Come spedire un secchio da 28.000 tonnellate

Negli ultimi anni trasformati dalla cultura del commercio digitale, abbiamo ordinato per posta veramente di tutto. Abbiamo ordinato libri, film e dischi musicali. Abbiamo ordinato anche cose più grandi, come oggetti tecnologici, scarpe, borse e giacche del completo. Talvolta, in un impeto di stravaganza logistica, abbiamo ordinato addirittura un mobile da ufficio o l’ultimo modello di sedia rotante. Ed in ciascuna di queste occasioni, facendo affidamento sulla metodologia comprovata, il valido furgone, l’abilità e l’intento di portare a termine il lavoro, l’uomo del corriere è giunto fino a casa nostra, senza esitazioni o fisime di sorta, la servizio del concetto quasi sacro della sua missione (nonché la relativa commissione). Certo. Che cosa ci voleva, dopo tutto? Non abbiamo mai pensato di ordinare un edificio. Galleggiante, ultra-moderno, dotato di caratteristiche così particolari che, nell’intero mondo conosciuto, poteva esserci un solo ed unico paese in grado di produrlo senza fare fuori ogni risparmio precedentemente accumulato. La Cina, chi altro… Il che non sarebbe stato certo un problema, se colui che ha scelto di comprarlo è sito in Corea, Giappone o le isole dell’Indonesia. E neppure un grande ostacolo, se avessimo parlato dell’Australia, paese distante in linea d’aria ma separato da un’unico gran braccio di alto mare dalla splendida città di Shangai. Può invece diventare un’avventura, se il fantomatico acquirente è sito a ridosso dell’Atlantico, costringendo il grande pacco a percorrere per nave l’intero Oceano Indiano, fino in vista delle coste del Madagascar, e poi sotto il Capo di Buona Speranza, tra lo sguardo fisso dei pinguini, per risalire l’Africa, l’Europa, e infine attraversar la Manica, fino alle coste occidentali dell’isola di Gran Bretagna. 45 lunghi giorni, un mese e mezzo di traversata, durante la quale un’intera compagnia, la DANA Petroleum, potrà dare gli ultimi tocchi strategici al suo progetto lungamente atteso dello Sviluppo delle Isole Occidentali, per lo sfruttamento di due giacimenti di petrolio siti a circa 160 Km dall’arcipelago delle Shetland, carichi di un’indeterminata quantità di preziosissimi idrocarburi. Vero punto di svolta della compagnia, nonché il coronamento di un periodo preparatorio che va avanti dal 2012, anno in cui il governo inglese concesse l’importante appalto, nella speranza di dare un impulso all’economia della regione. E ne sono successe di cose, da allora…
Ora, a tutti coloro che volessero sapere esattamente di cosa si tratta, e non vedo come resistere a una simile curiosità, dirò che il giganteggiante oggetto cilindrico che vediamo nel video è un moderno tipo di FPSO (Floating Production Storage and Offloading Unit – Unità galleggiante di produzione, stoccaggio e scarico) per l’industria dell’estrazione delle risorse, dalla forma cilindrica, costruito secondo le nuove dottrine produttive inaugurate negli scorsi anni dalla compagnia norvegese Sevan, che ha scoperto, grazie all’esperienza decennale, che la forma ideale per un simile dispositivo era proprio quella di un secchiello, invece che una nave. La principale ragione a seguire: in questo modo, una volta ancorata nella sua regione operativa, la struttura non dovrà più contrastare la forza del vento ruotando in senso contrario, affidandosi all’impiego di un complesso e costosissimo (circa 200 milioni di dollari, per essere precisi) sistema di ancoraggio a torretta. Semplificazione. Efficienza. Massima affidabilità. C’è ben poco da ridere, in tutto questo. Benché la scena, se vogliamo, abbia un quantum di surrealismo che risulta assai difficile da trascurare. Probabilmente a causa dei colori vivaci, scelti per massimizzare la visibilità in mare, m anche per le proporzioni tozze e che in qualche modo ricordano un giocattolo, l’incredibile oggetto tende a suscitare l’istintivo accenno di un sorriso. E non abbiamo ancora discusso la parte migliore: sapete come farà, il cantiere navale di Shangai responsabile per la sua costruzione COSCO, a spedirlo fin quaggiù? Caricandolo sopra una nave, ovviamente. La più grande… Di tutta… La Cina!

La nave per il trasporto ultrapesante Xinguanghua è stata varata nel recente dicembre del 2016, presso la città di Guanzhou. Ha un’area di carico utilizzabile di 14.000 metri quadri, superiore a due campi da calcio.

