I fabbri che ricostruiscono la misteriosa spada vichinga

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Tonnellate di spade provenienti dal cinema, dai fumetti e dai videogiochi. Ore interminabili di lavoro, spese prima da Tony Swatton, pregevole fabbro londinese, e poi dai fratelli Stagmer dell’officina statunitense Baltimore Knife and Sword, per dare forma materiale ai celebri implementi bellici di Final Fantasy, Dark Souls, Fairy Tail… E qualche volta, ispirarsi indirettamente alle faccende della storia: memorabile fu, ad esempio, l’episodio in cui venne riprodotta la katana di Hattori Hanzo in Kill Bill impiegando veri metodi tradizionali provenienti dal Giappone. Ed altrettanto degno di un commento e studio ulteriore risulta essere quest’ultimo episodio, in cui rispondendo a una reiterata richiesta del pubblico i produttori del programma hanno, finalmente, deciso di dedicare le proprie capacità alla costruzione di una delle spade di Ulfberht, forse le più avanzate dell’intero Alto Medioevo Europeo. Ma non una qualsiasi. Bensì quella custodita presso il Museo Nazionale d’Irlanda a Dublino, chiamata di Ballinderry dalla località in cui venne ritrovata nel 1932, presso il tumulo di un antico jarl o re. Tra le circa 170 oggi in nostro possesso, databili con una variazione di circa due secoli, probabilmente una delle meglio conservate, soprattutto per quanto concerne la caratteristica incisione sulla lama, recante il nome del costruttore.
Ma chi era esattamente +ULFBERHT+? Un vescovo, magari un abate, come sembrava suggerire la doppia croce inclusa nella sua firma? Oppure un mistico stregone, devoto alle vie misteriose del sacro martello di Thor? O ancora un arabo proveniente dal porto di Damasco, con all’interno della sua memoria il segreto per costruire il metallo più forte che il mondo avesse mai conosciuto…. C’è del potere in un nome, anche se non sempre della stessa natura o entità. E non sto parlando di antichi incantesimi, parole magiche in grado d’influenzare la natura per vie poco chiare, attraverso secoli di miti e leggende appartenenti ai popoli d’ogni tipo. Ma del reale prestigio che ancora adesso, grazie al potere dei marchi, connota determinati acquisti e resta ad aleggiare come l’aura di Buddha, rendendo più luminosi i confini di una figura che incute immediata ammirazione. O soggezione reverenziale: Ferrari, Armani, Rolex, Vuitton, Cartier… L’emiro che scende dal jet privato, il potente industriale col suo entourage, o il capo d’azienda in determinati ambienti, nei quali non si è ancora imposta la moderna regola della ritrovata umiltà. E nulla dovrebbe mai farci pensare che, nel corso dell’intera storia dell’uomo, questa situazione sia totalmente nuova, o in se e per se del tutto priva di precedenti. Fin dalla creazione delle prime culture stanziali, nelle epoche più remote, quasi certamente operavano già fabbri, costruttori, tecnici ed ingegneri di fama, i cui servigi venivano altamente stimati dai propri vicini in cambio di aiuto per sopravvivere in un mondo dalla natura ostile. Poi con l’arrivo dell’epoca classica, tra il sorgere e il crollo dei grandi imperi, la fama di un artista o artigiano poteva correre fino agli estremi dei continenti, mentre la classe dei ricchi e potenti faceva di tutto per assicurarsi il suo sostegno, la stimata collaborazione. Dopo la fine di Roma, quindi, sopraggiunta la cosiddetta “Epoca Oscura” c’è questo preconcetto secondo cui le società sarebbero ritornate alle barbarie, in attesa che i lumi di una ritrovata saggezza consentissero di ripristinare ciò che era stato. Il che, nell’opinione degli storiografi moderni, risulta essere nient’altro che un’eccessiva semplificazione: molte furono infatti, ormai lo sappiamo, le invenzioni di questi anni, le nuove scoperte geografiche e naturalistiche, gli avanzamenti compiuti dal punto di vista dei commerci e dell’organizzazione sociale. E fu proprio in quel contesto, sostanzialmente, che nacque il mito intramontabile della spada.

