Le cuffie con una tecnologia di 4.000 anni fa

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Normalmente, moderno vuol dire costoso e le soluzioni tecniche più avanzate sono inevitabilmente quelle maggiormente desiderabili all’interno di un prodotto di ultima generazione. Un esempio? Molti ricordano con entusiasmo e nostalgia l’epoca trascorsa dei “bei vecchi Nokia 3310” che telefonavano soltanto, ma “lo facevano dannatamente bene!” Eppure ben pochi, persino tra coloro che declamano un simile motto come verità divina, sarebbero pronti a barattare il proprio modernissimo smartphone per l’indistruttibile (o così si dice) mattone blu-cobalto norvegese. Basta, del resto, inoltrarsi per qualche minuto nel favoloso mondo patinato del lusso, per trovare un andamento delle cose essenzialmente all’incontrario. Meno una cosa appare pratica da utilizzare e/o produrre, tanto più è desiderabile, nonché costosa, mentre di pari passo c’è un legame indissolubile con un principio che sussiste da epoche remote: la visione universale del bello. Ed è un momento assai particolare ed importante, nella vita di un’azienda tecnologica, quello in cui si scopre di aver raggiunto una base sufficientemente solida, dal punto di vista della reputazione e della sicurezza finanziaria, da potersi avventurare nella produzione di un qualcosa che non ha sostanzialmente nessun tipo di predecessore. Ciò che ne deriva, in via collaterale, è sempre un video che procede per sommi casi, così.
In una delle proposte ad Internet più popolari nella storia del canale ufficiale su YouTube della compagnia dell’audio giapponese Fostex, diventata famosa oltre 30 anni fa grazie alla produzione di componenti per altoparlanti professionali, veniamo invitati a prendere visione del processo di rifinitura esteriore di uno dei suoi prodotti più eclettici ed originali: le cuffie TH900, ricoperte grazie alla metodologia antichissima della laccatura urushi, una forma d’arte originaria unicamente di questo paese, e praticata fin da tempo immemore all’interno di questo stabilimento del villaggio di Sakamoto (prefettura di Suruga) da cui scaturisce anche un’ampia varietà di penne, orologi, utensili di vario tipo e ciotole tradizionali. A tal punto, ancora oggi, è straordinariamente popolare ed apprezzata in tutto l’arcipelago una simile soluzione per proteggere ed al tempo stesso abbellire gli oggetti, le cui prime attestazioni archeologiche risalgono addirittura all’era preistorica del periodo Jōmon (10.000 – 300 a.C.) Sarà dunque opportuno specificare cosa, in effetti, distingua questo metodo di laccatura estremo-orientale da quello in uso qui da noi fino al tardo Rinascimento europeo e che traeva origine dall’India, consistente nel creare l’eponima vernice trasparente grazie a copiose quantità della secrezione dell’insetto lākshā, un tipo di cocciniglia degli alberi. Mentre la lacca giapponese, dal canto suo, ha un’origine esclusivamente vegetale come esemplificato anche dal video della Fostex, e si produce a partire dall’alberodel Toxicodendron vernicifluum, uno stretto parente dell’edera velenosa, in grado di indurre reazioni allergiche piuttosto gravi nell’uomo.
Si nota subito in effetti nelle prime battute del video la tenuta estremamente coprente dell’uomo incaricato di praticare le incisioni negli arbusti designati a un tale compito ingrato, ed ancor maggiormente nel suo collega impastatore, che all’interno dello stabilimento indossa guanti e camice protettivo degni di un’istituzione di tipo nucleare. Basterebbe infatti una singola goccia della resina sul corpo, ancora pressoché grezza in questa fase e contenente il principio attivo dell’urushiol, per infliggerli vesciche simili ad ustioni, comprensibilmente molto dolorose. Il semplice fatto che un simile processo di lavorazione, in effetti, sia stato integrato in una logica industriale con alti volumi di produzione è già di per se affascinante. Ma aspettate di vedere ciò che succede di lì a poco…

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La realizzazione di una copertura di lacca tossica urushi è un processo che richiede un notevole grado di attenzione. Soltanto i maestri con molti anni di esperienza arrivano a lavorare senza guanti, spandendo tranquillamente la sostanza con i loro stessi polpastrelli. Dopo anni di sofferenza, essi hanno acquisito l’immunità biologica al veleno.

