Le verità di Ordos, città fantasma sul confine della Cina

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L’energia economica del mondo scorre e si propaga, attraverso linee di confluenza che convergono verso i punti d’interesse dei poteri sovrani: zone d’importanza strategica, culturale, turistica, giacimenti di risorse naturali. Così quando camminando ti ritrovi al cospetto di una simile energia, è difficile che non lo noti. Nella parte settentrionale del grande paese degli Han, c’è la striscia di territorio che viene comunemente definita la Mongolia interna. Ed è qui, in prossimità del Fiume Giallo, che si estende una delle piazze più grandi del mondo, dopo Times Square e Tiananmen. Al suo centro, due stalloni rampanti si scontrano in un eterno duello, mentre altre statue dei guerrieri di Genghis Khan, riunite in un maestoso assembramento, sembrano lanciate in una folle cavalcata verso un invisibile nemico. E proprio di fronte all’atterrito sguardo, colossali ed insoliti monumenti: il Museo di Ordos, costruito nella foggia di un enorme roccia sfaccettata, o in altri termini origami dei titani. La biblioteca cittadina, la cui struttura è simile a quella di tre libri in fila su una mensola a gradoni. Strade larghe quaranta metri, nel frattempo, si irradiano a raggiera da un simile punto centrale. Ciascuna di esse potrebbe bastare ad ospitare una Parata Nazionale. Tutto è fuori scala, spropositato, nel distretto nuovo di Kangbashi, progetto finanziato a partire dal 2003 grazie alle ingenti finanze estratte da quello che viene tutt’ora definito “il Texas della Cina” per la sua ricchezza di carbone, petrolio e terre rare. Quando ci si rese conto che Ordos, città-prefettura fondata ai margini dell’omonimo deserto e ormai popolata da oltre 2 milioni di persone, non disponeva delle infrastrutture, degli spazi e soprattutto dell’acqua necessaria a sostenerle in un modo che potesse realmente definirsi, ideale. Almeno finché un tale nucleo di energia potenziale non fosse illuminato dalla luce degli appalti, e i lupi della speculazione edilizia lasciati a scatenarsi sul corpo di una simile…Opportunità.
Spostiamoci in avanti di 5 anni: i media internazionali, nella persona di una nota corrispondente locale del canale Al Jazeera, capitano “per caso” da queste parti, osservando con stupore l’esistenza di quella che sembra essere, a tutti gli effetti, una città pressoché vuota. Vasta quanto l’area di Pechino e costellata di grattacieli, con spazi adatti ad ospitare 5, 10, 20 volte l’effettiva popolazione di qualche migliaio appena, che sfreccia ai margini del campo visivo, percorrendo strade semi-vuote in lampo d’automobili brillanti sotto il sole. I marciapiedi, nel frattempo, sono totalmente vuoti. Le finestre nella notte, restano del tutto buie. L’interpretazione data dal pubblico di tali scene è tanto immediata, quanto pregna di significato: “La possente Cina, la facoltosa Cina, che negli ultimi anni ha modificato a sua immagine il meccanismo dell’economia globale, è ormai prossima allo scoppio della BOLLA. Per questo, costruisce cattedrali nel deserto.” È una narrativa così straordinariamente funzionale all’interpretazione tipica dei nostri tempi: tutto è motivato dal denaro, condizionato dall’assenza di esso, e/o nutrito fino all’estrema crescita bruciandone spropositate quantità. Questa infiorescenza fungo-edilizia tanto palesemente immotivata eppure fortemente voluta dal governo, non può avere naturalmente altra ragione d’esistenza, che la necessità di aumentare artificialmente il prodotto interno lordo, generando l’illusione di uno Yuan forte laddove la valuta in questione, molto presto, è destinata a sprofondare nell’inferno dell’iper-svalutazione. “Portandoci TUTTI…” Continuano i moderni giardinieri dell’apocalisse: “…Ad una fine inevitabile e ingloriosa!”
Eppure, eppure. Chi volesse approfondire maggiormente la questione, scoprirà qualcosa di apparentemente illogico: di ciascun appartamento su cui viene apposta la dicitura “in vendita” nel leggendario distretto periferico di Ordos, pressoché nessuno resta privo di un proprietario. La gente che vive nella città vecchia, in effetti, generalmente piuttosto facoltosa in forza del boom economico degli ultimi anni, non ha saputo trovare altro metodo d’investimento che acquistare proprietà nella presunta Metropoli Fantasma. Che dunque, quanto a lungo rimarrà tale? Forse la risposta non è poi così difficile da rintracciare. Almeno in linea di principio, l’avete udita in un celebre detto delle nostre parti: Roma non fu costruita in un giorno. Ma se lo fosse stata, ce ne sarebbero voluti comunque parecchi, a popolarla…

