La strana trasformazione delle formiche del miele

Nella tenebra notturna degli stati americani secchi e meridionali, California, Arizona, New Mexico, qualcosa si aggira alla ricerca di cibo. Sono le abitanti di un formicaio di Myrmecocystus mexicanus, assolutamente indisturbate dai controlli di frontiera. Imparentate con le formiche carpentiere, al punto di condividere con loro l’inquietante propensione a intrappolare gli insetti vivi, con lo scopo di succhiarne i fluidi vitali nel corso dei periodi di magra, esse portano in realtà questa pratica alle sue più estreme conseguenze: trasformando loro stesse, o per meglio dire una significativa parte della propria comunità di operaie, in vere e proprie dispense viventi, esseri non più in grado di muoversi ed attaccati al soffitto del sottosuolo, con l’addome rigonfio di una quantità impressionante di nettare prezioso.
Per loro si tratta di una imprescindibile necessità, poiché non possiedono il segreto architettonico di taluni altri imenotteri, che mantenendo l’uso delle loro ali a seguito della migrazione, si spostano in alto e costruiscono arnie suddivise in cellette, nelle quali mantenere al sicuro il frutto della loro attività di ricerca del cibo. Eppure tra le due categorie di specie, sono le formiche del miele ad poter vantare un successo biologico maggiore, principalmente per la loro immunità agli attacchi dello spietato parassita Varoa Destructor, in grado di annientare un’intera comunità insettile nel giro di un paio di generazioni. Dev’essersi trattato, in origine, di nient’altro che un processo automatico: dopo tutto, è nota la propensione delle formiche a trasferirsi vicendevolmente sostanze nutritive e saluti con feromoni di riconoscimento facendo incontrare le loro mascelle durante una sosta nel corso delle loro lunghe marce. E più di un’atroce guerra è iniziata a causa della mancata conformità di un’intrusa, iniziando la dura competizione tra formicai distinti per una quantità di risorse limitate; finché ad un certo punto, la coscienza collettiva delle comunità sotterranee non ha compreso un aspetto fondamentale della questione. Ovvero che, piuttosto che andare costantemente alla ricerca di fiori del deserto e della melata degli afidi, al fine di costituire l’essenziale carburante della sopravvivenza (con un processo per nulla dissimile da quello delle api) era possibile trasportarlo in una camera speciale, e darlo in pasto ad alcune delle proprie sorelle. Affinché quest’ultime, lungi dal trangugiarlo, lo custodissero nella parte del proprio apparato digerente nota con il termine di gozzo, benché si trovi, stavolta, nella parte posteriore dell’animale. Il resto, per così dire, è venuto da se: poiché una formica tanto gonfia, naturalmente, non può pensare di spostarsi e contribuire all’operato comune. Se non donando, ogni qual volta se ne presenta la necessità, parte del proprio ambrato tesoro ai membri più produttivi della comunità. È importante notare, ad ogni modo, che le formiche-barattolo non rappresentano una casta distinta e particolare, come quella dei soldati, bensì semplice operaie (maggiori o minori) la cui mansione assegnata è risultata essere non più assolvere direttamente alla risoluzione di un problema, ma restare immobili, per salvare l’intera comunità. E non è forse questa, vera nobiltà d’animo, assoluto senso di abnegazione? Laddove una classe di creature non può disporre di strumenti fondamentali per prosperare, trovarne l’equivalente attraverso il sacrificio dei propri simili, disposti a svolgere il ruolo designato anteponendo i bisogni della comunità all’espletamento delle proprie propensioni biologiche innate. Ma forse non è neanche corretto ragionare in questi termini: poiché l’evoluzione ha dotato l’intera specie di adattamenti speciali, quali l’esoscheletro dell’addome non più composto da un singolo involucro, bensì una serie di scleriti, piastre sovrapposte come tegole, che alla crescita di dimensioni della formica, si separano, non proteggendo più alcuna parte della formica. Poiché si presume che lei, a quel punto, sia custodita nel luogo più invalicabile del mondo, la camera segreta del clan. Che nessuno potrà raggiungere, tranne il nemico più terribile di tutti: gli umani…

In questo video, una regina delle formiche del miele si nutre del dolce nettare, incamerandolo nel suo addome. Pur non essendo un’operaia, essa possiede una simile dote, che in effetti accomunerà tutte le sue figlie future.

