Se un barattolo di lievito può conquistare una nazione

Successe all’incirca un paio di anni fa. L’attore australiano Hugh Jackman, a.k.a. Wolverine l’X-Man invulnerabile dai lunghi artigli, che durante un’intervista dello show di Jimmy Fallon si sentì in dovere di tirare fuori un tostapane, col caratteristico barattolino dal tappo giallo. “Voi [americani]…” esordì sottintendendo la seconda parte, con tono bonario ma realmente esasperato: “Voi… Non la capite, solamente perché la mangiate nel modo sbagliato. Vegemite non è soltanto un qualche cosa che il medico prescrive, per alleviare una carenza della vitamina B. Questa cosa la si mangia a colazione, perché è veramente BUONA. Yum!” Segue la scena tipica, ripetuta in mille video di YouTube, dell’esperto che apre la confezione, permettendo alla controparte di giornata di annusarlo. E l’espressione visibilmente sconvolta del conduttore Jimmy, che storce gli occhi e arriccia il naso, di fronte al possente e inevitabilmente spiacevole aroma di carne salata. L’estratto di lievito è un qualcosa che si assume con moderazione. Eppure, chiedete voi a un anglosassone del Vecchio, oppure Nuovissimo mondo: c’è all’incirca un 50% di probabilità che lo troviate pienamente allineato con l’opinione di Mr. Logan “Ossa d’Adamantio” Howlett. Per poi lanciarsi in una lunga disquisizione sule perché, esattamente, la versione del SUO paese sia sensibilmente superiore. E per quanto concerne la restante metà della popolazione… Beh, lasciamo perdere. Ma la faccenda chiave, che di certo potrebbe condizionare anche noi italiani trovandoci di fronte ad una simile pietanza, è che una tale cosa non va spalmata sulla fetta della colazione come fosse marmellata, miele o (Dio non voglia) dolcissima Nutella. Bensì centellinata con la punta del coltello, e possibilmente smorzata con un sottile velo di burro. A tal punto è forte, e caratteristico il suo sapore. Tutto considerato, sembra strano che il concetto non risulti più noto al pubblico generalista. Ma a giudicare dall’opinione diffusa in merito all’impasto concentrato su scala internazionale, la persona media odia la Vegemite, semplicemente perché tenta di mangiarne troppa, tutta assieme.
E dire che qui siamo di fronte, dopo tutto, ad un qualcosa di tutt’altro che nuovo. La prima diffusione della crema avvenne in Inghilterra nel 1902, a seguito della scoperta dello scienziato tedesco Justus von Liebig, relativa al fatto che il lievito avanzato dalla produzione della birra non dovesse, in effetti, essere gettato via o impiegato come concime. Ma che piuttosto era possibile trattarlo e imbottigliarlo, per procedere alla sua consumazione futura. Si trattò di una rivelazione simile, se vogliamo, a quella del miso giapponese, la risultanza collaterale della produzione di un’altra sostanza frutto della fermentazione, la salsa di soia. E che come quest’ultima, trae l’origine dall’impiego copioso del sale. Una volta estratta e separato questo conglomerato di cellule fungine, infatti, esse vengono rese ipertoniche tramite l’aggiunta del sodio. Un processo che sostanzialmente, le uccide, bloccando ogni potenziale alterazione futura. A questo punto l’impasto fluido, ancora troppo denso e non gradevole al palato, viene filtrato attraverso una macchina vibrante, che separa e rimuove le membrane esterne del fungo microscopico. lasciando indietro il fluido scuro che diventerà, pressoché spontaneamente, Marmite o Vegemite. Già, c’è un doppio nome: perché l’irrinunciabile ingrediente della prima colazione, a dire il vero, non nasce affatto nella versione più dolce (e almeno dicono, più facile al palato) della terra emersa più estesa del continente di Oceania risalente solamente all’epoca successiva alla prima guerra mondiale, bensì presso la Marmite Food Extract Company di Burton sul Trent, nello Staffordshire d’Inghilterra. Esportata quindi nel remoto 1908 la licenza in esclusiva del prodotto verso la Sanitarium Health Food Company della Nuova Zelanda, agli australiani non restò che farne una versione propria, modificata con l’aggiunta di zucchero e caramello. Ora, chiedete ad un australiano cosa pensa della Marmite inglese, e questi vi risponderà, probabilmente, che è amarognola alla stregua di una punizione per i bambini cattivi. E se fate l’inverso con la Vegemite, sono pronto a scommettere che l’altro vi dirà che pare un snack dolce con l’orribile aggiunta di sale, oppure che semplicemente, la mistura richieda più sale. Molte faide sono nate in merito a una simile disquisizione…

Nota: per la scena citata del Tonight Show con Hugh Jackman, fare click qui

Robert Llewellyn visita la leggendaria prima fabbrica della Marmite, oggi di proprietà del gigante multinazionale Unilever. L’esperienza si rivela estremamente educativa.

