Il problema dei procioni che s’incastrano nei carri armati

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Un nemico così subdolo veloce, furbo, pronto alla battaglia, che non può essere più definito un semplice soldato, bensì un guerriero, un giustiziere della notte con tanto di maschera sul volto. Le voci corrono nella caserma: “È la prima volta che ci troviamo ad affrontare qualcosa di simile. Un lieve suono nella notte, un refolo di vento. Bastano una porta o una finestra distrattamente lasciate aperte, magari da quelli del 23°… Per non parlare degli…Sportellini di metallo. Ah! Gente di città! Loro non conoscono il PERICOLO della foresta…” Ovviamente, nessuno dei militari in servizio presso la piccola base di riservisti può avere una cognizione diretta di cosa possono farti solo due, tre anni di guerra continuativa. Chi ha servito in Vietnam, quel luogo in cui la capacità di provare sentimenti fu annacquata e trasportata vai dal soffio dei monsoni, avrà ormai un rango d’ufficiale con spalline di un certo livello, tale dal non ritrovarsi sul finir di una mattina di ottobre, ad armeggiare con un vecchio M-41 Bulldog, carro leggero in servizio dal 1953. Mai ritirato dal servizio attivo, più che altro, perché sarebbe stata una fatica eccessiva. Benché non vedrete di sicuro uno di questi mezzi trasportato all’estero dalle forze armate degli Stati Uniti, neanche per usarlo contro i mezzi altrettanto vetusti di un qualche dirupato spiegamento. Nossignore, qui stiamo parlando d’implementi bellici da usare solamente in caso di emergenza. Risorse per l’ultimo e più disperato dei conflitti. Da mantenere in condizioni ineccepibili, come segno di rispetto al Presidente e allo zio Sam. Mentre la quadrìmane controparte, a quanto ne sappiamo, non ha mai smesso di combattere senza mai un singolo dubbio sulla causa: cibo, cibo, nutrizione, pane e carne e dolci, dolci caramelle… Come potrebbe mai, un singolo soldato umano, affrontare tutto ciò? “Ca-capitano, è successo di nuovo.” Le pale del ventilatore girano a velocità ridotta, nell’elegante sala riunioni del secondo piano. Il fumo di un sigaro cubano, lieve nell’aere, disegna volute spiraleggianti che si stagliano su sciabole di luce.  “C’è un p-p-procione nel mio carro armato.” NO, CHE C▬ NON È ▬ POSSIBILE, di nuovo? Come avete potuto permettere che succedesse, COME? L’ultima volta, quei dannati cosi hanno artigliato un sedile, graffiato le ottiche della mitragliatrice secondaria, disintegrato lo zaino con le razioni K ed alla fine delle gozzoviglie, per buona misura, anche lasciato un ricordino nel compartimento delle munizioni. Vuoi ritrovarti TU a pulirlo, tenente? Io ti sequestro i guanti e te lo faccio fare con la linn▬! “N-n-n-no, non ha c-capito. Non ha capito. Signore! Questa volta il procione si è incastrato, e…” Ah. Sempre meglio, puah! Allora ecco la tua missione: torna la sotto. E tira fuori. Il procione. Dal carro armato. Non c’è un accalappiatore designato, qui.
Si, ma la vera domanda è “Come?” Naturalmente, ci sono casi d’incastramento animali in cui basta dare un colpo sul loro sedere peloso, per spaventarli a sufficienza indurli a fuggire verso l’orizzonte. In altri determinati casi di lupi o cervi che s’impigliano nel filo spinato, un paio di tenaglie e molta cautela sono l’approccio consigliato per dirimere la situazione. Ma non c’è una procedura, un modus operandi riconosciuto, per una scena tanto improbabile ed assurda. Il procione ha infatti tentato, nella sua costante attività di ladrocinio, di penetrare nel mezzo blindato attraverso la fessura rettangolare per l’episcopio del guidatore. Uno strumento simile ad un periscopio, usato per guardare fuori senza esporsi al fuoco dei cecchini. Il quale misura, a quanto pare, esattamente come il girovita della povera grassa bestiola. Che adesso si trova gambe all’aria e fuso col veicolo, come nella scena di un irriverente cartoon, mentre un altro membro del corpo carristi sta tentando disperatamente di tirarlo fuori senza fargli male. Nel frattempo un capannello di commilitoni, apparentemente senza niente di meglio di fare nella loro lunghissima giornata, gridano vari suggerimenti sconclusionati: “Tira il procione, tiralo. Spingi il procione, spingilo.” Ora al di là dello scompiglio causato da un simile imprevisto evento, appariva chiaro che chiunque avesse estratto questo equivalente della Spada della Roccia, sarebbe presto diventato al pari del Re d’Inghilterra. E tutti ci volevano provare, ma poiché la gerarchia aveva pur sempre la sua importanza, l’addetto fu pronto a farsi da parte per il suo diretto superiore. “Forse potrei usare dell’olio da cucina…” Ipotizza il tenente, nel video ripreso segretamente da qualcuno e caricato, originariamente, anche sul portale LiveLeak. Poi prese lievemente a ricordare le esperienze della sua remota gioventù…

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Quanto hanno fame, i dannati! Come chiamano dalle regioni de profondo, battendo colpi carichi di sottintesi…. Nutrii-mi, numii-tri “umano” o continuerò a perseguitarti. Fino all’indomani. E anche dopodomani.