Pensate a un soldato delle legioni romane, schierato da Cesare innanzi alle orde dei Galli, pronto a combattere per l’ideale dell’Urbe. L’elmo crestato, la lorica hamata, il grosso e pesante scutum, il giavellotto lanciato verso il nemico ancor prima di sfoderare la spada e gettarsi nella mischia feroce. Credete forse che la sua spatha o il gladium, per quanto straordinariamente ben costruiti ed efficienti, fossero infusi nella sua mente di un qualche potere particolare? Come avrebbe mai potuto verificarsi questo, quando la base stessa dei suoi propositi di sopravvivenza era la standardizzazione, il poter contare sui compagni ai suoi fianchi armati, ed addestrati, nella sua stessa identica maniera… No, il filone concettuale che avrebbe condotto, diversi anni a quella parte, al concetto stesso di Excalibur non proveniva in alcun modo dalle terre del Mediterraneo, non era Romano, né Greco o acquisito per osmosi dai popoli barbareschi del Nord dell’Africa. Fu fin dalla sua concezione un prodotto della cultura scandinava, o per essere più precisi, delle ardite tribolazioni e temute scorribande vichinghe. In merito alla cui presunta efferatezza e malvagità, i letterati ecclesiastici non lesinarono mai inchiostri dei manoscritti, né successivamente, dei primi incunaboli della propagandistica tipografia.

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La spada di Ballinderry è rimasta sostanzialmente integra nella sua forma originaria. Si tratta, per un’arma vichinga, di una lama più larga del normale, e dotata di alcuni lievi ornamenti che normalmente questo popolo disdegnava. Nella vetrina del museo è ospitato anche il teschio del suo precedente proprietario, vistosamente danneggiato da un possibile colpo ricevuto in battaglia.

Osservare gli Stagmer all’opera, nel processo creativo della loro ricostruzione è estremamente affascinante, anche per la loro scelta di affidarsi unicamente a tecnologie disponibili all’epoca dei veri vichinghi (benché ad un certo punto, si renda necessario trasgredire con un maglio elettrico: l’opera di battitura della prima billetta avrebbe altrimenti richiesto svariate settimane). Tutto inizia con la preparazione dell’acciaio, creato attraverso l’impiego dello strumento del crogiolo, un contenitore in materiale refrattario in cui inserire il minerale, assieme a diversi tipi di altri ingredienti per costituire il materiale della spada. È importante notare, a tal proposito, che il concetto moderno per cui il ferro provenga da uno storico di lavorazione totalmente diverso da quello dell’acciaio sia in realtà totalmente errato: la maggior parte delle spade dell’Alto Medioevo, infatti, erano prodotte con una tecnologia detta dell’acciaio a pacchetto, o falso acciaio di Damasco. Che consisteva, essenzialmente, nella saldatura siderurgica di vari strati di ferro sovrapposti, al fine di ottenere il singolo pezzo di una spada da diversi agglomerati di materiale. Ebbene, la qualità di simili accozzaglie, generalmente, era di molto superiore a quella di un attrezzo creato da un solo pezzo di ferro. Lo sapete perché? Le scorie della cottura, spesso effettuata con pezzi di legno o carbone, penetravano nelle intercapedini del metallo, creando essenzialmente un reticolo interno a base di carbonio. Proprio in modo tanto accidentale nacque, in parole povere, il primo acciaio della storia. Ma il misterioso +ULFBERHT+, chiunque egli sia stato, andava ben oltre una simile tecnologia. Egli conosceva infatti, per qualche misteriosa via, la tecnica dell’incapsulamento mediante crogiolo, valida a raggiungere una temperatura superiore. Tanto elevata da fondere il ferro, causando la precipitazione sul fondo dello slag (le scorie) e quindi l’ottenimento di un materiale più resistente e flessibile di quanto fosse mai stato possibile prima d’allora. Inoltre, ed in ciò si trovava il segreto della sua somma stregoneria, egli sapeva che bastava aggiungere al crogiolo del carbone di legno, affinché il fluido risultante fosse già arricchito, in maniera perfettamente uniforme, del vitale, inarrestabile carbonio.
Imitato tale fondamentale passaggio, e tirato fuori il metallo oramai solidificato dal crogiolo, Stagmer inizia quindi l’opera di forgiatura propriamente detta, riscaldando l’ammasso vagamente panettoniforme al calor rosso, per poi appiattirlo e farne una ciambella, che dovrà essere successivamente aperta e spianata in una forma che inizi a ricordare quella di una spada. Ma l’operazione risulta essere, persino per lui, estremamente difficoltosa ed è qui che, alla fine, gli si renderà necessario ricorrere agli strumenti della modernità. In prospettiva storica, era proprio la difficoltà ed il tempo necessario ad ultimare questa parte del progetto, la ragione per cui una spada a quell’epoca poteva valere più di una piccola casa, arrivando all’equivalente di almeno 16 mucche da latte. Nel caso di una Ulfberht, poi, non cerano probabilmente limiti di sorta…

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La serie di Man at Arms non è stata la prima a ricostruire la spada vichinga nella sua interezza. In questo lungo documentario di NOVA, integralmente disponibile su YouTube, un’opera comparabile veniva realizzata da Richard Furrer della Door County Forgeworks.

