Gara in Slovacchia per lo scava-tombe più veloce dell’Est Europa

La cosa più strana in assoluto, tra Cielo e Terra, è che si parli di un concetto che risponde all’appellativo di “mondo dello spettacolo” quando è totalmente palese, per chi ha tempo di farci che caso, che non c’è nulla, a questo mondo, che non costituisca spettacolo di qualche tipo. La gioia della nascita, la consapevolezza del matrimonio. La cupa realizzazione del funerale. Chi siamo, che cosa vogliamo, che cosa importa? Dove andiamo lo sappiamo fin troppo bene. Ma questo non significa che il nostro destino sia fare a meno delle piccole soddisfazioni della vita. E la morte. Come una coppa d’oro (o dorata) su chi è più bravo a mandare altrove, coloro che ci hanno lasciato. Il che significa nel mondo moderno, sempre più spesso, rispondere alle esigenze di un’orientalistica cremazione….Eppure non sempre. C’è ancora chi adesso, come da tempo immemore, brama discendere nella profondità della tomba, affinché il suo decesso vada a corroborare un luogo dove i parenti in lacrime (si presume) portino fiori e copiose lacrime del ricordo. Almeno per un’altra mezza generazione o due. Il che necessita, intrinsecamente, di un certo dispendio d’energia. Pura analisi meccanica della questione: se sei vissuto in superficie, ma vuoi trasferire le tue spoglie da trapassato al di sotto di tale membrana fisicamente impenetrabile, sarà necessario s-postare, al minimo, una quantità di terra equivalente alla tua massa corporea. Aggiungiamo all’equazione lo spazio occupato dalla magnifica cassa in mogano, oltre al margine necessario affinché la prima pioggia intensa, a sorpresa, porti quei resti all’affioramento, e sarà facile rendersi conto di come il mestiere del becchino/sagrestano/custode di cimitero preveda, talvolta, uno sforzo fisico non del tutto indifferente. A meno di voler impiegare una ruspa ma si sa, simili macchine costano, ingombrano, fanno rumore. Non propriamente qualità ricercate in un luogo di contemplazione tra gli alti cipressi che puntano verso l’infinito. Ciò che occorre fare dunque, è pur sempre quello: rimboccarsi le maniche, stringere i denti (se sono presenti) e scavare. A una profondità di due metri almeno, per una larghezza di 70 cm e un’altezza ovviamente variabile, a seconda di chi sta lasciando quest’esistenza terrena. Sapete quanto tempo occorre, normalmente, per portare a termine una simile impresa? Fino a sei ore, benché il cimitero di Green-Wood a Brooklyn, notoriamente, richieda ai suoi impiegati di dimostrarsi capaci di farcela in un massimo di quattro. Ma adesso sentite qual’è il record del mondo conclamato su Internet, stabilito con grande fanfara mediatica lo scorso anno di questi tempi? Appena 54 minuti. Una tale differenza, nata dall’allenamento costante e una certe verve di competizione, può lasciar intendere solamente un fattore: qualcuno, da qualche parte, ne ha fatto uno sport.
E quel qualcuno è Ladislav Striz, proprietario di un’azienda di pompe funebri della città industriale di Trenčín, sita non troppo distante dal confine della Slovacchia con la Repubblica Ceca. Un luogo generalmente privo di grandi eventi, a giudicare dalla sua assenza dalle cronache internazionali, tranne che per un singolo evento biennale: lo Slovak Funeral, importante convegno per l’esposizione dei maggiori fornitori di materiali utili a rendere in qualche modo memorabile (si spera persino “un successo”) l’epoca del proprio passaggio ulteriore nell’aldilà. Occasione nella quale, l’anno scorso, il veterano del settore ha avuto un’idea: perché non richiamare qui tutti i migliori, o sedicenti tali, scavatori di fosse, per farli competere al fine di determinare, finalmente, chi fosse eternamente il migliore… Eternamente, s’intende, fino all’occasione di rimettersi in gioco l’anno successivo. Ed è così che è nata la Competizione Internazionale Scavamento Fosse (CISF?) importante olimpiade giunta quest’anno alla seconda edizione, durante la quale per qualche attimo viene accantonata la costante serietà e reverenza verso una questione gravosa come la morte, per mettersi allegramente in gioco tra squilli di trombe (un po’ anemiche) da stadio ed almeno un tocco di surrealismo un po’ kitsch: Christian, il figlio del capo, vestito nella sua migliore approssimazione del Tristo Mietitore, teschio e cassa toracica esposti per meglio rendere l’idea, accompagnato da due conturbanti girls in tenuta da vampire. Che poi cosa c’entri, in effetti, non è chiarissimo: se succhi il sangue per non morire mai, e metti la cassa nel tuo soggiorno, perché mai dovresti presenziare una gara di addetti allo scavo di tombe? I misteri continuano ad accumularsi attorno alla singolare kermesse.

Il rosso, il bianco, l’avviso: nuoce gravemente alla salute. Una magnifica bara a forma di pacchetto di sigarette, per poter almeno dire alla propria famiglia “Sono morto facendo quello che amavo.” Alla Slovak Funeral si fa sempre quel passo in più.

