X-47B: il figlio senza pilota del bombardiere stealth

Mano a mano che l’efficienza dei robot si avvicina al 100%, è inevitabile che essi finiscano per assomigliare sempre di più a noi. Viviamo, dopo tutto, in un mondo costruito a misura d’uomo, in cui tutte le porte hanno una maniglia all’altezza delle nostre mani, i veicoli presentano pedali e un volante, l’ingresso degli edifici può presentare una o più serie di scalini. Per non parlare dei sistemi d’arma. Il che trova una diretta applicazione, in modo inevitabile, anche nel mondo fantastico degli aerodroni. Fare la guerra su distanze superiori, affrontare il nemico a viso aperto. Con un velivolo che pur essendo privo di pilota, a misure prese, non è molto più piccolo di un caccia normale: 11,63 metri di lunghezza per 18,92 di apertura alare. Poteva essere diversamente? No, se lo scopo ultimo è montarci sopra i cannoni, le mitragliatrici e le bombe di cui disponiamo. Inteso che “noi” siamo, nel presente contesto, la Marina Militare degli Stati Uniti d’America. Un corpo d’armata che ha sempre fatto, fin dai suoi notevoli successi all’inizio dell’epoca contemporanea, dell’alta tecnologia una sorta di vera e propria bandiera, il segno di riconoscimento di un’intera elite dei mari. Non c’è granché da sorprendersi dunque, se il Northrop Grumman X-47B, con la sua linea marcatamente futuristica e le prestazioni rivoluzionarie, deriva dall’ennesimo progetto varato col patrocinio della DARPA, l’Agenzia dei Progetti di Ricerca Avanzati, prima di essere trasferito con il nome in codice UCAS-D (Unmanned Combat Air System Demonstration) ad uno dei principali fornitori aerospaziali al servizio della maggiore superpotenza dei mari occidentali. Il risultato è questo velivolo dall’aspetto decisamente singolare, come già esemplificato dalla sua dimensione più larga che lunga, dovuta all’approccio progettuale che l’ha fatto costruire senza il benché minimo accenno di coda o una carlinga separata dalle ali. A tal punto che la somiglianza colpisce immediatamente lo sguardo. Somiglianza con i 21 bombardieri nucleari B-2 “Spirit of…” assemblati dalla stessa compagnia nel corso di tutti gli anni ’90, per il modico prezzo di circa un miliardo di dollari a pezzo. Una cifra…Importante, che poteva essere investita in diversi altri modi: sistema sanitario, infrastruttura migliori, servizi alla popolazione colpita dai disastri naturali. Fatto sta che il Congresso decise d’investire il suo budget secondo i metodi definiti dalla locuzione latina: “Si vis pacem, para bellum” (Se vuoi la pace, preparati alla guerra) massima che tra l’altro, diventava tanto più rilevante in un’epoca di possibile guerra termonucleare totale. Non che oggi, purtroppo, siamo riusciti a tornare indietro. Così, il salasso continua: 813 milioni di dollari prelevati direttamente dall’erario a partire dal 2011, per assemblare e mettere in condizioni di volo nient’altro che due, e sottolineo due, aerei da dimostrazione senza alcun tipo di pilota a bordo? Di sicuro, le loro capacità belliche dovranno risultare assolutamente fuori dagli schemi. Il che è vero soltanto in parte, poiché gli X-47B, denominati degli X-Plane ovvero prototipi secondo la nomenclatura delle forze armate statunitensi, allo stato attuale faticano a trovare una collocazione nel servizio attivo. In un certo senso, si potrebbe affermare che abbiano già esaurito la loro utilità.
Il primo passo lungo questo percorso d’innegabile eccellenza tecnologica, ad ogni modo, è stato compiuto già nel 2003, con il volo di prova dell’X-47A Pegasus, la risposta alla domanda quasi esistenziale: “È possibile creare un drone militare con capacità stealth?” Per rispondere alla quale, da una collaborazione della Northrop con la DARPA e il celebre ingegnere Burt Rutan della Scaled Composites, si era giunti ad un design particolarmente intrigante, costituito essenzialmente da una semplice punta di freccia nera. Un aereo mantenuto in aria, come per l’appunto anche il già citato bombardiere B-2, da superfici di controllo posizionate lungo il margine esterno della stessa, singola ala, all’interno della quale trovavano posto anche due stive di carico in grado di essere caricate con bombe da 225 Kg l’una. Una realizzazione che, dopo la cancellazione del progetto alla revisione del Piano Quadriennale delle Forze Armate, catturò nondimeno l’attenzione della Marina, portando ad una riapertura del discorso per una finalità sostanzialmente diversa: creare un drone multiruolo in grado di decollare ed operare a partire da una portaerei di classe Nimitz. Un proposito che avrebbe presentato non pochi ostacoli da superare.

