Il canto dei velieri che ritornano dal mare

Le parole appena distinguibili tra il soffio del vento, tranne che per il ritornello “Heave away, haul away… Oh, issa! Oh, issa!” E il ricorrere del nome patrio: Nor-way! Nor-way! Mentre la ciurma al completo, durante l’esecuzione, si presenta perfettamente immobile sopra ciascun albero del vascello, le vele completamente ammainate. Nonostante esso continui a muoversi, in apparenza, per la pura e semplice forza di volontà. In quel particolare momento, sullo sfondo dell’insenatura costiera antistante la variopinta città di Bergen, sotto un cielo monocromatico tanto rappresentativo del Nord Europa, all’improvviso qualcuno deve necessariamente aver capito. Lo stato di assoluta dimenticanza dell’ego e coinvolgimento collettivo, ovvero la cancellazione dell’individualismo stesso, che può verificarsi in un equipaggio particolarmente affiatato a seguito di un viaggio transoceanico tanto lungo ed articolato. Stiamo parlando, per intenderci, della faticosa traversata verso l’isola portoghese di Capo Verde, e da lì fino alle coste americane di Baltimora. Per poi ripercorrere, a ritroso, i vasti sentieri del grande azzurro, fino al ritorno per via diretta in Hordaland. Terra di antichi vichinghi, moderni esploratori ed in cui le cose, ogni qualvolta se ne presenta l’opportunità, vengono ancora fatte come una volta. Soprattutto sul ponte del brigantino a palo Statsraad Lehmkuhl, nave scuola della Reale Marina di Sjøforsvaret (un termine che significa Forze di Difesa Navale). Naturalmente, da un punto di vista italiano come il nostro, la tentazione di associare una tale istituzione marittima a quella del nostro veliero Amerigo Vespucci, fiore all’occhiello di una tradizione marinaresca altrettanto notevole e antica. Ed è vero che in effetti, siamo dinanzi in entrambi i casi a delle cosiddette tall ships, o navi di alto bordo, costruite all’inizio dello scorso secolo (1914 la loro, 1931 la nostra) integrando sistemi di propulsione intenzionalmente desueti, con lo scopo di trasmettere alle nuove generazioni il più vero e profondo significato del vento. Si tratta in entrambi i casi di velieri dotati di scafo d’acciaio, strumentazione di bordo al passo coi tempi ed ogni sorta di ragionevole comfort. Benché, va indubbiamente specificato, la Lehmkuhl sia sensibilmente più piccola, con un dislocamento di 1516 tonnellate contro le 3543 della Vespucci. Il che gli avrebbe dato, in un’ipotetica flotta inviata a combattere a ritroso nel tempo, un ruolo strategico totalmente diverso. Ma prima di vedere nel dettaglio quale sia la sua vera attuale funzione, gettiamo uno sguardo più approfondito nel suo passato.
La storia del vascello battente bandiera norvegese è in realtà piuttosto complessa, essendo esso stato costruito, in origine, per la Marina Mercantile Tedesca, con il nome di Grossherzog Friedrich August. Finché al termine della prima guerra mondiale, con l’arrivo degli inglesi, non gli fu sottratto come bottino di guerra ed in ultima analisi, mancandogli un ruolo adeguato, venduto agli alleati norvegesi nel 1921, sulla base di un accordo stilato dall’armatore e politico Kristofer Diedrich Lehmkuhl (1855 – 1949) sulla base del quale, a partire da quel momento, avrebbe ricevuto il suo nuovo nome. Alla dipartita del suo pianificatore, quindi, la nave avrebbe visto la messa in opera di un’organizzazione postuma a suo nome, la Bergen School Ship Foundation, che l’avrebbe autonomamente gestita fino al 1967 fino all’acquisto da parte del privato Hilmar Reksten, deciso a donarla ad una nuova fondazione, la Statsraad Lehmkuhl, nel 1978. Dove si trova ancora. È importante notare dunque che quando il sito della scuola vanta, con una giustificata punta di orgoglio, oltre un secolo d’esperienza nel campo dell’insegnamento navale, esso non sta in effetti per nulla esagerando. L’unico momento in cui tale attività venne interrotta fu tra il 1940 ed il 1945, quando i tedeschi tentarono di riprenderne il controllo con l’ulteriore nuovo nome di Westwärts. Ma ancora una volta, apparve fin troppo chiaro che quello non doveva essere il suo destino.
Il peso delle decadi, tuttavia, non pare affatto farsi sentire, mentre il brigantino atipico (gli anglofoni la chiamerebbero barque) fa il suo ingresso nel porto, fluttuando lievemente sopra le increspature di un mare benevolo ed accogliente. I marinai sopra l’alberatura, contrariamente alle antiche usanze, sembrerebbero dotati di imbracature di sicurezza, mentre il più fortunato di loro si fa da apripista all’intero bastimento, trovandosi a cavalcioni sopra l’albero di bompresso. Un paio di colleghi, poco più dietro, ricordano da vicino la coppia DiCaprio/Winslet sulla prua del Titanic, in una delle scene più celebri del cinema degli ultimi 20 anni.

