La strana assenza dei comignoli sui grattacieli di New York

Non è del tutto insolita la linea di pensiero che ci porta a definire l’innata “personalità” di un luogo. Come per l’inclinazione a individuare volti nelle nubi, nelle pietre, nelle forme del paesaggio, ogni agglomerato abitativo superiore agli otto milioni milioni di persone, ovvero una metropoli o persino megalopoli, può essere accostata ai suoi abitanti, come se costituisse la somma ultima delle loro aspirazioni, desideri, piccoli difetti quotidiani. Ma se questo è vero dal punto figurativo, qual’è allora l’effettiva “voce” di una simile entità? Dipende dai punti di vista. Secondo alcuni, il chiasso della gente per le strade, che si sovrappone in un unico suono disarticolato. Secondo altri, il suono che continua nella notte dai vecchi termosifoni. È questa un’esperienza che è stata sperimentata da più di un affittuario, trasferitosi per studio o per lavoro nella Grande Mela, soltanto per esserne svegliato nella notte, di un inverno cupo e sotto zero. Trovarsi così ad ascoltare il ritmo irregolare di una serie di colpi, come dispettose martellate, portate sul bersaglio da uno gnomo dispettoso che abita nei tubi del riscaldamento. Inframezzato dai suoi sibili fischianti, di una rabbia animalesca e primordiale, mentre tenta di attirare la nostra attenzione. Il che, in un certo senso, è esattamente quello che sta succedendo. Se interpretiamo l’umanoide dal cappello a punta come una metafora del primo segno del progresso, e il suo martello una protesta verso chi l’ha ormai dimenticato. Anche il fumo che esce dei tombini, un’altra nota prerogativa locale, è un frutto del suo costante lavorìo.
Un fastidio non indifferente, che tuttavia parla di un preciso attimo nel corso della storia. Sussurando, tramite quest’arcana versione del codice Morse, di un singolo momento noto come Grande Tempesta di Neve del 1888, che nel giro della singola notte tra l’11 e il 12 marzo, paralizzò e devastò l’intera città di New York, il Massachusetts, Rhode Island e il Connecticut come pochi altri fenomeni sarebbero riusciti a fare nel corso della loro storia. Qualificata come uno dei fenomeni atmosferici più grave mai verificatosi negli interi Stati Uniti, con oltre 150 cm di coltre candida e venti fino 72 Km/h, sufficienti a spazzare via, letteralmente, ogni cavo elettrico che fosse stato collocato al di sopra del livello stradale. 200 navi andarono distrutte e l’intero sistema dei telegrafi restò isolato, mentre gli stessi pompieri non riuscivano a montare una campagna di soccorsi dalle loro caserme, ormai irraggiungibili con mezzi a motore. Quando oltre una settimana dopo, quindi, il servizio ferroviario ricominciò a funzionare, e le persone poterono uscire dalle loro case per azzardare una stima dei danni (l’equivalente odierno di 670 milioni di dollari) si diede inizio al laborioso processo di ricostruzione. Una strada dopo l’altra, i tecnici civili scavarono le tracce necessarie per passare ad un metodo di distribuzione dell’energia elettrica che non fosse più soggetto ai capricci occasionali del vento. Ma mentre si trovavano lì, con lo schema della nuova rete chiaramente evidenziato dal passaggio dei loro strumenti di scavo, ricevettero una nuova direttiva dall’amministrazione centrale: disporre, già che c’erano, dei tubi del vapore. Il tutto per una presa di coscienza ormai largamente assodata: già sull’isola di Manhattan, stavano venendo gettate le fondamenta di un nuovo tipo di edifici. Luoghi come il World Building dell’omonimo giornale, dotati non di 5 o 6 piani, bensì 20, per un’altezza di 94 metri antenna esclusa. O la sede della Manhattan Life Insurance Company, che avrebbe potuto vantare un tetto all’altezza di ben 106. La gente iniziava a cogliere, in quei giorni, la direzione urbanistica che stava venendo intrapresa dalla classe al potere dei capitalisti, ed iniziava preoccupata ad interrogarsi sull’indomani: “Che cosa succederà sopra le nostre teste…” si chiedevano Joe & Stacy, uomo e donna della strada: “…Quando di edifici simili ce ne saranno dozzine, magari abitati da molte migliaia di famiglie, ciascuna dotato della sua cucina e caldaia per il riscaldamento?” L’esempio della Londra industrializzata, in quegli anni, era fin troppo noto a livello internazionale, un luogo perennemente avvolto dalla foschia, i cui cittadini non vedevano il cielo limpido ormai da almeno un paio di generazioni.
Ma questo particolare dramma della troppo rapida modernizzazione, qui, non avrebbe mai avuto modo di raggiungere il suo culmine più drammatico e soffocante. Grazie a una risorsa particolarmente trasformativa: la più grande infrastruttura al mondo di riscaldamento cittadino centralizzato, a partire da grandi impianti di cogenerazione dell’energia. Con un piccolo problema: i termosifoni a vapore, in assenza di manutenzione, tendono a intrappolare piccole quantità d’acqua che inizierà a rimbalzare tra i tubi, producendo un bel po’ di rumore…