Le formiche della tipologia honeypot (pentola di miele) non appartengono tutte a una specifica famiglia, bensì due distinte: Myrmecocystus e Camponotus. Esse compaiono, in varie forme, in tutti i continenti escluso l’Antartide, benché ve ne sia una maggiore varietà nelle zone dal clima temperato o tropicale. Un’altra specie rilevante è quella Melophorus bagoti, abitante delle vaste distese dell’Australia centrale, indissolubilmente legata alla linfa dell’Acacia aneura, anche detta mulga, dal quale trae un miele dalla straordinaria dolcezza. Una volta gonfiate fino all’inverosimile, ed assunto l’aspetto sostanziale di chicchi d’uva, le formiche sono considerate una vera delizia alimentare da talune popolazioni aborigene, che tradizionalmente scavano alla ricerca del loro rifugio, per farne un componente raro, ed assai gradito, della loro dieta. Usanze simili erano presenti anche tra i Nativi d’America, che in aggiunta attribuivano proprietà mistiche al miele di formica, in grado di favorire la comunione con gli antenati e guarire ferite di vario tipo. Nella cucina messicana settentrionale, questi strani doni della natura venivano triturati ed usati come ingrediente dei dolci per le grandi occasioni, come matrimoni o riunioni familiari. Ma è altamente probabile che agli insetti, non facesse particolarmente piacere il fatto di essere stati invitati.
Così alcune varietà di formiche carpentiere, principalmente originarie del Sudest asiatico, hanno sviluppato un particolare metodo per proteggersi: la capacità di esplodere a comando. Attraverso l’impiego di una ghiandola mandibolare modificata, che corre per l’intera lunghezza del corpo, ricolma di una sostanza collosa e urticante. In questa maniera chi dovesse disturbare il formicaio, prima di raggiungere le dolci, dolcissime custode del suo patrimonio nutritivo, dovrà combattere contro l’ultimo sacrificio dei guardiani, disposti anch’essi a sacrificarsi pur di mantenere il desiderabile status quo. Un’altra strategia simile a quella delle api, che molto spesso sacrificano il pungiglione e se stesse nel tentativo di dissuadere possibili assalitori. Grazie a simili artifici, il tipico formicaio della pentola di miele vive in uno stato di costante serenità e abbondanza, letteralmente sconosciuto per coloro, tra i suoi simili, che non hanno raggiunto lo stesso stato di illuminazione. Così che può capitare, ed è stato documentato a più riprese, che le soldatesse di due regine distinte smettano spontaneamente di farsi la guerra, inducendo i due formicai alla fusione. Nel caso di una colonia di Camponotus inflatus osservata in Australia nel 1991 da John R. Conway, fu annotata la presenza di sei regine senz’ali, con una presenza di 66 camere per l’imagazzinamento delle formiche ricolme di miele, chiamate in gergo replete (piene). Il nido aveva una profondità di 1,7 metri, ed i suoi tunnel raggiungevano i 2,4 a partire dalla stanza d’ingresso.

Come passa il tempo, anche per le celebrità della divulgazione scientifica! Ecco Sir David Attenborough che parla delle formiche del miele, arrivando ad assaggiarne il gusto dolce, che si dice essere davvero spettacolare.

Dopo tutto questo, è naturale sollevare l’obiezione: ma perché allora non troviamo nei negozi il miele di formica? La ragione non è relativa alla quantità prodotta: a parità di dimensioni del formicaio e dell’alveare, non c’è una significativa differenza in merito all’abbondanza. Né per la difficoltà di gestire questa particolare varietà di insetti eusociali: anzi la mancanza di ali nei periodi di vita sedentaria, permetterebbe di interagire con il formicaio in condizioni di assoluta praticità e relax. Il problema è molto più semplice, e proprio per questo insormontabile: l’essere umano, che non possiede le mandibole specializzate delle operaie e certamente neppure il loro particolare codice feromonico, non potrebbe riuscire a violare la cassaforte delle formiche-dispensa, non avendo quindi altra scelta che ucciderle, ogni qual volta vuole accedere al contenuto. Ciò non è naturalmente pratico in un ipotetico contesto di produzione di massa: con i margini operativi dell’attuale mercato globalizzato, non esiste semplicemente un formicaio abbastanza vasto e prolifico da sopravvivere per più di un paio di mesi. Al massimo. Normalmente questo sarebbe una sfortuna per qualsiasi specie animale: poiché nel mondo moderno, è raro che un’essere privo di una funzione utile riesca a ricavarsi una nicchia tra gli ecosistemi ingombrati dai nostri gravosi espletamenti abitativi e industriali. Lo stesso discorso che vale, incidentalmente, per gli afidi imprigionati e regolarmente “munti” dalle stesse formiche carpentiere. Mentre nel caso di instancabili lavoratori come questi, piccoli, resilienti ed adattabili, i presunti dominatori del pianeta sono pressoché ininfluenti.
Come fatto da tempo immemore, le formiche continuano la loro opera d’immagazzinamento. Qualche volta, per necessità immediate o il sopraggiungere della senescenza, vengono svuotate. Quindi prima o poi, passano a miglior vita. Ma ce ne saranno sempre delle altre a prendere il loro posto. Sarebbe bello poter dire lo stesso del panda gigante. O di noi…

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