Ghiaccioli giganti contro il problema del riscaldamento globale

Avete mai sentito parlare del Ladakh? Un paese di passaggio, sito al confine tra India e Tibet, chiuso tra le imponenti catene montuose dell’Himalaya e del Kunlun. Chiamato un tempo “la terra dei passi montuosi” per l’alta quota a cui si trovano le sue arterie di collegamento più importanti, e pressoché priva di precipitazioni, perché semplicemente una volta raggiunte le massicce barriere del paesaggio, le nubi non potevano far altro che fermarsi. E portare la loro acqua altrove. Il che, in un luogo dall’industria agricola rilevante (estremamente rinomate le albicocche locali) ha portato all’instaurarsi di un equilibrio, tra l’uomo e il sistema della natura, per cui ogni anno, tra aprile e maggio, all’inizio dello sciogliersi dei ghiacciai soprastanti, una parte dell’acqua discende fino alla quota di 4/5.000 metri, a cui si trovano disseminate la maggior parte delle comunità locali. Mentre per il resto dell’anno lo spazio tra questi confini viene definito, con mera ed oggettiva osservazione della realtà, con il termine di deserto. Ma un deserto diverso da ogni altro, dove la temperatura diurna media può anche aggirarsi, in determinati periodi dell’anno, sui -20 Celsius. A tal proposito il Ladakh è stato definito come “L’unico luogo al mondo in cui è possibile subire un’insolazione e un congelamento allo stesso tempo.” Eppure, nonostante questo, una popolazione di circa 230.000 abitanti è riuscito a farne la sua casa, interpretando da tempo immemore i ritmi ed il funzionamento del clima locale. Finché ad un certo punto (scommetto che ve lo aspettavate) l’idillio si è incrinato. Lo sapete perché: i gas inquinanti, il buco dell’ozono, l’aumento della temperatura globale, hanno portato i loro effetti fino alle più remote riserve di ghiaccio del tetto del mondo, iniziando ad alternarne i tempi ed il fato. Così dal tempo approssimativo di una generazione, tra un anno all’altro, tali entità hanno preso a squagliarsi non più con pacifica regolarità, ma all’improvviso e tutto assieme, causando inondazioni lampo in grado di devastare letteralmente una fattoria. Ma quel che è peggio, consumando tutta l’acqua annuale che doveva servire per l’agricoltura nel giro di pochi, drammatici giorni. Che cosa fare, a quel punto?
L’India è un subcontinente famoso soprattutto per il suo sincretismo di religioni e culture, la storia millenaria, l’arte e l’antica filosofia. Ma esso possiede anche un’altra qualità tipica del mondo moderno, che non troppo spesso viene considerata da chi vive lontano: la straordinaria inventiva dei suoi numerosi abitanti. Con un numero di inventori pro-capite tra i maggiori al mondo, spesso autodidatti o istruiti dagli alterni sentieri della vita, e un’attenzione innata per i problemi dell’uomo e della donna comuni, piuttosto che quelli delle spropositate ed anonime multinazionali. Persone come Sonam Wangchuk, il creatore, tra le altre cose, del primo ed unico stupa di ghiaccio. È un’idea fondata sull’estrema semplicità funzionale che spesso costituisce un chiaro segno del puro genio: un tubo, sepolto accuratamente, che parte dalla sommità di una montagna antistante il villaggio per raccogliere ogni singola goccia di ghiaccio squagliato. E che discende, con un gradiente importante, fino all’altezza dei campi coltivati. Quindi, ed è questo forse l’aspetto più bello, compie una rapida salita nel suo punto finale, come la canna di una fontana: non c’è pompa, non c’è motore, non c’è trucco né inganno. Eppure l’acqua giunta fin lì, tranquillamente risale, per l’effetto della pressione cumulativa di tutta la massa contenuta nel lungo tubo. E zampillando, ricade giù. Pura idraulica, signori miei! Ora, se ci trovassimo in qualsiasi altro luogo del mondo, tale apparato non sarebbe altro che una bizzarra, e stranamente costosa decorazione. Ma poiché in Ladakh, come dicevamo, la temperatura media dell’aria scende molto al di sotto dello zero, sopratutto in inverno, ciò che si ottiene da un simile processo è il progressivo formarsi di un cono verticale, simile a una stalagmite di ghiaccio formazione. Mano a mano, l’acqua forma i numerosi piccoli ammassi di candida materia cristallina. La quale naturalmente, rotola fino a terra allargando la base. Fino al punto in cui, raggiunta una stabilità sufficiente, la struttura inizia a crescere in altezza. Nelle prove fatte fin’ora, si sono raggiunti i 20 metri, stabilendo il nuovo record per la più alta struttura di ghiaccio  mai costruita dall’uomo.

Sonam Wangchuk, a cui di certo non manca l’ambizione, ha immaginato un futuro in cui 30, 40 o 50 dei suoi ghiaccioli potranno convivere in un solo spazio, che prenderà quindi il nome di “campo ghiacciato”. Esso potrà quindi fornire acqua all’intera regione dei villaggi circostanti.