Proviamo ad ipotizzarne una parte. C’era una famigliola di procioni, nei pressi della sua casa di campagna nell’Illinois (Arkansas, Ohio?) che transitava verso sera nei pressi del muretto sul lato nord. In età adolescenziale, egli era solito osservarli dal portico, mentre scorreva i Pokèmon sull’emulatore installato nella fida PSP, sentendo i loro passi sotto le assi del pavimento prima di riuscire a scorgerne gli autori. Consapevole, grazie ai molti documentari sulla natura presenti nella videoteca dei suoi, della ragione di una tale complicata migrazione: il Procyon lotor, altrimenti detto orsetto lavatore, deve infatti muoversi per procacciarsi il cibo. Ma vive anche un problema, che lo porta a ritornare sempre presso il fiume. Le sue agili in mani, in grado di usare un binocolo o impugnare una pistola (non che avessero mai avuto una ragione di farlo) sono generalmente molto dure ed incapaci di manipolare alcunché. Finché l’animale non le ammorbidisce immergendole nell’acqua, poco prima di iniziare la sua notturna e imprescindibile missione. Ora lei, la madre, guidava in fila indiana un coraggioso team d’assalto composto da un altro esemplare adulto e due cuccioli, non più lunghi di 30-35 cm code a strisce escluse. Ma una volta raggiunta la barriera architettonica, si ritrovò d’un tratto ad esitare. Come avrebbe mai potuto un Procione, superare la barriera costruita in via specifica per tenere fuori proprio lui, il Procione? Girando su se stessa, pensò e pensò, finché gli altri tre non presero l’iniziativa. Figli e marito, l’uno sopra l’altro, si disposero formando una sorta d’insolita scala a pioli. “Amo questa parte” Pensò il futuro riservista della vicina base militare, sempre pronta a reclutare sangue dalle nuove generazioni. Perché allora, lei salì sugli altri, quindi si voltò per tirarli su, a sua volta, senza un attimo di esitazione. Neanche fossero la Banda Bassotti! Sembrava di assistere al moto di un orologio svizzero ben collaudato. La scena continuò a ripetersi quotidianamente per un mesetto, finché l’umano decise che semplicemente non poteva restare lì a guardare. E così decise di offrire del cibo, attraverso le assi ben distanziate della veranda, quali pezzi di panino, dolci, chicchi d’uva e varie altre delizie del mondo umano. Le piccole mani s’insinuavano da sotto, per afferrare tali e tanti doni straordinari. Pareva di assistere alla prima vera manifestazione fisica del popolo degli gnomi…
“Io…Io glielo devo. Non posso lasciare che soffochi a testa in giù, in un posto tanto metallico e inadatto a lui.” Quindi, afferrò il procione incastrato per le zampe, e tirò a se con forza sovrumana.

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Dunque, si, si. L’offerta è interessante. Ma devo farvi una domanda: ci sarà dell’uva?

C’è un momento, un solo singolo momento nel video, in cui si riesce ad intuire una questione molto interessate. La coda dell’animale infatti, anch’essa incuneata nella stretta botola, fuoriesce di scatto assieme al resto, assomigliando di sfuggita alla testa dell’onnivoro raccoglitore. Sembra allora che il procione abbia nei fatti due parti davanti, come dev’essere sembrato, nell’intera storia del mondo, a più di un’aquila americana di passaggio, anch’essa alla ricerca di un piccolo e zampettante spuntino. Che si tratti di una forma di mimetismo che nessuno, mai, aveva preso in considerazione? Il piccolo duo-ladro, ad ogni modo, per sua fortuna NON si spezza a metà. Mentre l’estatico salvatore, dal canto suo, non può far altro che scagliarlo via lontano come un frisbee, nel timore che lo spavento e il trauma possano portarlo a mordere la mano stessa che l’ha liberato. Dell’effettivo destino finale della storia per questo rappresentante sovradimensionato dei topi della spazzatura, non ci è dato purtroppo di sapere. Così come resta il dubbio che, alla stessa maniera in cui l’incidente era già capitato (lo dice la voce fuori campo) il poveretto non finisca per incastrarsi ancora nel carro armato, prima o poi.
Ma io voglio immaginarlo così: sinceramente pentito e riabilitato, accolto alla tavola della più vicina taverna ad un convivio col tenente, il capitano e almeno altri cinque soldati. Un equipaggio al completo dell’M-41 Bulldog, sotto ogni punto di vista pronto all’evenienza della guerra, tranne che per una grave mancanza: l’assenza di una mascotte a bordo. Il simbolo vivente, l’animale totemico, l’emblema del perché e per chi, si scelga di combattere di nuovo! Costi quel costi, tra sottili lastre di lamiera. Poiché un cannone può finire i propri colpi, o fallire nel penetrare l’armatura della controparte. Ma un procione scagliato ad arte verso la botola di un carro nemico, difficilmente può fallire nel creare lo scompiglio risolutivo durante l’apocalittica foga della battaglia…

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