Il mistero culinario del sale di bambù coreano

Una gemma frastagliata di un profondo viola cristallino. Ci appoggi la lingua e ne senti il gusto salato. Mmmh, che strano sapore. Ehi, tu: si, sto parlando a te. Vorresti vivere per sempre? Sconfiggere 100.000 malanni? Ti piacerebbe prolungare la tua esistenza fino al raggiungimento di uno stato d’immota solidità, come l’oscura presenza dei picchi che svettano sulla cordigliera del Diamante? Osservare e confrontare il moto dei pianeti con l’ennesimo passaggio di una stella cometa, dall’interno di una caverna rivolta a Ponente? Certo, occorrerà fare qualche sacrificio. Dovrai prima di tutto diventare un eremita un po’ pazzo che scrive bizzarre poesie, incapace di definire il senso dell’attimo presente (questo è praticamente essenziale). E dissetarti esclusivamente soltanto l’impiego di un elisir a base di giada in polvere e funghi pseudo-velenosi, secondo quanto insegnati dagli antichi saggi della Cina continentale. Oppure, senti l’alternativa: potresti spostarti in quella penisola che confina con il Mar del Giappone, oggi divisa, e che forse mai riuscirà a ritornare un tutt’uno. Ma che ben conosce la logica di esseri straordinariamente longevi, la cui ricchezza materiale, e status, si suppone li abbia dotati di capacità al di sopra dell’umano.
Esistono essenzialmente due luoghi, che mantengono particolarmente vivo il legame con la tradizione del Jugyeom, uno degli ingredienti considerati maggiormente benefici dal vasto sistema di credenze gastronomiche e medicinali della cultura dell’Estremo Oriente: il tempio di Gaeamsa nella parte centro-meridionale del paese, in prossimità del parco nazionale di Byeonsan-bando, e l’azienda  Korea Bamboo Salt Corp, situata ad Hagyonaebaek-ro, nella provincia del Gyeongsang. Questi due poli in contrapposizione, quasi diametralmente opposti nella loro ricerca di un accrescimento spirituale nel primo caso, e nella commercializzazione coscienziosa di una preziosa risorsa con innegabili finalità di lucro nel secondo, si trovano tuttavia perfettamente d’accordo dal punto di vista di un singolo aspetto: l’impiego di metodi rigorosamente in linea con la tradizione. Perché, poco ma sicuro: non sarebbe davvero possibile realizzare il sale di bambù a partire da un approccio puramente industriale. Ed anche se ci si riuscisse, poi non sarebbe di certo la stessa cosa. C’è questa diffusa credenza, nei paesi a matrice culturale Taoista e Confuciana, che l’impegno profuso nella creazione di un qualcosa gli doni un meritevole valore aggiunto, come un potere mistico che gli permette di svolgere la funzione per cui era stato concepito.  Ma potremmo anche chiamarla una certezza riconfermata nei secoli di storia. Mangiare in un certo modo, astenersi da taluni attività per prolungare la propria vita: non è forse anche questo, il messaggio che riceviamo anche dalla società scientifica moderna? Così perennemente totalizzati, dai crismi dell’industrializzazione e il sovvertimento delle nostra relazione innata con la natura, noi che oggi tendiamo a riporre maggiore fiducia nei principi attivi prodotti in laboratorio, piuttosto che nella sapienza dei nostri distanti predecessori. Ottenendo di sicuro risultati largamente preferibili, nel caso di gravi afflizioni e malattie. Ma chi può dire, realmente, che cosa sia la prevenzione…
Si potrebbe tendere a pensare, in maniera automatica, che la leggendaria sostanza in oggetto venga in qualche maniera estratta dalla pianta, un po’ come avviene con lo zucchero dalla canna, o la barbabietola. Ovviamente, in quel caso non sarebbe del vero e proprio “sale”. Niente di più distante dalla verità. Così varcando le auguste sale dedicate al sapere e le opere di Buddha,oppure il capannone creato dal sogno del Dr. Kim Il-hoon, l’uomo che per primo brevettò questa prassi antica di 1000 o più anni, è possibile assistere alla stessa scena attentamente codificata nei testi di un sapere lontano: cumuli, e cumuli di solidi virgulti, tutti all’incirca della stessa età e dimensione, vicino a sacchi di sale marino (rigorosamente proveniente dalle coste occidentali del paese) argilla e cataste di legno di pino coreano. Nella maniera in cui tutto ciò si combina, attraverso una precisa serie di passaggi, è contenuto il segreto dell’intera, preziosa questione.

La visita di Gary Knight, famoso fotoreporter, al tempio di Gaeamsa diventa un’occasione gastronomica ma anche di fare la conoscenza con l’espansivo ed enigmatico monaco addetto alle relazioni con l’esterno, da lui definito “Vagamente simile ad un personaggio di Quentin Tarantino”.

