L’ideale per chi ha sempre desiderato un jet

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Una spettacolare sensazione, quella meravigliosa vibrazione, di un motore, anzi addirittura due, che invece di ruotare, pulsare, far flettere dozzine di pistoni, brucia ed arde di passione, espande il fluido al proprio interno e ridistribuisce l’ordine ed il senso dello spazio. 10, 15, 20 Km? Una bazzecola, roba da nulla. 270, la distanza tra Roma e Genova? Posso percorrerla in un’ora. E ti assicuro: neanche sono miliardario! Perché il mio mezzo, nonostante la velocità chiaramente dimostrata, non è un aereo privato della classe e dimensione comunemente impiegate dai capi d’azienda, come un Bombardier Learjet o un Aérospatiale SN-601 Corvette, né tanto meno uno di quei giganteschi aerei di linea riconvertiti a suite volanti dagli emiri o dagli attori di fama internazionale. Stiamo parlando, in effetti, di un mezzo che costa quanto un’automobile sportiva. Di classe media: 20.000 euro o giù di lì. A patto, naturalmente, di ordinare i piani per posta e costruirselo da soli. Con appena qualche decina di migliaia di ore di lavoro, però vuoi mettere, la soddisfazione… Di posizionare in prossimità del muso, al termine dell’opera, due motori JetCat P200SX, del tipo concepito per i modellini radiocomandati, poco prima di andare anche noi lassù… Intendiamoci, se il concetto stesso alla base di questo aeromobile, creato originariamente dall’aviatore francese Michel Colomban nel 1970, vi sembra un’assoluta follia, questo è probabilmente anche perché in linea di principio, esso non avrebbe dovuto superare di molto i 150 Km/h. Il CriCri, come lui l’aveva definito riprendendo il nomignolo usato per la figlia (ma anche la parola inglese per il grillo, cricket) sfruttava infatti in origine due motori ad elica convenzionali, già comunque sufficienti ad inserirlo nel Guinness dei Primati come più compatto bimotore al mondo.
Ma i sogni di bambino non riescono ad accontentarsi, e una volta che si dispone dei mezzi finanziari, del tempo libero e della forza di volontà necessari a realizzare il proprio sogno, tutto diventa possibile. Persino volare alla stessa maniera del vetusto supereroe The Rocketeer. Fuoco e fiamme, scie nel cielo, il senso di lasciarsi indietro i limiti del tempo e dello spazio. Restando in grado, dal momento del proprio decollo fin quando non si tocca terra presso l’obiettivo, di allungare le proprie braccia ai lati, giungendo ipoteticamente a toccare la punta delle proprie stesse ali. Dico in teoria, perché di certo è consigliabile, nell’assemblare il proprio velivolo, includere il coperchio trasparente dell’abitacolo, quell’elemento quasi sproporzionato rispetto al resto dell’aeroplanino che riesce a farlo assomigliare all’automobile volante del padre dei Jetsons. Il che potrebbe essere, chissà, persino intenzionale. Stando alle informazioni reperibili online, il primo a pensare di combinare questo aeroplano con la potenza straordinariamente compatta dei motori JetCat potrebbe essere stato Nicolas Charmont con il suo Cri-Cri F-PZPR, ma non fu certamente l’ultimo, visto come il video soprastante sia invece il prodotto del pilota di nome Edith Piaf. Le caratteristiche di questa versione dell’aereo, dopo tutto, sono straordinariamente funzionali all’idea di base: rendere il volo a reazione accessibile a chiunque. Ciò perché il peso a vuoto del Colomban è molto significativo, con i suoi appena 78 Kg, sufficienti a rientrare a pieno titolo nella legislazione degli ultraleggeri in quasi ogni paese al mondo, venendo a tutti gli effetti classificato alla stregua di un aliante dotato di motore/i. Il che non significa, ad ogni modo, che si possa guidare senza nessun tipo di esperienza o corso preparatorio: specie nella configurazione jet, infatti, l’aeroplanino presenta una sensibilità alle sollecitazioni paragonabile a quella di un intercettore militare, e potrebbe bastare dunque il minimo errore ai comandi per trovarsi in stallo o in una vite irrecuperabile, con conseguenze estremamente facili da immaginare. Quando a ciò si aggiunge che la struttura dell’aeromobile, per ovvie necessità progettuali, è costituita essenzialmente da un sottile velo di alluminio incollato a una schiuma in PVC Klegecell, operazione rigorosamente effettuata nel cortile di casa propria, si capisce finalmente l’entità del coraggio necessario ad impiegarlo per i propri tragitti veicolari…

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Osservando il modo in cui il pilota deve incastrarsi nella piccola cabina del Colomban, risulta difficile immaginarne l’uso da parte di persone particolarmente alte o corpulente. Ma nel loro caso, probabilmente, il peso complessivo avrebbe comunque compromesso le capacità e la sicurezza del velivolo stesso.

