Lo scorpione finlandese, mostro metallico nella foresta

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Nella storia di una compagnia che presto compirà due secoli, è inevitabile il figurare di prodotti strani e dimenticati, che nonostante le premesse avute in fase di progettazione, non riescono a raggiungere lo stato necessario per venire fabbricati in serie. Così nel capannone espositivo della John Deere a Moline, Illinois, virtuale sinonimo statunitense del concetto stesso di trattore, campeggia dal 2012 uno strano veicolo, caratterizzato da diversi aspetti inusuali. Primo fra tutti, il suo fare a meno di un concetto ritenuto fino ad oggi pressoché inscindibile dalla necessità di far spostare grossi carichi, o svolgere un qualsivoglia compito veicolare: le ruote. Intese sia come pneumatici, nella semplice interpretazione che risulta comune alle automobili di tutti i giorni, che come i componenti di quell’altro metodo locomotìvo d’elezione, il cingolo da carro armato. Roba vecchia, superata, ormai desueta (o così pensavano) nel 1994, epoca della creazione dei due prototipi di questa cosiddetta Walking Forest Machine, letterale precursore degli attuali robot-muli o robo-ghepardi che fuoriescono annualmente dai laboratori della Boston Dynamics, senza mai farsi mancare un ottimo successo mediatico nei paesi di mezzo mondo. Quindi, chi l’avrebbe mai detto? La strada che oggi sembra nuova e futuribile, era stata in realtà già percorsa oltre 20 anni fa. Con un intento, per una volta, estremamente immediato: agevolare l’industria della raccolta meccanizzata di legname.
Silenzioso ed immobile, l’animale artificiale scruta gli spettatori sotto l’alto tetto dello spazio espositivo. I suoi fari sembrano occhi sotto la rigida griglia del radiatore. Il lungo braccio, un tempo dotato della più sofisticata testa di raccolta tronchi concepita fino ad allora, appare ripiegato su se stesso, in posizione di riposo. I muscoli idraulici delle sei zampe, ipoteticamente capaci di spostare tonnellate, attendono del nuovo fluido ri-vitalizzante… L’impressionante oggetto, nonostante le 2.000 ore di utilizzo all’epoca per effettuare i test e stilare un piano ingegneristico completo, non è attualmente più in grado di mettersi in moto. O almeno questo lasciava intendere una press-release ufficiale, rilasciata al pubblico all’epoca del trasporto in loco e l’apertura dell’expo ed attualmente reperibile soltanto tramite l’Internet Wayback Machine. Mentre per quanto concerne  il suo unico parente, dall’aspetto più futuribile e simile ad un ragno, sappiamo soltanto che oggi è custodito presso il Museo della Foresta di Lusto, in Finlandia. Questo perché entrambi i veicoli, in effetti, non furono il prodotto dell’ingegneria e creatività americane, bensì l’invenzione di una compagnia di quel paese, la Plustech Oy. Che era stata acquistata a suo tempo dalla Timberjack dell’Ohio, produttrice di macchinari agricoli, poco prima che il pacchetto completo, tutto incluso, fosse rilevato dal colosso John Deere. E fu soltanto allora che un simile strano sogno, di cui tutt’ora sappiamo ben poco oltre a ciò che ci è possibile trovare in vecchi video di YouTube, iniziò a prendere una forma materiale, nella speranza che l’approccio rivoluzionario permettesse di prendere possesso del mercato.
I vantaggi di una soluzione come questa, dopo tutto, sono notevoli: un taglialegna con propensione deambulatoria, benché molto lento, può muoversi in qualsiasi direzione senza girarsi o ruotare facilmente su se stesso. Grossi vantaggi, nello spazio angusto che si crea tra i tronchi di una foresta. Gli è inoltre possibile, senza alcun tipo di difficoltà, scavalcare qualsivoglia ostacolo mantenendo la cabina di guida in posizione livellata e stabile, per un massimo comfort di utilizzo. Ma il punto principale, potenzialmente ancora più importante, è il suo minore impatto ambientale: perché un mezzo dotato di cingoli, capace di spalmare il proprio peso su di un’ampia area e proprio per questo in grado di operare sulla terra soffice di tali luoghi, ha il problema derivato di compattare quest’ultima, premendo con forza sulle radici di un’ampia area. Il che, come potrete immaginare, non fa esattamente bene agli alberi, neppure quelli giovani destinati a salvarsi dall’abbattimento, almeno fino ad un momento successivo della loro condanna. Mettete a confronto, quindi, un tale approccio con quello di zampe che distribuiscono l’impatto solo in punti ben precisi e limitati: è chiaro che l’idea di reinventarsi come un MechWarrior della nostra epoca preliminare inizia a farsi allettante per qualsiasi coscienzioso boscaiolo…

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La creatura naturale che ha ispirato il secondo prototipo, con circa 700 ore di utilizzo sperimentativo, è chiaramente la tarantola sudamericana. La postazione del pilota corrisponde all’addome, mentre il motore ha persino una forma che ricorda da vicino il cefalotorace. Il conto delle zampe, tuttavia, non torna.

