Tecnica d’artista: tombini per stampare le t-shirt

La pesantezza è un’importante caratteristica dei coperti metallici usati per i condotti di accesso al sottosuolo urbano, ma non sempre porta dei risultati positivi. Nel 1990, durante una gara del Gruppo C a Montreal presso il circuito cittadino di Gilles Villeneuve, una Courage C24 è passata casualmente sopra un tombino: è stato allora che l’effetto del vuoto creato dalle sue avanzate componenti aerodinamiche l’ha risucchiato verso l’alto, scaraventandolo come il macigno di una catapulta all’indirizzo della macchina che stava per sorpassarla. La sfortunata Porsche 962 in questione, quindi, prese fuoco e la gara dovette essere interrotta. Da allora, simili implementi dell’arredo urbano vengono attentamente sigillati o cementati prima di qualsiasi gara automobilistica. Ovunque tranne che a Parigi, dove grazie all’apporto di un attrezzo speciale, vengono fatti ruotare di 45° e si bloccano, letteralmente, in corrispondenza del manto stradale. Certo:  60-90 Kg di ghisa o ferro non devono “elevarsi”, non possono “raggiungere vette ulteriori” poiché se stanno per esulare dall’impiego per cui erano stati creati, può significare solamente una di due cose: 1 – Sono stati rubati; 2 – Sta per capitare un incidente. Purtroppo questa è la natura del problema, da qualsiasi lato si decida di analizzarlo. Il che non significa, del resto, che non se ne possa effettuare una copia da portare sempre assieme a se. Nel distante Giappone, dove i tombini municipali costituiscono una vera  e propria forma d’arte pubblica (vedi precedente articolo) ed ogni branca dello scibile sembra dimostrarsi in grado di generare la sua specifica fandom, un particolare tipo di otaku (eclettico appassionato) occupa le sue giornate andando in cerca di modelli rari o del tutto nuovi, da traferire su carta grazie all’impiego del cartoncino. E qualcosa di simile, dopo tutto, è quanto realizzato dall’artista nata in Francia e residente in Germania Emma-France Raff. La quale nel 2006, mentre viveva ancora in Portogallo con il padre pittore Johannes Kohlrusch, restò colpita dal design di un tombino visto per la strada verso Lisbona. E da una discussione con il genitore, riuscì ad elaborare una versione decisamente più internazionale di quanto fin qui descritto: essa consisteva, essenzialmente, nel pulire il tondeggiante oggetto, ricoprirlo di una vernice nera a presa rapida ed imprimervi sopra una semplice maglietta bianca, tenuta rigida grazie a un pezzo di cartone. Una serie di gesti che, a patto di condurli con manualità e precisione adeguata, permette di ottenere una trasposizione pressoché perfetta del design metallurgico sopra la stoffa, pronto da indossare a lampante dimostrazione di un senso dello stile fuori dagli schemi e divertente nella sua originalità.
Trasformata quindi l’iniziativa in un tour nazionale dal nome estampatampa con esposizione ultima nella città di Sines (provincia portoghese di Setubal) nel 2006 il duo padre-figlia l’ha archiviata per qualche tempo, mentre lei finiva di diplomarsi in disegno tessile presso la Modatex School of Textile and Fashion di Porto, per iniziare quindi a crearsi un pubblico di settore tramite lavori di tipo più convenzionale, come pattern o disegni stampati per la stoffa, oltre ad un particolare cappello di sua concezione, il Muse, creato con materiali di recupero di vario tipo. Finché all’incirca un paio di anni fa, almeno a giudicare dai video pubblicati sul suo canale di YouTube, alla creativa non è venuta l’idea di sfruttare questo grande flusso delle informazioni post-moderne, l’agglomerato dei moderni siti social e il Web 3.0, per tentare di raggiungere il maggior numero di persone possibili attraverso l’interessante idea. Il risultato, attraverso questi ultimi mesi ed anni, non ha fatto altro che crescere in maniera esponenziale, diventando incidentalmente anche un sistema di guadagno veramente niente male. E c’è qualcuno che si sorprende? Indossare letteralmente un pezzo di città costituisce forse il modo più affascinante di portarsi dietro un souvenir, come esemplificato dal sito dell’artista, che vende le magliette in questione a somme che si aggirano sui 40-50 euro cadauna. Già è possibile vedere, tra i recessi multiformi di YouTube, diversi venditori ambulanti che sembrano avergli copiato l’idea.

In epoca più recente, per stare dietro alla grande quantità di ordini l’artista si è procurata almeno un tombino da usare tra le quattro mura del suo atelier, senza doversi recare continuamente fino a luoghi come Alexanderplatz.

