L’epico ritorno dei bisonti canadesi

Potrebbe sembrare assurdo affermare che un parco nazionale come quello di Banff nell’Alberta, in grado di superare i 6400 Km d’estensione, possa dirsi privo di un qualcosa di fondamentale per la sua stessa esistenza, il simbolo di un luogo e un tempo ormai spariti dalla mente dei molti visitatori. Credete si tratti delle montagne, ricoperte dai molti metri di neve e presso cui si trovano alcuni dei ghiacciai permanenti più famosi del paese? Oppure delle foreste di conifere, che si estendono a partire dal lago Louise per raggiungere i confini del territorio, in corrispondenza al contiguo Jasper National Park? Semplicemente impossibile, come testimoniato dalle cartoline acquistabili presso la principale città e centro commerciale della regione, l’omonima cittadina di 7.000 abitanti, Banff. Quel qualcosa d’importante ma lontano è un essere vivente, tutt’altro che estinto alla stato attuale dei fatti, ma che questi luoghi li aveva lasciati totalmente quasi un secolo e mezzo fa. Con la tendenza molto chiara, e all’apparenza incancellabile, di non farvi ritorno mai più. Finché qualcuno, dagli uffici direttivi dell’associazione Parks Canada, non si è resa conto che il più antico parco del paese (1885 per essere precisi, soltanto 13 anni dopo quello di Yellowstone) stava scomparendo dalle liste globali delle istituzioni in grado di offrire spazi di recupero e riserve dedicate ai mammiferi di grandi dimensioni. Ed è proprio a partire da quel momento, che la situazione prese a farsi molto interessante. Perché se è vero che un tempo qui viveva un esempio lampante di megafauna americana, forse il più famoso in assoluto, allora perché non dovrebbe essere possibile tornare a un tale stato di armonia tra l’uomo, gli spazi e la natura… Grazia, eleganza, silenzio e delicatezza. Di uno sciame d’elicotteri a piena potenza, che per qualche ragione appaiono nel cielo sopra Calgary. Diretti a un punto d’incontro niente meno che fondamentale. Perché è lì, lo scorso primo febbraio 2017, che doveva essere trasferito tramite dei camion un piccolo, fondamentale branco di 17 bisonti in perfetta salute, prelevati dai migliori ranch e centri di conservazione del paese. Ciascuno dei quali, accompagnato da una bolla di spedizione recante la dicitura: Panther Valley, Montagne Rocciose Canadesi. Ora, come potrete facilmente immaginare, stiamo parlando di un luogo particolarmente remoto, e non propriamente facile da raggiungere con il carico di tali e tanti animali, dal peso unitario di fino a 8-9 quintali ciascuno. Il che, nei fatti, lasciava una sola possibilità: creare la prima brigata aerotrasportata di bovidi con finalità di conservazione ecologica, senza neppure fargli la carta d’imbarco. Perché mai complicarsi la vita… Quando gli stessi container usati fino a quel punto del viaggio via terra, mediante l’applicazione di sistemi d’aggancio dall’alto grado di sicurezza, potevano essere del tutto sollevati da terra, con una media di tre esemplari ciascuno all’interno, e trasportati come dei pacchi di Amazon fino a destinazione… E poi sai che soddisfazione, fare il video dell’unboxing di una simile consegna lungamente attesa!
Crudele e scioccante: due cose che questa esperienza, nei fatti, non è stata. In quanto un bovidae di qualsivoglia tipo, una volta incapsulato in uno spazio stretto, riceve immediatamente un effetto calmante, che gli impedisce a tutti gli effetti di farsi domande sulla sua condizione e l’immediato futuro. Finché raggiunta l’ultima destinazione, con una lieve scossa data dal contatto col terreno, gli animali non hanno iniziato a percepire qualche cosa di diverso: un odore, una sensazione e una temperatura di un luogo nuovo, iscritto a lettere infuocate nello spazio genetico della memoria. Ed è allora che gli addetti hanno sbloccato i fermi, spalancando il valico verso l’apparente, lungamente attesa libertà. Una mera illusione, come stavo dando ad intendere, per lo meno fino a giungo dell’anno prossimo. Questo è infatti il periodo calcolato dagli esperti etologi dell’iniziativa, come tempo minimo necessario per l’acclimatamento degli animali al loro nuovo stato di grazia. Un bisonte allo stato brado, persino adesso, dovrà in effetti affrontare svariati pericoli, tra cui la predazione da parte di animali come il lupo organizzato in branchi e l’Ursus Arctos, che talvolta non si formalizza nel ghermire un qualche cucciolo isolato. Passati sono i tempi in cui l’antesignano preistorico della mucca era l’essere più temuto dell’intero territorio nordamericano, per la sua capacità di lanciarsi in corsa ad oltre 45 Km/h, annientando con la sua massa qualsiasi ostacolo potesse frapporsi sul suo cammino. Oggi il bisonte è un bene da proteggere e trattare con i guanti. Benché si calcoli che al momento in cui scrivo, il semplice allevamento sistematico ne abbia ripristinato la popolazione al numero considerevole di circa 150.000 esemplari. Di cui almeno 4.900 totalmente liberi, nel solo parco di Yellowstone. E il Canada non poteva che seguire un simile esempio, facendo anch’esso la sua parte fondamentale…