Un tecnico della Con Edison, compagnia che ha ricevuto in gestione l’antico impianto, mostra orgogliosamente i nuovi sensori che stanno venendo in questi anni installati lungo tutta la rete, per ridurre le emanazioni di vapore indesiderate al livello della strada.

È una questione che in effetti dovremmo porci, ogni volta che osserviamo una cartolina della città più grande e famosa dell’intero Nord America. New York, per sua stessa natura, è probabilmente l’unica megalopoli in senso moderno ad aver iniziato a costruire i suoi più alti palazzi prima dell’invenzione dell’aria condizionata funzionante grazie all’elettricità, ad opera del rinomato ingegnere Willis Haviland Carrier nel 1902. Luoghi, questi, con letterali centinaia di termosifoni, e un numero soltanto lievemente inferiore di impianti di vario tipo che abbiano al necessità di una canna fumaria. Eppure, nessuna simile entità compare sopra i tetti degli edifici. Semplicemente perché tutto parte, e ritorna in seguito, sottoterra. La questione del vapore di New York è una realtà intrinseca della sua stessa esistenza, che tuttavia resta largamente ignota persino tra ampie fasce della popolazione che ci abita al giorno d’oggi. Chi ha mai detto, dopo tutto, che i tombini non emettono normalmente del fumo? “Dovrà trattarsi semplicemente di un effetto della differenza di temperatura.” Afferma il figlio del nipote di quegli stessi John e Stacy, senza andare troppo a fondo nella sua indagine logica del problema. Mentre questo effettivamente succede, qui più che in ogni altro luogo al mondo, in funzione dell’acqua che filtra naturalmente tra le più microscopiche crepe del manto stradale, per trovarsi a contatto con dei condotti dalla temperatura media di 350 gradi. È in effetti una realtà largamente trascurata dall’opinione pubblica, benché scientificamente vera, che il vapore possa essere trasferito a distanza con un efficienza del tutto comparabile a quella dell’acqua corrente o dell’elettricità. Permettendo, soprattutto nel caso di quest’ultima, di eliminare il dispendio di energia collaterale che va perduto, ogni qual volta si trasforma la tensione elettrica in calore o viceversa. Ma non finisce qui: questa forma gassosa espansa dell’acqua, che fluisce naturalmente lungo i tubi senza bisogno di pompe, può essere usata anche per raffreddare gli ambienti. Il che è la ragione, tra l’altro, per cui le accidentali e frequenti fumigazioni dei passanti newyorchesi continuano anche nel cuore dell’estate. Questo grazie al principio dei cosiddetti sistemi di raffreddamento a getto, che prevedono l’evaporazione parziale di un liquido, a una pressione tale da costringerlo a cambiare nuovamente il suo stato consumando energia termica. Con conseguenti, rinfrescanti effetti sulla temperatura dell’ambiente interno.
Questione certamente chiara, per lo meno in linea di principio, a tutti coloro che hanno assistito negli anni alla disposizione temporanea di uno o più di quei caratteristici comignoli, a strisce bianche e arancioni, usati dall’azienda di gestione newyorkese per deviare il vapore residuo, prima di effettuare interventi di manutenzione, al fine che la foschia risultante venga liberata al di sopra del livello del  traffico e dei passanti. L’efficienza dell’intero sistema, quindi, è stata migliorata notevolmente col trascorrere degli anni, fino ad includere il concetto di generazione parallela. Il che significa che il vapore immesso nelle vecchie condotte, ancora utilizzato in interi quartieri di Manhattan ed alcuni dei  suoi edifici più famosi, tra cui l’Empire State Building, è in realtà derivante da una serie di stabilimenti dotati di giganteschi bollitori, come prodotto collaterale della produzione di energia elettrica. Il tutto, per un’impianto dalla notevole utilità che non sembra proprio avere alcun lato negativo, giusto? Beh, diciamo che il più delle volte è proprio così. Salvo eclatanti eccezioni.