Il suo nome: Xinguanghua (la Nuova Luce) e la classe di appartenenza: semisommergibile. Stiamo parlando, nei fatti, di un vascello da 255 metri per 98.000 tonnellate, in grado di riempire i suoi 118 serbatoi con dell’acqua, ed iniziare allegramente ad affondare. Senza mai giungere, ovviamente, a farlo del tutto (ciò sarebbe alquanto controproducente) ma portando il suo ponte principale ad un massimo di 16 metri di profondità, sufficienti per poter risollevare un qualsivoglia tipo di vascello, da portare quindi fino in capo al mondo, ed oltre, qualora necessario. Questa particolare nave, la seconda più grande al mondo, era del resto l’unica in grado di garantire la consegna a destinazione di un cilindro come l’ultimo creato dal Cosco Shipyard Group, denominato Hope No. 6, con un diametro di 78 metri e l’altezza equivalente a quella di un palazzo di 18 piani. Dimensioni assolutamente notevoli, che a questo punto ci permettono di comprendere come la struttura galleggiante in questione non sia in effetti una semplice piattaforma di trivellazione, bensì qualcosa di notevolmente più complesso e significativo. Una FPSO come questa, nei fatti, si occupa di ricevere il greggio e processarlo direttamente a bordo, per poi custodirlo fino all’arrivo periodico delle petroliere, che si occuperanno di portarlo fino ai mercati del suo effettivo utilizzo. Si tratta di importantissime risorse logistiche nei siti d’estrazione più remoti, che permettono di evitare la costruzione di lunghi, costosi e problematici oleodotti, garantendo tra l’altro un grado d’impatto ambientale relativamente minore. Nel caso degli impianti di estrazione del gas, l’FPSO si occupa generalmente di congelare e condensare la sostanza naturale, trasformandola in un liquido più facilmente trasportabile. Soltanto una volta raggiunta la destinazione, dunque, esso sarà riportato al suo stato originario, garantendo la massima riduzione dei costi e il rischio di eventuali incidenti.
A tal proposito la piattaforma, che rappresenta un progetto di proporzioni totalmente nuove per la compagnia cinese costruttrice, è stata prodotta rispettando i più alti standard qualitativi e di sicurezza dello standard North Sea, stabilito da alcune delle più prestigiose e antiche compagnie operative nell’ambito dell’estrazione offshore. Essa presenta 17.000 punti di allarme, capacità di produzione di 44.000 barili giornalieri e una capacità d’immagazzinamento di 400.000. Si stima, sulla base della conoscenza pregressa che abbiamo in merito alla soluzione progettuale cilindrica, che potrà restare operativa per ben 20 anni, un tempo notevolmente più lungo di quello di una piattaforma convenzionale a forma di nave. Siamo di fronte, dunque, ad un traguardo ingegneristico del tutto senza precedenti, ma anche, come un utente di YouTube ha scelto di definirla, ad una vera e propria “arma di distruzione di massa” nella guerra per il riscaldamento terrestre. Un conflitto che non possiamo assolutamente permetterci di perdere. Ma che anche vincendolo, non ci lascia in condizioni particolarmente favorevoli nei confronti del futuro…

La più grande piattaforma petrolifera cilindrica del mondo è la Goliat, gestita dalla nostra Eni presso il mare di Barents dall’anno 2000. Si tratta di un’installazione particolarmente sofisticata, alimentata da terra per garantire il minimo impatto ambientale e completamente impervia all’ostilità del clima sub-artico della regione.

Viviamo questo attimo dunque, un momento sospeso in cui le risorse del pianeta vengono sfruttate sempre più a fondo, nella consapevolezza disperata che inevitabilmente, presto o tardi finiranno. Ma il concetto di conservarle per i posteri è completamente privo di senso, così come lo sarebbe razionare il cibo fino a morire completamente di fame, nella speranza vana che qualcuno, nel frattempo, apprenda il segreto per vivere di sola aria. Forse l’unica speranza che possiamo avere è che tutto il carbone, il petrolio e l’uranio del mondo si esauriscano, grosso modo, nello stesso momento, evitando il potenziale verificarsi del più terribile conflitto bellico che la Terra abbia mai conosciuto.
A meno di non voler essere meravigliosamente, esageratamente ottimisti. Restando convinti che entro le prossime…. Sei? Otto generazioni? L’umanità riesca ad aprire lo scrigno segreto dell’esplorazione spaziale, viaggiando fino a nuovi mondi ancora carichi d’inesplorata ricchezze ed un sufficiente “spazio vitale” per tutte le nazioni immaginabili, presenti e future. Siamo già in possesso, dopo tutto, dell’efficienza operativa della cavalletta. L’unica cosa che ci manca, è la sua naturale propensione a viaggiare.

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