Una delle più famose foto relative allo stermino dei bisonti portato quasi a termine nel XIX secolo è questa con un cumulo di crani, destinati all’impiego come fertilizzante. Nella cultura occidentale, rispetto a quella dei Nativi, parti considerevoli dell’animale cacciato andavano sprecate.

Si tende a considerare superficialmente la celebre ecatombe degli appartenenti al genere Bison come un classico esempio dello sterminio scriteriato praticato dall’uomo, che una volta individuata una ricchezza, fa tutto il possibile per sfruttarla a fondo, senza considerare in alcun modo le conseguenze. Ma la realtà dei fatti è piuttosto diversa e forse ancor più inquietante: l’uccisione sistematica di questi splendidi animali ebbe una motivazione politica, riassumibile con il concetto di destino manifesto. Forse non ne avete mai sentito parlare, benché sia uno dei fondamenti stessi del concetto degli Stati Uniti: un dovere collettivo, sanzionato dai fondatori della nazione e Dio stesso, ad occupare tutti i territori inesplorati del Nuovo Mondo, affinché in essi potesse essere praticato cristianesimo coi suoi preziosi valori, e la vita dei nativi migliorata tramite l’applicazione della scienza e della tecnologia. Naturalmente, e questo è un fatto storico largamente noto, le cose andarono nella direzione diametralmente opposta. Poiché le tribù dei cosiddetti indiani, sia a settentrione che a meridione del confine col Canada, erano tutto fuorché incivili, e di certo non avevano di certo alcun bisogno del cosiddetto “aiuto” di coloro che venivano da fuori. Muovergli direttamente guerra tuttavia, ben presto, si rivelò un’impresa antieconomica, sgradevole e per giunta molto inopportuna dal punto di vista delle relazioni internazionali. Così fu elaborato un piano dall’efficacia semplicemente straordinaria, a partire da una semplice domanda: di cosa si nutre un buon 70-80% delle tribù nomadi dei vasti territori? Carne di bisonte, ovviamente. La cosa migliore da fare, a quel punto, sembrò togliergli del tutto la risorsa di questi grandi animali. E non credo sia facile sopravvalutare la potenza di un messaggio rivolto alla gente di frontiera che recitava pressapoco così: “Andate e fate fuori questo enorme ricettacolo di carne, grasso, pelli e conseguentemente ricchezza, con tutte le armi a vostra disposizione. Lo Zio Sam ve ne sarà riconoscente.” In breve tempo, era come se in tutto questo mondo antecendente e coévo al celebre Far West fossero stati affissi una quantità spropositata di cartelli immateriali con la netta dicitura WANTED e sotto il ritratto di un muso dai folti peli con due piccole corna ricurve. La caccia era aperta, ed il bisonte il pezzo principale del menù.
Paradossalmente, a quel punto, fu proprio l’esercito statunitense, pur mentre partecipava con trasporto all’eccidio ormai privo di confini confini, a rendersi conto dell’importanza di preservare almeno in parte questo simbolo dei vasti territori americani. Attorno al 1872 quindi, con poco più di un migliaio di esemplari ancora liberi e un bersaglio collocato proprio al centro della loro fronte, un branco di un paio di dozzine di bisonti delle pianure (Bison bison bison) fu trasportato, proprio come quello canadese di inizio articolo all’interno dei confini protetti dello Yellowstone National Park. Meno l’impiego degli elicotteri, ovviamente. I loro discendenti costituiscono, ancora oggi, la base solida dell’intera popolazione rediviva di questo splendido ed enorme animale. Più complessa risulta essere invece la conservazione del bisonte delle foreste (Bison bison athabascae) la cui maggiore popolazione allo stato brado si trova oggi anch’essa nella regione dell’Alberta ma al di fuori del Banff, ammontando a soli 2.500 esemplari.