Certo, non propriamente a buon mercato rispetto alle alternative ottenibili mediante un semplice processo di stampa. Ma la cifra appare decisamente più giustificata quando si considera il processo produttivo che c’è dietro, consistente nel recarsi fisicamente presso alcuni dei tombini più particolari di Berlino con un carico di magliette, pulirli a fondo, applicare l’inchiostro e mettersi pazientemente al lavoro, sotto lo sguardo stupito di passanti, turisti e curiosi di vario tipo. Una prassi che ha portato Emma Paris ad autodefinirsi raubdruckerin, la “stampatrice pirata” qualifica quindi attribuita, per estensione, agli amici che negli anni l’hanno aiutata a commercializzare il più alto numero possibile di prodotti. Questa scelta dei termini, inoltre, è piuttosto interessante: poiché non manca effettivamente online chi fa notare come trarre un profitto da tale approccio costituisca, in qualche misura, l’appropriazione del lavoro altrui. Il design più famoso del marchio ad esempio, intitolato Berlin Mitte e raffigurante alcuni dei punti di riferimento più famosi della capitale tedesca, è opera del rinomato designer Marcus Botsch (1961-2012) che fu operativo nel settore medico, dei mobili e degli accessori urbani. Non è forse possibile affermare quindi, da un certo punto di vista, che i detentori della sua eredità dovrebbero aver diritto ad una certa percentuale sulla vendita delle magliette? Ciò non è semplicissimo da determinare. Esiste in effetti, su scala europea ed internazionale, la dinamica del fair use, secondo cui è possibile utilizzare l’opera di terzi come base per la propria, purché vi si aggiunga un valore ulteriore o in qualche modo la sia cambi, nel metodo di fruizione o lo scopo ultimo desiderato. Ciò è alla base di gadget multi-generazionali come le infinite magliette e loghi con variazioni dello slogan britannico della seconda guerra mondiale “Keep Calm and Carry On” (State calmi e andate avanti) o la proliferazione delle onnipresenti emoji, frutto endemico di un progetto spontaneamente collaborativo tra designer delle più diverse denominazioni e nazionalità.
E non è dopo tutto, proprio questo ciò che dovrebbe fare l’artista? Osservare, catturare ed a suo modo, reinterpretare. Oggi non conosceremmo la grandezza di un personaggio come Andy Warhol, se per qualche assurda ragione gli avessimo preferito l’opera del designer della zuppa Campbell, solamente in quanto “originale”.
Tra gli altri design più popolari della Raubdruckerin (intesa come compagnia) il sito ufficiale cita Neukoelln, ricavato dalla figura geometrica impiegata da una compagnia dei riscaldamenti berlinesi; Kreuzberg, semplice figura geometrica con griglia e il logo dei telefoni locali; Friedrichshain, una sezione scelta di un tombino con figure di tipo circolare, che assomiglia pericolosamente ad una maschera di un dio azteco. A seconda dei casi, l’autrice posiziona la stampa in modo tale da accrescerne l’effetto, allineando gli elementi alle maniche o il  bordo della maglietta. In epoca più recente, ha iniziato a produrre anche borse e zaini, anche se al momento in cui scrivo, molti risultano esauriti sul suo sito ufficiale, come del resto, purtroppo, alcuni dei design più interessanti, provenienti da città come Parigi e Amsterdam. Il che è l’effettiva prova, se mai fosse necessario, che il processo di realizzazione comporta un carico d’impegno superiore a quello di una maglietta stampata con metodi convenzionali, oltre allo spostamento fisico nel luogo di provenienza.

Nel 2015 Emma Paris si è recata in tour anche in Italia. In questa scena possiamo vederla alle prese con l’entusiasmo del pubblico di Amantea, in Calabria, tra cui l’istrione che decide di farsi stampare il tombino locale direttamente sullo stomaco, senza l’impiego del medium artistico della maglietta. Il risultato, purtroppo, lascia un po’ desiderare. Si sarà mosso?

In un’epoca in cui tutto deriva da altro, e l’originalità è un tesoro più prezioso dei diamanti, non è facile comprendere quali lavori siano di natura prettamente commerciali e quali altri, invece, abbiano il merito di essere elevati a vere e proprie espressioni d’arte. Proprio per questo, occorre andare a fondo nella propria analisi, e non limitarsi a considerare gli aspetti più meramente esteriori della faccenda. Chiediamoci: qual’è l’origine di tutto questo? L’artista che osserva un disegno largamente trascurato, lo trova magnifico e trova il modo di mostrarlo al mondo. Sarebbe veramente assurdo, affermare che esso stava meglio a copertura di un ingresso per le fogne cittadine. Il fatto che produca anche un capo di vestiario degno di essere venduto, è soltanto un meritevole valore aggiunto.
Nessuno ha mai affermato che colui/colei che coltiva il fiore e possiede il merito della creatività, dovrebbe guadagnarsi il pane facendo un semplice lavoro d’ufficio. Tranne chi ha bisogno di sfruttare i petali di tale pianta, per fare un profumo di sua personale concezione. E questo, dopo tutto, resta un triste miasma dell’odierna società. Per fortuna esistono i tombini…

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