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I servizi girati dalle Tv occidentali su Ordos sono spesso carichi di pathos e sentimento per l’ingiusta condizione umana. Eppure, tutte le persone intervistate appaiono INSPIEGABILMENTE soddisfatte, persino orgogliose della propria nuova città.

L’origine del fraintendimento di fondo, come spesso capita, è di natura prettamente culturale. Giacché esiste, nella nostra visione frutto degli sviluppi concettuali nati verso la seconda metà del ‘900, questa concezione secondo cui una città debba essere “a misura d’uomo”. Ovvero costruita, in ogni minimo dettaglio, per massimizzare i suoi propositi d’utilizzo, ovvero facilitare i piccoli sforzi del quotidiano, distribuire equamente i punti di accesso ai luoghi d’interesse ed ai servizi civili. Per comprendere realmente la Cina assieme all’urbanistica tradizionale dell’Estremo Oriente (che non trova alcuna espressione, sia chiaro, nelle grandi metropoli globalizzate del Giappone) occorre comprendere come esistano delle vie alternative per creare un luogo adatto ad ospitare centinaia di migliaia di persone. Una di queste: creare naturale soggezione. Dove la psicanalisi e l’approfondimento del concetto d’individuo non si sono mai imposti sul concetto di individuo come parte di un’amalgama spropositato, la possente, varia e vaga società, dovremmo essere noi stessi, idealmente, ad adattarci alla città. Per quanto possibile.
Guardando il nuovo distretto di Kangbashi con un occhio rivolto alla storia, in effetti, sarebbe anche possibile individuare un’altra fonte ispiratrice della sua visione architettonica: quella delle spropositate città pianificate durante l’epoca del blocco sovietico, quando appariva necessario far conoscere al mondo la stabilità monetaria e il conseguente potere edilizio che derivava dall’essere accolti, volontariamente o meno, sotto l’ala protettiva della grande Unione. Città come Panelák, in Cecoslovacchia, oppure Plattenbau, nell’allora Germania dell’Est, o ancora Ulaanbaatar, sita all’altro capo di queste stesse grandi steppe mongole, benché facente parte di tutt’altra giurisdizione. Esiste persino un’espressione nella lingua locale assurta al ruolo di antonomasia, Ugsarmal bair, usata per riferirsi ai giganteschi “palazzi assemblati” che trovavano collocazione in quell’epoca di ferro, vetro e cemento. L’intero nuovo distretto di Ordos, costruito in primo luogo per ospitare gli edifici governativi, le aziende più facoltose, le scuole migliori ed i più moderni ospedali, diventerebbe a questo punto un singolo, spropositato monumento, edificato per rendere onore alla possenza dell’odierna economia cinese. Ed il fatto che qui vivano, attualmente, soltanto una frazione delle 300.000 persone originariamente previste non dovrebbe spaventarci. Bensì darci da pensare.

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Quale miglior luogo, per scattare le foto del proprio matrimonio, di una fedele ricostruzione della Chiesa di Cristo a Clifton Down, presso la città all’altro capo del mondo di Bristol?