Piccoli albatross, comunque in grado di compiere notevoli imprese. Il 9 luglio del 2015, ad esempio, un CriCri riconvertito per sfruttare due motori ad elica di proprietà del pilota Hugues Duwal venne fatto decollare in fretta e furia per attraversare la Manica, non appena ricevuta la notizia che un altro team stava per stabilire il primato del primo aeromobile elettrico a compiere l’impresa, il più imponente e sofisticato Airbus E-Fan. Questa era infatti la propulsione usata dallo stesso MC 15 E-Cristaline, che qui sopra possiamo osservare durante un volo di prova sopra la ridente campagna francese. A giugno del 2010, ben prima di tale spettacolare prova tecnica, la EADS aveva presentato un’altra versione elettrica dell’aereo presso lo show dell’aviazione ecologica di le Bourget, dotato di due eliche in aggiunta quelle convenzionali del Colomban, poste in opposizione al fine d’incrementare le prestazioni, sebbene non l’autonomia del mezzo. In tale configurazione, infatti, l’aereo era diventato istantaneamente il più piccolo quadrimotore della storia, ma poteva restare in volo per soli 30 minuti e raggiungere i 110 Km/h. Mentre il Cristaline, nel caso dell’impresa di attraversamento, evitò di ricercare una simile velocità, affidandosi piuttosto a un più tranquillo ritmo di marcia, che gli garantì se non altro di giungere a destinazione. L’aereo fu addirittura sollevato a traino, onde risparmiare la carica con questa stessa finalità; questione mai ufficialmente presa in analisi dal comitato del Guinness, vista la natura quasi sovversiva dell’impresa di Duwal.
L’ecologia è importante, senz’altro. E non ci sono dubbi sul fatto che approcci simili, con tutto il ricco comparto tecnologico necessario a garantirne il funzionamento, potrebbero un giorno salvare l’aviazione in un mondo in cui le risorse energetiche si stanno esaurendo con rapidità allarmante. Ma il fascino dei motori a reazione resta difficile da trascurare, e resistergli, spesse volte, pare inappropriato. Così è significativo notare come, in effetti, il concetto di montare un simile apparato su un ultraleggero sia ben più vecchio degli aerei di Charmont e Piaf, risalendo addirittura all’epoca dei primi anni ’70, più meno in contemporanea con concezione del primo, normalissimo Colomban.

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Justin Lewis, intervistato in questo segmento di AirshowStuff, è uno degli ultimi piloti rimasti al mondo del Bede BD-5. Egli sfrutta la sua esperienza pregressa con i jet militari per compiere evoluzioni all’interno del pericoloso aeroplanino, abbellito nel suo caso da una caratteristica livrea cromata.

Il primo e più famoso jet ultra-compatto del mondo resta infatti il BD-5 Micro dell’americano Jim Bede, nato dallo stesso sogno di produrre un aeromobile che fosse acquistabile a distanza, in forma di kit da montare personalmente, con diverse configurazioni sulla base delle effettive necessità del cliente. Erano previste ad esempio varie motorizzazioni, poste nel mezzo della fusoliera in posizione arretrata rispetto al cockpit, tra cui quella di un Sermel TRS-18-046 in grado di sviluppare 225 lbf, per una velocità potenziale di 480 impressionanti Km/h. Il catalogo presentava, inoltre, due possibili versioni delle ali, che potevano essere più lunghe, per i lunghi tragitti, oppure corte per massimizzare le capacità acrobatiche dell’aereo. Il Bede BD-5 infatti, come fu ben presto ribattezzato, diventò quasi subito un momento particolarmente apprezzato di molti airshow, con compagnie come la Budweiser che ne acquistavano anche più di un esemplare, al fine d’impiegarli con finalità pubblicitarie. L’aereo non era tuttavia privo di problemi. Nel primo periodo di utilizzo su media diffusione, che derivò da una complessa gestazione progettuale con numerosi cambi di rotta nella scelta delle componenti, l’azienda produttrice subì una carenza di rifornimenti, ritrovandosi ad offrire unicamente al pubblico degli amatori la versione con ali accorciate, che era estremamente difficile da pilotare, e nel momento in cui ci si avvicinava allo stallo iniziava a comportarsi in modo radicalmente differente da quello di qualsiasi velivolo precedentemente utilizzato, soprattutto a causa del suo baricentro particolarmente basso. Così dei quattro esemplari forniti in questa configurazione, tre si schiantarono al momento del decollo, l’altro in fase di atterraggio. Tre piloti, purtroppo, persero la vita.

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Certo, anche l’ipotesi di sopravvivere fino a tarda età non è male. Chi ci tiene particolarmente, temo, dovrà necessariamente accontentarsi della versione ad elica del CriCri. O forse, addirittura, di restare una vittima inconsapevole della forza di gravità.

Il paragone più spesso utilizzato per questa classe di velivoli è quello della Smart. Un mezzo dalle prestazioni simili, almeno su carta, a quelle dei suoi principali competitors, ovvero nel suo caso le city car. Ma il punto principale è che se pure una mini-automobile si ferma, tutto ciò che occorre fare è accostare a lato della strada ed arrendersi alla spesa, e l’innegabile scocciatura, di chiamare il carro attrezzi. Mentre con l’aereo, le cose tendono a diventare un po’ più complicate. Forse è proprio per questo che simili dispositivi, normalmente, vengono forniti in scatola di montaggio, quando non ci si limita addirittura a venderne i progetti: affinché la famiglia di chi scelga di mettersi a rischio in modo tanto fuori dal contesto ragionevole, non possa poi incolpare nessuno della sua triste dipartita.
Come in ogni campo potenzialmente estremo, dunque, occorre mantenere una visione coerente dei propri limiti e capacità. Nonché informarsi, molto approfonditamente, su cosa sia possibile riuscire a fare, e cosa invece no. Ma una volta che si è grado di rispondere a tali prerequisiti, e previa una ragionevole presa di coscienza legislativa del proprio contesto di utilizzo, non c’è nulla a questo mondo che potrebbe mai fermarti dal raggiungere la meta! Lasciandoti alle spalle fuoco, fiamme e dubbi residui sull’appropriatezza dell’idea… Tranne forse, un passero accidentalmente risucchiato dal motore. O anche un grosso calabrone…

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