Il singolo occhio nero di Polifemo, il robot. Se volete scrutare nelle sue abissali profondità, niente di meglio di questo lungo video del TIMES, che mostra con attenzione quasi naturalistica ogni minima linea del sinuoso aeroplano X-47B

L’idea fu fin da subito quella di un sistema ibrido, in grado sia di essere pilotato in remoto, possibilmente da un operatore con dispositivo di controllo portatile posizionato sul ponte della nave, sia di operare in totale autonomia una volta in aria, portando a termine un ampio ventaglio di missioni. Principalmente di ricognizione ed acquisizione dati, ma come già esemplificato dal suo predecessore Pegasus, anche delle attack run verso bersagli in grado di minacciare direttamente le manovre dell’imponente vascello presso il quale dovrà poi riuscire a fare ritorno ed atterrare. A tal fine l’X-47B è stato dotato di un sistema di propulsione Pratt & Whitney F100-220U in grado di spingerlo alla velocità subsonica di Mach 0,9, con un raggio operativo di 3.889 Km, ovviamente incrementato dal fatto che a bordo non debba trovare spazio una cabina per il pilota, quindi potenzialmente sostituibile ulteriori litri di carburante. In aggiunta a questo, uno dei tratti fondamentali del velivolo fu definito immediatamente come la sua capacità di effettuare il rifornimento in volo. In tal modo, in assenza dei limiti umani di stanchezza, fame o incapacità di mantenere a tempo indeterminato l’attenzione, il drone potrà in linea di principio continuare a pattugliare i cieli per tutto il tempo necessario, fino alla cessazione di un ipotetico stato d’emergenza. Lo stesso software realizzato per consentire l’automazione di questo processo di comunione con l’aerocisterna, utilizzato più volte dalla Marina per una serie di ulteriori esperimenti con aerei di vario tipo, ha costituito un’importante deriva del progetto, in grado di incrementare notevolmente la portata di una vasta serie di velivoli, senza la necessità di addestrare i piloti a compiere una delle più difficili manovre dell’intero mondo aeronautico moderno.
A maggio del 2011 fu dunque determinato che i due aerei dimostrativi X-47B fossero sottoposti a tre anni di test preventivi, a partire da basi rigorosamente terrestri, prima di essere integrati con l’equipaggio di una vera portaerei. Fatto sta che dopo soli 16 voli, le prestazioni dei droni si dimostrarono così straordinariamente efficienti ed affidabili, che si decise di passare immediatamente alla seconda fase: la prova intensiva di resistenza alle interferenze elettromagnetiche, effettuata presso la base militare di Patuxent River, nel Maryland. Superato anche questo scoglio, nel novembre del 2012 si passò al primo viaggio a bordo di una portaerei, grazie all’imbarco a bordo della USS Harry S. Truman, con il proposito di far funzionare l’aereo senza pilota di concerto con gli altri 90 mezzi volanti, tra aerei ed elicotteri, di una portaerei di classe Nimitz in pieno assetto di battaglia. Operazione che fu prevedibilmente definita “un pieno successo” prima di passare alla partenza e il rientro su un ponte di volo simulato a Patuxent River. Quindi, il momento della verità: il 14 maggio 2013, di fronte agli ufficiali preposti e l’intero equipaggio che non fosse di guardia con ordine superiore, l’X-47B è stato il primo drone ad essere lanciato con una catapulta a vapore, evento a cui fecero presto seguito una serie di atterraggi, touch & go e lanci ulteriori. L’impresa era riuscita: gli Stati Uniti erano il primo paese a disporre di un drone di grandi dimensioni in grado di operare da una nave. Che cosa questo potesse significare in termini strategici effettivi, dobbiamo a dire il vero ancora scoprirlo.