Ecco, per comparazione, un vero “sogno fallito” della Cina: Thames Town, il quartiere di Songjiang costruito per assomigliare a una ridente cittadina inglese. Oggi largamente disabitato, nonostante fosse stato costruito, a partire dal 2001, con lo scopo di ospitare l’intero staff di uno dei conglomerati di università più vasti del paese. Oltre a costituire una valida attrazione turistica, assieme alle zone prospicienti di altrettanto fasulli scorci prelevati dall’Italia, la Spagna, il Canada, l’Olanda… Progetti, per fortuna, momentaneamente abbandonati. Rimasto come una sorta di luna park incompleto, l’esteso agglomerato di edifici è oggi quasi del tutto privo di abitanti, e viene purtroppo fatto oggetto di atti vandalici di vario tipo, come anche testimoniato anche dal video soprastante prodotto da Collin del Collin Sphere Travel Vlog per il canale del suo collega Tom Scott. È importante notare, per comprendere a pieno l’entità del disastro, come la maggior parte degli spazi abitativi della “Piccola Londra” abbiano in realtà trovato acquirenti in tempi piuttosto brevi, facendo crescere in maniera esponenziale un valore presunto di queste proprietà che in ultima analisi, non ha mai ricevuto l’occasione di concretizzarsi. Fatto strano, tuttavia, una città analoga sta venendo costruita proprio adesso presso Pechino, visto l’evidente successo di vendite del primo prototipo a Songjian. Che cosa succederà quando, nel giro di un paio di generazioni, queste persone faranno finalmente mente locale sul fatto di aver acquistato nient’altro che un pugno di (patinate, luminosissime) mosche?
È una domanda in cui si trova il nesso della questione “bolla immobiliare cinese” frutto d’iniziative stravaganti e quasi tangibilmente kitsch, ma alla quale, assai probabilmente, gli abitanti di Kangbashi non si troveranno mai a dover rispondere. Perché basta recarsi all’ora giusta nell’unico punto di ritrovo della vasta e silenziosa metropoli settentrionale, per trovare una misura significativa di speranza: un vasto agglomerato di ristoranti e banchi del cibo di strada, fatto sorgere con diversi incentivi del governo attorno agli archi dorati di un vero e proprio (!) McDonald’s, per trovarsi circondati da una folla di migliaia di persone. Quegli stessi abitanti ritenuti invisibili, che per il resto delle loro giornate sono a lavoro, nell’abitacolo delle automobili, oppure chiusi negli appartamenti dei piani elevati, intenti ad ordinare tutto ciò di cui hanno bisogno online. Nella nuova e rinata città di Ordos non ci si sposta a piedi, semplicemente perché per arrivare alla fermata dell’autobus, già ci vogliono una quindicina di minuti. Tutto è gigantesco, spropositato ed inumano. Tranne, per ovvie e imprescindibili ragioni, l’ora di pranzo. I soldi esistono per essere spesi…

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Un altro giorno, un altro titano moribondo. Il New South China Mall di Dongguan doveva essere, nell’idea dei suoi costruttori, il più grande centro commerciale al mondo. Oggi è un mausoleo delle ottime speranze, impreziosito da un distante sentore d’urina.

Ci sono diverse giustificazioni all’esistenza continuativa nel tempo di Kangbashi, la cosiddetta città fantasma: i cinesi comprano le proprietà immobiliari come principale forma d’investimento, molto più di quanto succeda dalle nostre parti, senza alcun reale desiderio di trasferirsi. I genitori, quindi, tengono da parte il nuovo appartamento, aspettando di consegnarne le chiavi ai figli nell’ora molto attesa del matrimonio. Altri acquistano la casa, poi si recano all’estero per studio o per affari, lasciandola disabitata per un periodo che tende a prolungarsi nel tempo. D’altra parte, sono stati anche commessi errori di natura giurisdizionale. Il governo locale, dando notevoli incentivi alle aziende intenzionate a trasferirsi nel nuovo distretto, ha stimolato l’avidità dei proprietari immobiliari, che conseguentemente hanno alzato gli affitti ponendo un freno alla rapidità di colonizzazione.
Ma la questione principale, a mio parere, resta ancor più semplice ed immediata. Ed è relativa al tempo che occorre perché sorga, dall’assoluto nulla, una città. Siamo pienamente a conoscenza della perizia immobiliare delle aziende cinesi, in grado di edificare un palazzo di decine di piani in poco più di 48 ore. Con metodi simili, portare a termine un intero quartiere richiederà… Qualche settimana. Un mese o due? Ma la propensione umana ad attaccarsi ai luoghi della propria residenza resta tale, ovunque ci si trovi. E io non credo che sarebbero davvero in molti, quelli pronti a trasferirsi in un nuovo appartamento da un giorno all’altro soltanto perché è più vicino al proprio posto di lavoro. Saranno passati meno di 10 anni dal momento in cui Kangbashi ha cessato di essere soltanto un cantiere. Anche se adesso sembra una versione più rada di Manhattan stessa. Ma siamo sicuri che altrove sarebbe bastato questo tempo, per cambiare radicalmente la vita di 300.000 persone?

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