Completato quello che viene chiamato in gergo il billetto, quindi, gli Stagmer passano alla fase di battitura della vera e propria spada, mentre la loro assistente inizia a preparare i metalli preziosi che verranno impiegati per decorare l’elsa e il pomello. Quest’ultimo, in particolare, viene fatto oggetto di grandi attenzioni, affinché riprenda la forma molto caratteristica a lobi dell’originale spada di Ballinderry. Ciò che viene, a questo punto, è una delle fasi più interessanti dell’intera procedura: i fabbri devono infatti creare la scritta ULFBERHT, ricorrendo ad un artificio potenzialmente inaspettato. Il fratello-in-capo Matt, occupandosi della delicata operazione, effettua l’incisione sul centro della lama mediante l’impiego di uno scalpello. Quindi fonde dei chiodi da costruzione, e dando la forma al loro metallo lo inserisce attentamente negli spazi vuoti appena creati. Scaldare nuovamente la lama, quindi metterla sotto una pressa, basterà a facilitare la saldatura dei materiali, ottenendo una scritta non ancora visibilissima, ma chiara e precisa. La spada viene quindi nuovamente forgiata, al fine di creare l’avvallamento centrale della lama detto fuller (lo “scolo del sangue”) un artificio finalizzato in realtà ad incrementare la resistenza dell’arma in molte spade vichinghe, ma che nel caso della Ballinderry, e della sua riproduzione, risulta in effetti appena accennato. Ben presto, quindi, è tempo di passare alla decorazione con oro e argento, quindi all’immersione finale nel mordente, un processo fondamentale al termine di qualsiasi forgiatura, che rimuove le piccole scorie dalla superficie della lama e ne cambia il colore. Caso vuole tra l’altro, ma si fa assolutamente per dire, che il metallo dei chiodi usati per marchio del costruttore reagisca in maniera totalmente differente dal resto dell’acciaio, restando molto più chiaro. Ed è a questo punto che le lettere balzano fuori, diventando quasi tridimensionali. È facile immaginare lo stupore sanguinario e la macabra felicità di un capo vichingo, nel momento in cui gli veniva consegnato il suo prezioso acquisto, mentre pregustava l’effetto che un tale emblema avrebbe avuto sullo spirito dei suoi nemici.
Pirati, dunque, briganti, feroci guerrieri. Ma anche navigatori e soprattutto un popolo che, nei suoi molto viaggi, sapeva riconoscere la qualità. Il punto chiave nella comprensione della vera natura delle spade di ULFBERHT resta infatti che esse, secondo l’ipotesi più accreditata, non venivano affatto prodotte dai vichinghi. Mentre invece essi le acquistavano (o rubavano) dalla Renania, il territorio dell’antico impero dei Celti, in cui i fabbri lavoravano tra incantesimi druidici nella foresta, ma che poi non deponevano le armi nei tumuli alla morte del proprietario, preferendo affidarle alle mani e all’impiego delle nuove generazioni. E sarebbe stato proprio per questo, che noi le avremmo ritrovate soltanto più a nord. Esiste tra l’altro un’altra ipotesi, ancora più estrema ed a cui accennavamo in apertura: è possibile che queste spade fossero state prodotte in un monastero cristiano, come esemplificato dalle croci nell’incisione. In almeno un esempio tardo, risalente al XII secolo, la scritta classica veniva addirittura affiancata ad un’altra: +IINIOMINEDMN. Ovvero, parafrasando lo storpiamento: nel Suo nome. In alcuni ambienti storiografici e letterari è stata da tempo ipotizzata, in effetti, un’originaria alleanza tra i cristiani del Nord e seguaci della Via degli Dei di Asgard, una forma di religione pagana più strutturata ed all’epoca vista, in qualche maniera, come meno “empia”. Abbastanza, quanto meno, da facilitare i commerci. Ma chi avrebbe mai venduto delle armi agli autori di reali feroci scorribande, terrori di tutti e sette i mari? I conti davvero non tornano, e per giustificare tutto ciò, occorrerebbe rivedere l’intera immagine che ci siamo costruiti del tipico vichingo. Perché mai faticare…

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