La procedura per la creazione del sale di bambù nacque probabilmente in origine come metodo per purificare la sostanza, liberandola dalle scorie contenute all’interno che tendevano a condizionarne sensibilmente l’impiego in ambito gastronomico agli inizi della società industriale. Fu allora scoperto, in effetti, come portare la sostanza ad una temperatura particolarmente alta potesse far evaporare i contenuti indesiderati, ottenendo un sale più puro e presumibilmente, benefico per la salute. Questo fatto, almeno, è difficile da screditare, visto come anche in Occidente ed in particolare in Inghilterra, venisse altamente stimato il cosiddetto sale di Epsom, prodotto nell’omonima città con un processo simile di estremo surriscaldamento a 1000-1500 gradi, consistente nell’assoluta purificazione del solfato di magnesio. Soltanto che in quale modo si sarebbe potuto ottenere un risultato simile, nella Corea medievale? Il calore veniva prodotto, preferibilmente, all’interno di forni per la produzione dell’acciaio, e quindi concentrato, tramite l’utilizzo di speciali astucci di contenimento: stiamo parlando, a questo punto sarà evidente, dei tronchi di bambù titolari, chiusi alle due estremità con l’argilla rossa. Si ritiene che la prassi fosse messa in pratica già durante la dinastia Goryeo (918–1392) quando il particolare alimento veniva riservato ai nobili e i funzionari della casta regnante. Durante la cottura, quindi, il legno della pianta bruciava completamente, lasciando l’esistenza di questa candida colonna di sale, modificata nei suoi componenti chimici più profondi. Ovvero ricca di calcio, fosforo, manganese, zolfo, ferro e potassio, derivanti dalla miscelazione del legno in cenere con la terra argillosa, in quantità infinitesimali ed impercettibili allo sguardo. Sostanze tuttavia capaci di donare un particolare sapore, ed almeno si crede, capacità miracolose al cibo trattato con un simile condimento. Affinché la procedura raggiungesse la sua forma più elevata, tuttavia, fu necessario attendere ancora diversi anni. Quando nel corso della lunga dinastia Joseon (1392–1897) fu scoperto che cuocere nuovamente il sale, tramite l’impiego di un ulteriore astuccio di bambù, poteva portare a risultati migliori, un po’ come avviene per le spade giapponesi, ripiegate su loro stesse più e più volte, di nuovo per la questione dell’impegno dell’artigiano, un importante fattore per la disciplina neo-confuciana. L’alimento, quindi, iniziò ad essere commercializzato sulla base di diversi “gradi” (oggi denominati 1x, 2x, 3x…) corrispondenti al numero di volte che sono stati sottoposti ad una simile procedura. Fino a un massimo di nove volte, dove l’ultima, forse prevedibilmente, è concepita per accrescere esponenzialmente e favorire il pregio del prodotto finale. Poiché si prevede, in essa, che il sale venga portato ad una temperatura talmente elevata da liquefarsi, trasformandosi in una sostanza liquida simile al magma fuso. Per poi essere raccolto e diventare di nuovo solido tramite il processo di cristallizzazione. Ed è questo il momento in cui il più pregiato sale della Corea assume la sua colorazione caratteristica viola. Naturalmente, il costo per l’acquirente finale sarà tutt’altro che abbordabile, visto il lungo processo necessario per giungere ad un simile grado di eccellenza.

Molte parole sono state spese in merito alla presunta efficacia del sale di bambù coreano. Ma una cosa resta innegabile: il suo aspetto, simile a una pietra preziosa, che riesce a colpire immediatamente lo sguardo.

Il paradosso dell’intera questione, dunque, sarà a questo punto palese: l’intera finalità di purificare il sale è chiaramente un aspetto accessorio, quasi involontario della prassi produttiva perfezionata attraverso i secoli di commercializzazione. Poiché ogni volta che viene cotto, il sale coreano acquisisce ulteriori principi attivi dal legno e dall’argilla, arrivando, secondo moderne analisi, ad oltre 70 sostanze naturali dagli effetti mai approfonditamente testati. C’è un solo studio del 2012 reperibile online, intitolato Purple bamboo salt has anticancer activity in TCA8113 cells in vitro and preventive effects on buccal mucosa cancer in mice in vivo (Xin Zhao et al.) che parla di come sia stato possibile provare in laboratorio un’aumento dell’attività di contenimento tramite apoptosi (morte intenzionale) delle cellule colpite da tumore della bocca quando sottoposte all’esposizione del sale di bambù nei topi, piuttosto che quella del comune cloruro di sodio per uso gastronomico, acquistabile al supermercato. Ciò potrebbe tuttavia essere intrinseco del maggiore contenuto alcalino della sostanza, e non esistono del resto prove di questa efficacia sul cancro umano. Né sussiste alcuna prova inconfutabile in merito alle innumerevoli qualità benefiche citate dalla tradizione per questo alimento, che si dice curi gastrite, stitichezza, problemi alla pelle e all’intestino, al sistema urinario, alle articolazioni e mantenga il pH ideale del fisico umano. Tuttavia provate a parlare con un qualsiasi estimatore della più cucina elevata cucina coreana, ed egli sarà pronto a giurarvi che l’effetto del sale di bambù è palese, visto quanto la sua salute tenda a migliorare in modo sensibile a seguito della sua assunzione. Particolarmente apprezzato è anche il suo impiego all’interno di dentifrici, considerati tra i migliori per mantenere l’ottima saluta della propria insostituibile dentatura.
Come avviene nei più diversi campi della gastronomia, non è facile districare realtà e leggenda. Si dice tuttavia che il gusto indefinibile e lievemente affumicato di un simile ingrediente costituisca un’esperienza da far provare, almeno una volta, al vostro palato. Fortunatamente, nell’epoca di Internet ciò è tutt’altro che inaccessibile: numerosi sono i siti specializzati che vantano straordinarie caratteristiche del loro prodotto, in qualche maniera ancora più raro e mistico della concorrenza. Per quanto concerne l’impiego del colosso Amazon, invece, occorrerà rivolgersi al sito statunitense. La selezione delle filiali europee sembra molto più limitata, mentre la dicitura “sale + bambù” conduce, aggiungerei prevedibilmente, ad un vasto catalogo di barattoli e contenitori in legno.

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