L’impasto semi-liquido ricavato dalla resina dei Toxicodendron, di per se, è del tutto incolore e quasi trasparente. Proprio per questo, a seguito dell’inserimento nelle vasche di lavorazione, ad esso vengono applicati dei pigmenti, che nel caso della Fostex sono il nero ed un rosso di media scurezza, da usare per la finitura finale. Si prendono quindi le conchiglie esterne dei due padiglioni auricolari delle cuffie, realizzati con legno di ciliegio, scelto per le sue caratteristiche di rifrazione acustica e leggerezza. È fondamentale che detti componenti presentino una superficie assolutamente liscia ed uniforme, al fine di garantire un’aderenza idonea del primo strato di laccatura, effettuato a mano con la resina nel suo stato grezzo, che si limita brunire lievemente la superficie. I padiglioni vengono quindi messi ad asciugare in un ambiente con temperatura ed umidità controllata. Questo perché la lacca urushi, contrariamente al quella degli insetti indiani (che dovrebbe essere chiamata gommalacca per differenziarla) ed anche delle sue evoluzioni più moderne, come la vernice a base di acrilico o nitrocellulosa, non ha una naturale tendenza a disidratarsi e diventare quindi dura nel tempo, ma richiede piuttosto particolari condizioni di umidità e temperatura per farlo, a seguito delle quali diventa uno dei materiali vegetali più solidi a disposizione nell’antichità. In Giappone esisteva un’intera branca di quest’arte, definita Ikkanuri, che consisteva nel realizzare un qualsiasi oggetto semplicemente nella cartapesta, per poi ricoprirlo di lacca e renderlo un tutt’uno sufficientemente resistente per trovare impiego in ogni circostanza. Proprio in tale modo, ad esempio, venivano costruiti gli elaborati ornamenti sull’elmo dei samurai.
Dopo la prima asciugatura, che può richiedere anche 15 ore, si passa quindi all’applicazione del secondo strato di lacca, questa volta del tipo di colorazione nera. Detto processo, tuttavia, viene effettuato mediante l’impiego di un dispositivo spray, per favorire al massimo l’uniformità del risultato finale. Fin dall’adozione industriale in Occidente delle lacche di tipo moderno, tra l’altro, questo approccio alla verniciatura è diventato onnipresente soprattutto in campo automobilistico, dove in origine si riteneva che il colore nero fosse intrinsecamente più resistente alle intemperie e agli urti, tanto che Henry Ford, il celebre imprenditore americano d’inizio ‘900, dalle note citazioni non sempre politicamente corrette, avrebbe affermato: “Ogni cliente può avere una Ford modello T colorata di qualunque colore desideri, a patto che sia nera.”

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In questa semplice ciotola in sabi-shitaji, un composto di argilla tonoko e lacca dell’albero di urushi, l’artigiano infonde tutta la sua arte faticosamente guadagnata. Il risultato, tuttavia, è assolutamente essenziale. Ed è proprio questo, a donargli la sua grazia imperitura.

Prima di passare all’applicazione del secondo strato di lacca, quindi, gli artigiani di Sakamoto fanno qualcosa di fantastico ed inaspettato: seguendo una prassi anch’essa piuttosto antica, dispongono sui padiglioni delle cuffie una certa quantità di foglio d’argento, il sottilissimo velo ricavato dalla compressione dello stesso metallo prezioso, trasformato in una carta che viene fatta aderire alla vernice appena solidificata. Su di esso, quindi, viene disposto un ulteriore strato di lacca trasparente ed azzurrina, che creerà un effetto visualmente ineccepibile, simile ad un pattern raffigurante le nubi di un cielo in tempesta. E devo dire che personalmente, questo è lo stato in cui le cuffie mi piacciono di più. Ma il branding è importante e la Fostex, fin dal suo ingresso nel mercato consumer, è stata associata alla tonalità di un rosso profondo dal medio grado di scurezza, che anche in questo caso viene considerato irrinunciabile nell’estetica finale del prodotto. Viene così applicato un ultimo strato di lacca, questa volta del colore di una ciliegia pronta da mangiare, e completata la sua solidificazione (considerate, per ciascun strato citato 15 ore, 15 ore…) uno strato di colla con il logo della compagnia, sul quale verrà fatto aderire una certa quantità di foglio d’argento. Soltanto a quel punto, l’opera (d’arte) potrà dirsi realmente conclusa.
Le opinioni sul risultato finale variano parecchio su Internet, visto come molti di coloro che non hanno mai visto dal vero le TH900 siano pronti a giurare che la loro colorazione sgargiante le faccia sembrare fatte di comune plastica, giacché nessuno sospetterebbe l’effettiva complessità dell’opera costruttiva da cui traggono l’origine. Mentre un’insistente minoranza, di persone probabilmente più informate, resta pronta a giurare che la particolare lucentezza e l’effetto visuale della trasparenza dell’urushi donino all’oggetto uno splendore cromatico che molto semplicemente, nessuna telecamera umana riuscirà mai a catturare. Occorrebbe dunque vederlo con i propri stessi occhi, per riuscire davvero a crederci. Il che richiede un investimento, tutto sommato, neanche poi così esagerato: soltanto 1.299 dollari al prezzo di Amazon US al momento in cui scrivo, una cifra che vi assicuro resta notevolmente inferiore a quello di alcune penne stilografiche realizzate con la stessa metodologia, magari all’interno di piccole capanne da maestri quasi centenari, che hanno trascorso l’intera vita a perfezionare un’arte più che millenaria. Potere dell’economia di scala, armata d’invincibile pistola spray. Tenete poi conto del fatto che vi porterete a casa un prodotto audio di fascia assolutamente super-alta, con una qualità del suono riprodotto assolutamente al top di gamma. Davvero niente male, come biglietto d’ingresso nel fantastico mondo dell’audiofilìa. Oppure dovremmo dire della…Laccafonìa?

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