Come desumibile dall’esauriente video di apertura, la Walking Forest Machine era un prodotto d’avanguardia sotto molti punti di vista, incluso quello informatico. Non a caso l’originaria committente, la Timberjack, era stata negli anni ’60 parte del consorzio della Eaton, multinazionale del settore elettronico con interessi nel settore aerospaziale, che oggi molti conosceranno come produttrice di alcuni dei più rinomati e costosi gruppi di continuità, impiegati nelle sale server, negli uffici e nelle case di molti di noi.
Entrambi i prototipi erano stati dotati di un sistema automatico in grado di calcolare la pressione di ciascuna zampe e la solidità di ciascun punto di appoggio, grazie a dei sensori integrati, consigliando l’utilizzatore sulle migliori manovre da utilizzare per districarsi da un impasse. La cabina di comando includeva l’utile strumento proprietario del TMC della Timberjack, una sorta di tablet in anticipo sui tempi con display digitale, in grado di mostrare e controllare tutti i parametri relativi al motore ed all’impianto idraulico di bordo. Altrettanto interessante era il fatto che le zampe del trattore robotico potessero essere dotate di diverse “scarpe” più o meno ampie a seconda delle caratteristiche del luogo di impiego. A seconda di queste ultime, inoltre, un parametro inserito nel dispositivo di controllo avrebbe permesso di determinare l’altezza dal suolo dell’intero veicolo, eliminando così le problematiche derivanti da un potenziale dislivello. Ma nel caso del primo prototipo della Walking Machine, quello che oggi si trova in Illinois, il componente più impressionante restava sembra ombra di dubbio la metaforica coda dello scorpione, ovvero il complesso dispositivo collocato al termine del braccio idraulico, definito nel settore come harvesting head, o testa di raccolta dei tronchi.

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Certo, bisogna ammetterlo: nessuna di queste macchine è particolarmente silenziosa. Ma come sappiamo fin troppo bene, se un albero cade nella foresta non è neanche detto che qualcuno riesca a sentirlo…

Il dispositivo in questione, diffuso soprattutto nei paesi nordici con ampie foreste da sfruttare (nel nostro paese, disboscherebbe intere regioni in poche settimane) è un impressionante commistione d’ingegno pratico, robotica di base e spassionata crudeltà contro il reame dei vegetali. Si componeva a quell’epoca, sostanzialmente come ancora adesso, di una pinza manovrata in posizione tramite il braccio della gru, in grado di circondare un tronco fino a una determinata lunghezza. Una volta che la sega elettrica incorporata nella parte inferiore del marchingegno ha reciso la pianta e questa è sostenuta dal sistema idraulico del mezzo, quindi, vengono azionate due ruote interne, funzionali nel far scorrere quanto raccolto lungo la sua intera estensione. Delle lame incluse nella pinza, a quel punto, non potranno che rimuovere ogni ramo accessorio, ormai non più necessario, trasformando efficacemente l’essere un tempo vivente in materiale da costruzione. In senso totalmente letterale: tutto quello che occorrerà, a quel punto, è una rapida rimozione della corteccia, prima di avere già un pilastro pronto per un casale rustico tra le distese dell’Alaska. In casi d’impieghi più spiccatamente urbani, lavorazioni ulteriori potrebbero rendersi necessarie… A meno di voler colpire gli ospiti con la propria estetica selvaggia.
La testa di raccolta dei tronchi impiegata nella Walking Machine, sostanzialmente, non doveva essere poi così diversa da quelle tutt’ora vendute dalla John Deere come dai suoi concorrenti, e non è dunque difficile immaginare un certo contenuto tecnologico accantonato assieme al mostro meccanico mai entrato in produzione, che tuttavia avrebbe trovato nuovo impiego nei successivi perfezionamenti dei prodotti della compagnia. Le stesse sofisticate soluzioni informatiche incorporate dalla finlandese Plustech Oy, tra i cui i sistemi di regolazione della pressione idraulica di precisione, sarebbero stati brevettati in modo indipendente ed incorporati nei veicoli commercializzati negli anni immediatamente successivi. Come in natura, nulla va mai veramente perduto, e persino l’improvvido decesso di una creatura costituisce un’occasione di rinascita per i micro-organismi, le alghe sottomarine o gli sparvieri delle vette tibetane. Tra l’altro, i mostri meccanici non muoiono mai.
Quindi, in conclusione: durante un 2016 in cui tutto ciò che è robotico sembra dover vantare necessariamente un possibile impiego aggressivo (che sia propriamente bellico, o relativo a una competizione di combattimento para-sportiva) è rinfrescante poter osservare un camminatore che pare imitare da vicino Star Wars, pur servendo a una pacifica raccolta di materiali. Non che per gli spietati orsetti Ewok con le loro trappole a catena, questo avrebbe fatto un briciolo di differenza.

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