Un vero prodotto della prima globalizzazione, dunque: Inghilterra, Australia, Germania, manca soltanto… Lei. Eppure a dire il vero, c’è un piccolo (o a seconda dei punti di vista, grande) accenno alla Francia, nel nome stesso del prodotto originario, che in effetti allude a quella che noi italiani chiamiamo semplicemente “marmitta” ovvero il pentolone col coperchio usato, tra le altre cose, per produrre le misture delle streghe. La ragione di una simile associazione non è del tutto chiara, benché potrebbe trarre l’origine dal metodo, per lo più ipotetico, per produrre la crema Marmite in casa, ma essa risulta del tutto primaria nell’immagine gastronomica del prodotto. Al punto che la forma tradizionalmente tondeggiante del barattolo della sua versione inglese, riconoscibile in patria quanto la bottiglia di Coca-Cola, dovrebbe ricordare direttamente lo strumento culinario in questione. Mentre gli australiani, per ovvie ragioni di copyright, scelsero di optare per una confezione dalla forma più consueta.
Particolarmente celebre fu quindi la competizione nazionale con un premio 50 sterline (circa 3.500 dollari odierni) istituita nel 1923 in forza della riduzione delle importazioni del prodotto inglese, per chiedere al pubblico nazionale quale dovesse essere il nome della nuova versione. Gara che fu vinta dalle due giovani Hilda e Laurel Armstrong, che sarebbero rimaste note per il resto della loro vita come le Vegemite Girls. Assolutamente degna di nota, a tal proposito, è stata l’iniziativa pubblicitaria del 2009 istituita dalla Kraft Foods, odierna proprietaria del marchio, per denominare un nuovo gusto della crema spalmabile, che portò al terribile appellativo di iSnack 2.0, pensato per alludere al mondo della tecnologia e dei giovani, allineandosi con i criteri dei prodotti della compagnia americana Apple. Un’ipotesi, questa, che diede adito ad una tale quantità di proteste ed enfatiche prese in giro, da convincere la compagnia a fare marcia indietro, scusandosi e scegliendo un più semplice Vegemite Cheesybite. Ciò non fece che riconfermare l’ormai arcinota problematica di chi istituisce simili competizioni nell’era di Internet, in cui diventa fin troppo facile associarsi con ampie fasce di utenza che intendono mettere in difficoltà un’istituzione o una compagnia. Mentre un tempo, era decisamente più facile evocare nella mente della potenziale clientela un’immagine ritenuta gradevole ed in qualche modo duratura…

“Siamo piccoli ed allegri Vegemite, brillanti più che mai” recitava il celebre jingle pubblicitario del 1954, scritto dalla J. Walter Thompson advertising. Nel 2007 gli otto bambini originari furono rintracciati per partecipare ad un giro di interviste e partecipazioni Tv, che ottenne una risonanza mediatica di significativa entità

Nell’immagine pubblica della crema di lievito, ad ogni modo, fu sempre dato largo spazio ad un elemento principe: il suo effetto benefico sull’organismo umano. Ciò era vero soprattutto all’epoca della prima introduzione sul mercato, quando la vitamina B, presente in grande quantità nella thiamina e nell’acido folico del lievito, era decisamente carente nella dieta, causando problemi soprattutto nei giovani in età di sviluppo. Anche successivamente, tuttavia, entrambe le sue versioni più diffuse continuarono ad essere alterate con l’aggiunta di ulteriori quantità del composto organico, usanza che ha portato, negli anni, a problemi d’importazione in Danimarca e in Canada, dove una tale prassi non è sempre stata ben vista dalle istituzioni. Un altro luogo dove l’estratto di lievito tende ad essere vietato sono le prigioni di ogni bandiera, poiché i detenuti potrebbero, almeno in linea teorica, usare il suo contenuto per produrre una sorta di liquore abusivo. C’è invece un ambito, di nuovo analogo a quello del miso giapponese, in cui la Marmite-Vegemite trovò sempre la più vasta delle applicazioni: quello militare. Non ci fu in effetti, nel corso delle intere prima e seconda guerra mondiale, un altro singolo ingrediente più pratico da inserire nelle razioni degli eserciti al fronte, per la sua semplicità di consumazione, valore nutriente e relativa non deperibilità. Immaginate la vita di trincea, trascorsa mangiando dopo giorno la stessa, terribile cosa… E quell’odore e quel sapore fortissimi… C’è davvero da meravigliarsi se, in seguito, intere fasce di popolazione crebbero con un’intolleranza cronica per la presunta colazione nazionale? Persino la pubblicità australiana, dopo tutto, mostrava dei piccoli entusiasti vagamente simili ai boy scout in divisa, una prassi tradizionalmente prossima al mondo dell’educazione militare in tenera età. Quindi verso la fine del 2016, l’orribile realizzazione: la diminuzione del valore della sterlina, dovuta alla Brexit, stava causando problemi nell’importazione delle materie prime necessarie per produrre il tesoro della gastronomia britannica. Si prevedono future carestie. Benvenuti nel mercato globale, I suppose. Ed è soltanto quando qualcosa rischia di venirti a mancare, che ti rendi conto di quanto fosse davvero importante…
Vista da fuori, la Marmite-Vegemite è certamente… Qualcosa “di”. E basta. Che ben pochi italiani temo, abituati ai gusti sinceri ed immediatamente chiari della cucina mediterranea, avrebbero la pazienza di arrivare a capire. Dopo tutto persino nelle rispettive patrie, il nome del prodotto viene spesso impiegato come metafora o antonomasia, di un qualcosa che “o si ama, o si odia.” Più o meno come Donald Trump. Ma molto meno biondo, ed appena un filo più amaro.

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