Sul viaggio più lungo della Statsraad Lehmkuhl, portato a termine nel 2014, è stata realizzata anche una serie in più episodi, pubblicata sul sito istituzionale della Marina. Purtroppo, tutto il materiale è in lingua norvegese senza alcun tipo di sottotitoli.

Il tono vagamente informale, del resto, potrebbe apparire giustificato dallo specifico ruolo della nave, che diversamente dall’Amerigo Vespucci, risulta aperta a chiunque abbia i fondi, ed il desiderio, di sperimentarne la faticosa quanto formativa esperienza. Tra le opportunità attualmente prenotabili sul sito ufficiale, ad esempio, è attualmente disponibile un viaggio di circa due settimane fino e di ritorno dalle isole Shetland, durante il quale il professionista del canto Haakon Vatle insegnerà ai partecipanti le basi dell’esecuzione degli shanties, i tradizionali canti marinareschi tornati recentemente in voga, soprattutto grazie ai molti canali dedicati su YouTube e l’inclusione nel videogioco della Ubisoft, Assassin’s Creed Black Flag. Il costo a persona per una simile esperienza, certamente meno complessa ed impegnativa del lungo viaggio atlantico di tre anni fa, è di 6900 corone norvegesi, ovvero circa 753 euro.  In quest’ottica, un ritorno come quello mostrato nel video di apertura andrebbe inteso come una sorta di saggio, al cospetto delle rispettive famiglie ansiose di rivedere i propri cari, trasformati ed in qualche modo arricchiti, dai lunghi e memorabili giorni trascorsi per mare.
Parlando della questione musicale, la canzone eseguita in quella particolare circostanza dall’equipaggio della Lehmkuhl, nonché molte delle altre mostrate online, risulta anch’essa meritevole d’approfondimento, costituendo in effetti l’adattamento a tema nordico di uno dei più famosi shanties di tutti i tempi, il canto per l’argano “South Australia”, nato probabilmente nel XIX secolo, come metodo per darsi il tempo durante la manovra del cabestano, la pesante trave alla quale risulta assicurata l’ancora di un veliero. Un’orecchiabile motivetto navale (ma non lo sono forse tutti?) che in origine inneggiava alla patria nel continente d’Oceania dei marinai addetti a tale mansione in qualche ignota nave, prima di diffondersi in lungo e in largo attraverso la cassa di risonanza dei porti di allora. La particolare versione inscenata ogni volta dai norvegesi, tuttavia, sembrerebbe essere piuttosto recente, poiché non si trovano facilmente attestazioni diverse da quanto fin qui discusso. Né alcun riferimento, purtroppo, all’idealizzata Miss Nacy Blair, da cui l’antico marinaio canterino affermava di voler “Fare ritorno, con una bottiglia di whiskey in mano  […] dopo aver desiderato di non essere mai nato, in mezzo alle onde selvagge di Capo Horn.”

Online è possibile ascoltare molte esecuzioni di South Australia, una canzone che cambia sensibilmente in base al tono e la velocità di esecuzione. Particolarmente memorabile, nella sua semplicità, risulta questa di un gruppo di pescatori inglesi, a Port Isaac nella penisola di Cornovaglia.

Un’esperienza tanto lontana nel tempo e come contesto, eppure ancora sperimentabile, dunque, grazie all’esistenza di vascelli particolari come la Statsraad Lehmkuhl. Pensare che la sua funzione si esaurisca in questo, tuttavia, sarebbe molto riduttivo. Come tutte le Tall Ship moderne essa dispone, in effetti, di un intero equipaggio esperto, chiamato in causa dalla Sjøforsvaret norvegese ogni qual volta si presenta la necessità di fare bella figura in qualche regata internazionale. La pagina in lingua originaria di Wikipedia, dopo una rapida passata di Google Translate, include in effetti una ricca vetrina tabellare con le numerose medaglie vinte dal 1960, non poche delle quali d’oro, nell’annuale prestigiosa regata delle Tall Ships’ Races, un tipo di competizione a cui al giorno d’oggi, non restano globalmente che una ventina di vescelli effettivamente in grado di partecipare. L’ultima notizia reperibile in ordine di tempo, invece, parla di un record recentemente battuto dai cadetti dell’Accademia Navale, per ben 1.556 miglia nautiche (2881 Km) percorsi in sole 124 ore. Un risultato che sarebbe stato, fino a poco tempo fa, del tutto inimmaginabile persino al più abile dei capitani.
Chi oserebbe mai dire, dunque, che una tale meraviglia di epoche ormai trascorse abbia esaurito la sua utilità per la storia? Quando si osserva la grazia, l’eleganza e lo stile di una tale istituzione, in grado di fornire una via d’accesso per le nuove generazioni al più grande e valido di tutti gli insegnanti, il mare… La cui esistenza, nonostante tutto, continua a modificare le nostre vite. A patto di avere qualche sonante corona da spendere, e sopratutto la voglia (?) di allontanarsi da Internet per almeno una settimana o due.

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