scorso, verificatosi in un luogo che ha come toponimo, direi non a caso, Terrible Gully (la Terribile Gola).

In questa ricostruzione realizzata per alcune frane che colpirono l’isola del Kyushu in Giappone nell’ormai distante 2012, è possibile osservare facilmente l’effetto di sollevamento causato dalle piogge su un sostrato di tipo granulare.

Nello studio e catalogazione dei diversi tipi di frane, quella della colata detritica viene considerata generalmente la più grave. Questo perché in essa, quanto più piccole sono le particelle che vengono spinte giù a valle, tanto maggiormente esse tenderanno a trascinare con se terra, acqua e persino aria, nella costituzione di un’ondata estremamente difficile da prevedere in anticipo o arginare in qualsivoglia modo. Il che può essere considerato una pericolosa approssimazione di fenomeni di tipo vulcanico, benché in assenza dell’ulteriore contributo di devastazione dell’alta temperatura. Ma provate voi ad immaginare, che cosa potrebbe succedere ad una persona che fosse talmente incauta da venire travolta da un simile torrente…
Volendo applicare un modello matematico, potremmo affermare di essere di fronte allo scorrere di un fluido dalle implicazioni non-newtoniane, ovvero caratterizzata da una ragionevole approssimazione del comportamento dell’acqua, se non fosse che la sua viscosità può variare a seconda dello sforzo di taglio esercitato, ovvero nello specifico caso, l’impatto con tutti i possibili ostacoli o le asperità del terreno. Un fenomeno che potremmo individuare anche nella formazione di fiumi a treccia come il Rakaia o il Tagliamento, semplicemente incapaci di formare un singolo corso proprio per il loro alto contenuto detritico, finendo invece per suddividersi in una serie di canali che si sovrappongono vicendevolmente, spesso scorrendo su un letto di ghiaia non permeabile nettamente distinto dall’area paesaggistica circostante. Molte analisi numeriche sono state effettuate di un simile fenomeno, tra cui il criterio critico di Mohr-Coulomb e il modello visco-plastico di Drucker-Prager, più volte applicate in ingegneria nel tentativo di costruire argini o strutture capaci di resistere alla furia della montagna pseudo-liquefatta. Eppure ogni volta, nella storia recente, in cui questa particolare espressione della natura infuriata ha trovato sfogo in regioni abitate, non è stato possibile fare altro che limitare o tamponare il corso che aveva scelto in massima e totale autonomia, con tutte le conseguenze più prevedibili e tremende del caso. Tra i più gravi esempi, quello della slavina di fango di Khait in Tajikistan del 1949, indotta da un terremoto, della quale si racconta che riuscì a spostarsi a circa 30 metri al secondo, travolgendo decine di villaggi e finendo per costare la vita a 4.000 persone. O quella, causata da un’inondazione come il caso neozelandese, della regione indiana di Kedaranth, nel giugno 2013, connessa dagli ambientalisti all’effetto del mutamento climatico nella regione dell’Himalaya, il cui conto delle vittime viene stimato sulla cifra assolutamente spropositata di 22.000 decessi. Ricordate quanto se ne parlò al telegiornale? Infatti, neanch’io. Nient’altro che l’ennesima espressione del teorema per cui l’interesse pubblico e diametralmente opposto rispetto alla prossimità geografica e culturale. Anche se non dovrebbe mai essere, a mio parere, così.

Grazie a questa ripresa effettuata a Bainham, nella parte settentrionale dell’Isola del Sud (metà inferiore della Nuova Zelanda) è possibile comprendere l’estensione degli effetti del ciclone Gita nell’intera regione, inclusivi di straripamenti e blocchi delle strade perfettamente efficaci nel paralizzare il paese.

Perciò può sembrare, a volte, di essere sospesi tra due fuochi: quello soggetto a repentine modifiche del clima meteorologico, e l’altro più facile da prevedere, ma completamente nascosto, di ciò che abbiamo sotto, in attesa di reagire alle mosse della sua celeste contropaste. La terra che ispirò il culto dell’antica Madre, espressione benevola del cosmo che da la vita, ma può anche toglierla senza nessun tipo di preavviso, per il verificarsi di una congiunzione di fattori a cui nessuno, non importa quanto tecnologicamente avanzato, avrebbe mai potuto pensare di prepararsi.
Tranquillo ed indisturbato, poco più a valle sul corso del fiume Rakaia, sorge l’omonimo paese di 1.220 abitanti, lontano parecchie miglia da qualsiasi altra espressione comunitaria della società umana. Con i suoi due ponti, stradale e ferroviario, della lunghezza di 1,75 Km, entrambi i maggiori della Nuova Zelanda nelle rispettive categorie, costituisce un importante svincolo negli spostamenti isolani. Ancora distanti dai flussi detritici del Monte Hutt, i suoi abitanti non hanno ragione di preoccuparsi in modo particolare delle piogge o il passaggio degli alterni cicloni della storia. Eppure, come diceva Erodoto: “Non sono gli uomini a dominare la sorte, ma è la sorte a dominare gli uomini.” Per poi aggiungere, durante i suoi pubblici discorsi ad Alicarnasso: “Spegnete le lanterne ad olio la sera, prima di andare a dormire. Il buco dell’ozono vi ringrazierà.” O forse quello era Ecateo di Mileto…

Lascia un commento