A questo punto, non è difficile immaginare che cosa dovrà accadere. Con l’avvicinarsi dei mesi primaverili, indipendentemente dallo stato dei ghiacciai soprastanti, tutto ciò che dovranno fare gli agricoltori è collegare il loro sistema di irrigazione al bacino non permeabile, all’intero del quale il loro stupa sta gradualmente ritornando allo stato liquido da cui si era formato. Per quanto riguarda l’uso di questo termine, “stupa”, sarà opportuno definire come si tratti di una diretta analogia rivolta alle strutture religiose, di forma grossomodo conica, usate come oggetto di venerazione da parte dei seguaci del buddhismo Mahayana, originariamente proveniente dal Tibet. Parallelismo tutt’altro che inutile, vista l’usanza tipica del Ladakh (e paesi limitrofi) di collocare una vasta raggiera di bandiere votive a partire dal pinnacolo degli stessi, in questo caso sostituito dall’estremità della cannula, ed ancorate alle rocce e il terreno circostante. Elementi decorativi che, nel presente caso, avranno il merito aggiunto di coprire almeno in parte il ghiacciolo dalla luce spietata del Sole.
La prima costruzione di una di queste insolite meraviglie ha avuto luogo quindi nel 2014, presso il terreno di proprietà della scuola alternativa SECMOL (Students Educational and Cultural Movement of Ladakh) creata proprio dall’ingegnere meccanico alla base dell’idea degli stupa, nel suo decennale sforzo di offrire un’educazione ai giovani del suo paese che per la prima volta nella storia, non fosse imposta dalle influenze e tenuta nelle lingue dei paesi stranieri confinanti. Sonam Wangchuk nasce nel 1966 ad Uleytokpo, nei pressi del distretto di Leh. Suo padre era una figura politica piuttosto importante. Elemento fondamentale nella formazione della sua personalità, nonché grande fortuna individuale, considera il fatto di non essere stato mandato a scuola per i primi 9 anni di vita, durante i quali la madre gli fornì tutte le nozioni educative di base. Venendo quindi a contatto con un sistema educativo che non gli permetteva di esprimersi nella sua lingua madre, e lo emarginava nel suo stesso paese, egli decise quindi di fare il possibile per cambiare le cose, cominciando dall’esporre personalmente il problema al preside della scuola Vishesh Kendriya Vidyala di Delhi, quando aveva ancora appena 11 anni. Successivamente, quindi, laureatosi in ingegneria meccanica presso l’Istituto Nazionale di Srinagar nel 1987, inizia a coltivare i progetti che l’avrebbero reso celebre sulle testate giornalistiche di molti paesi. Tornando ai giorni nostri, l’esperimento del primo stupa fu ben presto giudicato un successo, attirando l’attenzione delle istituzioni e diverse figure di spicco anche religiose. Tra cui Sua Santità Drikung Kyabgon Chetsang, tra i più importanti lama reincarnati dell’intero Ladakh e regioni limitrofe, grazie al quale fu possibile organizzare l’effettiva consacrazione del mini-ghiacciaio artificiale, completa di festa celebrativa e una sessione tradizionale di preghiere. Il religioso ha quindi messo a disposizione l’ampio terreno del monastero di Phyang per costruire in serie gli stupa, dimostrandosi vicino ad una visione moderna ed anticonvenzionale di che cosa significhi manifestare i precetti operativi del pensiero del Buddha.

All’ingegnere Sonam Wangchuk è stato ispirato anche il personaggio Phunsukh Wangdu, protagonista del grande successo cinematografico indiano “3 idiots” di Rajkumar Hirani, basato sulle vicende e la storia personale di alcuni giovani inventori indiani.

Poco dopo un simile onore, Wangchuck si è quindi premurato d’istituire una campagna di raccolta fondi online sul portale di IndieGogo, invitando la gente del mondo a “restituire quello che ci hanno tolto” facendo almeno in parte ammenda per il riscaldamento globale che sta gradualmente rovinando il clima del Ladakh, paese di per se assolutamente incapace di produrre emissioni inquinanti degne di nota. L’iniziativa si è quindi conclusa nel 2015, portando alla raccolta di 125.000 dollari sui 119.000 richiesti, subito investiti nell’accrescimento e la continuazione del massiccio progetto. Per quanto concerne lo stato attuale della questione, le cose diventano purtroppo più nebulose: nonostante i numerosi articoli pubblicati negli ultimi due anni sulle maggiori testate internazionali, nessuno sembra essere basato su una ricerca giornalistica sul campo, e manca purtroppo una testimonianza fotografica dell’attuale stato dei lavori. L’ultima notizia precisa, dell’Economic India Times risalente a dicembre del 2016, parla dell’attuale sforzo delle maestranze locali per ampliare l’attuale parco di stupa da 4-5 a 10-20 entro la fine dell’inverno. Non mi è stato tuttavia possibile verificare l’effettiva riuscita della difficile impresa. L’articolo parla invece di un interessante collaborazione iniziata tra l’ingegnere indiano e l’ente per il turismo di St. Moritz in Svizzera, mirato alla costruzione di alcuni stupa di ghiaccio anche nella famosa località sciistica alpina. Con l’obiettivo, stavolta, non tanto di fornire acqua per l’irrigazione, quanto di costituire un’attrazione turistica con tanto di bar ed hotel all’interno. Un progetto potenzialmente molto redditizio, che potrebbe portare nuovi fondi all’importante iniziativa principale nel su paese di provenienza.
Di certo immaginare di risolvere un problema universale come quello della rovina che sta pesando sull’intero clima globale, con soluzioni ingegnose ma d’entità relativamente ridotta come questa, potrebbe sembrare un’ottimistica assurdità. Ma la realtà è che ogni piccola goccia, nel mare, può collaborare nella formazione di un maremoto. E se quel qualcosa, mentre si affanna nel raggiungere lo scopo finale, ha un effetto immediato e misurabile sul benessere di un popolo intero, che cosa ci resta da dire…

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