Tra cui l’incertezza più grande di tutti resta, purtroppo, chi abbia vinto quest’anno il trofeo. O meglio, ne conosciamo soltanto il volto, grazie ai primi 30 secondi del breve ma esauriente documentario della MEL Films mostrato in apertura, ma non i nomi né tanto meno la performance, che possiamo soltanto presumere aver superato persino i già citati 54 minuti dell’anno scorso. Benché sia possibile, immagino, che trattandosi di due individui piuttosto somiglianti, essi possano di nuovo essere i fratelli Ladislav e Csaba Skladan, 43 e 41 anni, giunti dal villaggio slovacco di Kalna nad Hronom per rappresentare le pompe funebri di Peter Pastorok, già vincitori nel 2016. Ma in assenza delle trattazioni offerte in quell’occasione sui principali quotidiani internazionali, tutto ciò resta purtroppo un’ipotesi, più o meno fondata. Ciò che invece sappiamo per certo è lo svolgersi della gara: prima regola è che tutte le operazioni di scavo debbano essere effettuate unicamente con gli strumenti manuali della tradizione, ovvero pale e picconi. Nessun rombo di motore o ronzio elettrico saranno accettabili a disturbare le anime dei defunti, pena l’immediato calo della falce dello scheletrico arbitro di gara. I partecipanti dovranno quindi provvedere alla realizzazione di una tomba accettabile, ovvero adatta all’interramento di una sagoma rappresentante la bara, presso il suolo di un verdeggiante parco cittadino. Detta sagoma, in effetti, non è un’invenzione degli Striz creata appositamente per la loro competizione, bensì un vero strumento usato frequentemente dagli addetti allo scavo, per sincerarsi che il foro approntato risulti sufficiente per il defunto di turno al momento del funerale. Per tornare all’analogia dello spettacolo sopra accennata, potete facilmente immaginare l’atmosfera che potrebbe generarsi nel caso in cui la tomba dovesse risultare insufficiente, e magari più adatta a qualcun altra delle persone presenti.
Un problema purtroppo inevitabile, che ha condizionato fin dall’anno scorso l’imparzialità del risultato, è la natura diseguale del suolo sottostante il piacente parco di Trenčín, che stando alle lamentele di più di un team è sembrato nascondere nella loro zona designata una certa quantità di ghiaia e pietrisco, contro il terreno soffice incontrato dalla stragrande maggioranza del resto dei concorrenti. Ma forse il ruolo del Fato non può essere cancellato, neppure in questa realizzazione a margine di una questione che, per sua stessa implicita natura, non può che cavalcare l’onda spumosa degli eventi. Una volta completate, e ricoperte (questa parte è fondamentale) le fosse in questione, si è quindi passati alla fase di decorazione. Consistente essenzialmente nella collocazione di una semplice croce in stile marcatamente stereotipato, il cui effetto finale è stato anch’esso tuttavia, valutato dalla giuria di gara. Per un premio che possiamo soltanto presumere fosse distinto da quello, ben più prestigioso e sportivamente rilevante, del tempo richiesto a completare l’obiettivo designato.

Capigliatura rada, piccola falce, catena al collo, jeans e scarpe marroni che spuntano da sotto un vestito grigiastro strappato. Se questa qui è la morte, direi che appare decisamente meno terribile di come ce l’aspettavamo. Ma forse è soltanto una tenuta indossata per l’occasione, in attesa di ritornare agli orribili adempimenti del quotidiano.

Questioni utili, questioni inutili, questioni parzialmente utili. Tutto può essere uno sport, se lo si desidera con sufficiente intensità: non è forse vero che gli antichi Greci inventarono e codificarono il prototipo di questa attività, con lo specifico intento di preparare i giovani alle battaglie future del loro modo in costante conflitto culturale? Anche per il becchino, naturalmente, la sua è una battaglia che si combatte nel quotidiano. Ma contro la durezza e la pesantezza del suolo. Per cui disporre delle giuste armi, essere riposati e fisicamente pronti, è soltanto una parte di quanto serve per potersi dichiarare, ancora una volta, degni di ricevere gli allori del trionfo, o un bel paio di scarpe dedicate alla Dea Nike.
Questioni secondarie, rispetto alla forza d’animo e la convinzione necessarie a raggiungere un vero presupposto d’eccellenza. Con la paventata accettazione, proprio in questi giorni, dei videogiochi competitivi come sport degno di essere mostrato alle Olimpiadi in Giappone, tutto appare possibile. Benché il rito stesso della sepoltura secondo lo stile occidentale laggiù a Tokyo, probabilmente, potrebbe far sollevare più di un sopracciglio: troppo presente sarebbe il timore che la salma torni a calcare i piedi su questa terra, in forma di preta (fantasma affamato) o yurei (fantasma vendicativo). Talvolta l’unica cosa che può salvarti è un’ingente dose del fuoco che tutto purifica e riporta allo stato di grazia ancestrale. Qualche altra, è meglio scavare più a fondo e velocemente di tutti gli altri e poi scapparsene via. Verso i giorni in cui la zucca è soltanto un piatto in cucina, piuttosto che la testa del cavaliere spietato.

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