Raggi laser, nastri a codice binario, piccoli aeromobili che tracciano linee nel cielo… Per quanto strano possa sembrare, il dipartimento grafica & comunicazione della DARPA dev’essere popolato di appassionati dei videogame anni ’80.

Gli archivi video pubblici della DARPA sono pieni di scenari ipotetici, in cui viene mostrato un tipo di guerra non familiare, qualcosa che potrebbe forse manifestarsi in occasione del prossimo vasto conflitto che potrebbe condizionare il nostro più immediato futuro. Uno di questi è il “New Concept for Air Warfare” del 2015, in cui compare un aereo da trasporto stilizzato (chiaramente un C-130) che rilascia una serie di droni, i quali vengono utilizzati per triangolare passivamente la posizione della contraerea nemica. Figura chiave, nell’intero scenario, è un F-35 dotato di pilota che dovrà ricevere ed interpretare automaticamente i dati, permettendo all’unico umano di attaccare direttamente il bersaglio con armi a lunga gittata, senza esporre direttamente se stesso al pericolo di un abbattimento. Nell’ultima parte del video, addirittura, alcuni dei droni vengono usati come missili in grado di autodistruggersi contro il bersaglio precedentemente designato. Un approccio che potrebbe forse apparire non propriamente economico, benché vada inserito nel contesto militare di cui stiamo pur sempre parlando. Vi ricordo che un singolo missile pesante Tomahawk costa pur sempre 1.87 milioni di dollari. E il loro impiego comporta, molto spesso, il lancio in rapida sequenza di una quantità multipla di munizioni. In tale ottica, il drone effettivamente costruito dalla Marina potrebbe avere un ruolo tattico determinante, come ad esempio fornire ulteriore supporto di fuoco o sistemi di avionica per il suo wingman, per così dire, “umano”. Ma la realtà dei fatti, almeno per ora, è decisamente diversa.
Attualmente custoditi in un hangar senza sapere bene che cosa farci, i due prototipi dell’ X-47B erano stati originariamente destinati all’esposizione in un museo dell’aeronautica. Se non che nel 2015, alti ufficiali hanno determinato un piano di utilizzo, che potrebbe fare di loro stessi, paradossalmente, delle cisterne di rifornimento volanti. L’idea è meno assurda di quanto possa sembrare: utilizzando la loro capacità di carico migliorata, droni come questi potrebbero facilmente trasferire una quantità di carburante sufficiente affinché un F-18 possa portare a termine la sua missione. Con il valore aggiunto di un pilota (invisibile) in grado di effettuare la delicata manovra anche un miliardo di volte, con precisione pressoché sovrannaturale. Una fine per certi versi prosaica di quelli che dovevano diventare dei formidabili falchi d’assalto, ma che non di meno risulta pervasa di un meritevole grado di pragmatismo. Ovvero quella quieta consapevolezza, e realismo nel determinare le risorse a disposizione, che in ultima analisi conduce ai migliori risultati di un qualunque conflitto armato. E talvolta, in contesti di valutazione dalla più vasta e significativa portata, può persino arrivare a scansarlo!

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