18 giugno 2007: incrocio tra la 41° e Lexington Avenue. Un boato scuote la struttura stessa dei grattacieli, mentre un pennacchio bianco oscura completamente il colore del cielo. Una città già terrorizzata, ripensa a quel giorno drammatico di appena 6 anni prima…

Immaginate le implicazioni di un sistema più vecchio di un secolo, costruito con la finalità di veicolare grandi quantità di energia da un lato all’altro di una rete ampia dozzine di chilometri. È inevitabile che qualche grado d’inefficienza condizioni l’intera operazione. Il più delle volte, quindi, le figure incaricate intervengono per tempo, sigillando le perdite per ridurre le emanazioni indesiderate di vapore. Ma può bastare un singolo errore, a causare il disastro. Fu così che in un momento imprecisato del 2007, un incaricato della compagnia Con Edison si trovò a dover sigillare un tubo con della resina epossidica, finendo però per usarne una quantità eccessiva. Così che la sostanza sigillante, simile al silicone, colò all’interno dello stesso, finendo per ridurne lo spazio di scorrimento. Il vapore rimasto intrappolato, nel corso di svariate settimane, si raffreddò eccessivamente tornando allo stato liquido. Preparando il campo al devastante fenomeno noto in idraulica come “colpo d’ariete” su una scala tuttavia, precedentemente mai sperimentata. L’acqua si concentrò ed accumulò in prossimità dell’intoppo, creando un pericoloso vuoto per l’espansione del vapore. Dunque, in una tranquilla giornata d’estate, il tubo esplose. Si trattò di un qualcosa di simile a un’eruzione vulcanica in pieno centro cittadino. Il vapore biancastro salì fino all’altezza di 40 piani, mentre quantità impressionanti di polvere e detriti, per di più composti in parte da sostanze cancerogene come l’amianto, ricadevano rovinosamente sui passanti. Ciò detto, per una pura casualità del destino, e nonostante i 45 feriti, soltanto una persona fu tanto sfortunata da perdere la vita nell’evento. Causa del decesso: un attacco di cuore. Una tragedia, nel suo complesso, derivante da cause più che mai remote… Ma non prive di possibilità di replica. Sappiamo in effetti che a partire dal 1987 si sono altre 12 esplosioni simili, benché meno estese, la più grave delle quali costò nel 1989 la vita a due operai della Con Edison e un passante che transitava di lì. Davvero il vapore, come ogni altra forza della natura sfruttata dall’uomo, non è un’entità con cui ci si possa permettere di scherzare.
Per scenari, in ultima analisi, che ricordano quelli della più apprezzata storia alternativa. “Che cosa sarebbe successo se…”  Frase più amata dagli scrittori di fantascienza storica, appartenenti a correnti come quella dello Steampunk, del Dieselpunk e del Raypunk. Per non parlare di quelle alternative ancora correnti, come il Cyber e il Biopunk. Ciascuna di esse, nient’altro che un racconto portato alle più estreme conseguenze, di quanto, effettivamente, si è già verificato. Non ha davvero senso chiedersi il destino a cui sarebbe andata incontro questa nostra società, se il vapore fosse diventato l’energia che determinava il passo stesso del procedere delle Ere. Semplicemente perché, in certi luoghi, è esattamente quello che ebbe modo di verificarsi. Forse persino più interessante, sarebbe immaginare le implicazioni dell’esatto contrario…

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