Il problema della sovrappopolazione dei bisonti condiziona non poco il parco di Yellowstone, che deve ogni anno chiudere un occhio sugli svariati esemplari uccisi abusivamente poco al di fuori dei suoi confini. Questi animali, del resto, sono molto pericolosi per gli allevatori di bestiame convenzionale, in quanto possono portare il virus della brucellosi.

Come dicevamo, attualmente a Yellowstone vivono svariate migliaia di bisonti divisi in due branchi, con base rispettivamente nella Lamar e nell’Haiden Valley, benché si tratti per loro natura di animali con forti tendenze migratorie, e per questo si spostino di frequente. Ora soffermiamoci per un attimo a considerare questo dato. Trascorso il tempo di appena un paio di generazioni umane, quasi 5.000 bisonti a partire da un gruppo di due dozzine…Con un aumento futuro calcolato sul 10-17% annuo. Vi rendete conto di cosa significa tutto questo? Una moltiplicazione niente meno che miracolosa. Se il bisonte ha rischiato l’estinzione quindi, ciò può essersi verificato unicamente per l’attiva e deleteria intenzione dell’uomo. Poiché esso è non solo straordinariamente prolifico, ma perfettamente adattato al suo ambiente, nonché molto resistente al freddo e alla conseguente carenza di cibo. Quando innervosito, può dimostrarsi irruento ed inarrestabile. C’è stata un’epoca in cui esso veniva considerato il secondo animale più pericoloso del continente americano, dietro al solo orso Kodiak delle regioni più remote dell’Alaska. Peggio, persino, del gigantesco, possente ma comparabilmente timido Ursus arctos horribilis, comunemente detto grizzly o orso grigio. Il bisonte possiede un fascio di muscoli impressionante in corrispondenza della sua gobba, che gli permette di usare in inverno la grossa testa come fosse la pala di una spazzaneve, per raggiungere l’erba e le piante di cui si nutre. Caratteristica che unita alle sue piccole, ma acuminate corna, lo fortifica al punto da spaventare chiunque, tranne i predatori più organizzati e tenaci. Ma anche un intero branco di lupi, prima di attaccare un bisonte, attende che esso sia isolato dai suoi simili, e sceglie soltanto vittime dall’aspetto anziano o affetti da chiara debolezza dovuta alle malattie.
Ecco, dunque, un caso particolarmente originale nel panorama della conservazione ecologica: un animale così riuscito dal punto di vista evolutivo, ed adattabile ai mutamenti dell’ambiente, che non fu mai soggetto ad alcun pericolo, tranne quello attivamente causato da noi esseri umani. Il che è al tempo stesso, una situazione spiacevole, ma dagli ottimi presupposti di rivalsa futura. Nei secoli, siamo diventati estremamente bravi a far prosperare le mucche e tutti i loro consimili, con chiare ragioni economiche e di sopravvivenza. Altrettanto proficuo, nei fatti, si sta rivelando imparare ad ignorarle. Fatta eccezione per qualche viaggio in elicottero che comunque, non fa mai male.

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