Il lago atomico: un viaggio verso il luogo più inquinato della Terra

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Alfred Nobel, che aveva lasciato istruzioni per istituire dopo la sua morte il premio più importante dedicato alla ricerca scientifica, è anche famoso per aver detto, verso la seconda metà del secolo ‘800: “La guerra è l’orrore degli orrori, il crimine più spaventoso. Vorrei inventare una sostanza o macchina che possa rendere le guerre totalmente impossibili.” E fu dietro questo auspicio, in forza della sua opera di ricerca e sperimentazione, che il mondo avrebbe ricevuto in dono la potenza distruttiva della dinamite. Ma i conflitti continuarono lo stesso indisturbati, anzi… Semplicemente, il terrore di saltare in aria non era sufficiente a bloccare l’avanzata degli eserciti. Ci voleva qualcosa di più potente. E ci vollero due guerre mondiali, con tutto il loro carico di morte e distruzione, perché a qualcuno in America venisse l’idea estremamente funzionale di spalancare l’atomo, per trarne fuori un’energia che il mondo non aveva mai neppure immaginato. All’alba di questa nuova epoca, prima ancora che l’opinione dei potenti potesse pienamente rendersi conto di che cosa stava succedendo, due città all’altro capo del pianeta vennero vaporizzate. E quella, come è noto, fu soltanto l’anticamera della rovina: mentre il fuoco delle radiazioni continuava ad ardere non visto dentro al cuore della gente, alterando fatalmente la funzione dei loro organi interni. A seguito di questo evento, nell’URSS rinata in veste di superpotenza, lasciata temporaneamente indietro, si avviava un meccanismo d’imitazione… Che definire “perverso”, sarebbe stato largamente riduttivo. Con il proseguire degli scontri oltre i confini, e prima che la Germania nazista cominciasse il suo lungo ed inarrestabile declino, uno Stalin molto preoccupato aveva già fatto radunare tutto il trizio, il plutonio e gli altri radioisotopi della nazione, ed aveva ordinato che fossero spostati in un luogo più sicuro. Sul confine d’Asia, presso il distretto di Chelyabinsk. E fu proprio in questo luogo, all’ombra della catena degli Urali, che avrebbe avuto inizio il programma sovietico per lo sviluppo di armi nucleari.
Fast-forward di una ventina d’anni: siamo nel 1965, nel bel mezzo dell’Era Glaciale Internazionale (più comunemente definita guerra fredda) quando negli Stati Uniti viene iniziato il programma definito in codice operazione Plowshare (dall’espressione biblica “Ed essi trasformarono le proprie spade in aratri”) consistente essenzialmente nella sperimentazione delle cosiddette PNE: le Esplosioni Nucleari Pacifiche. Chiamatela, se volete, una sorta di lucida pazzia, o il trionfo degli ossimori senza ragioni di conflitto; fatto sta che nel sottosuolo del Nevada, presso le pianure Yucca, vennero fatte detonare 12 milioni di tonnellate di terra, creando il più vasto cratere artificiale del mondo. E qualcosa di simile, dall’altra parte del muro, avvenne presso il fiume Chagan in Kazakistan. Tutto questo, soltanto per testare l’idea. Che intendiamoci, in linea di principio non era male: persino oggi, l’impiego principale della dinamite di Alfred Nobel è di tipo civile, per la demolizione di edifici, la prospezione mineraria, l’eliminazione di ostacoli paesaggistici al progresso e così via… Dunque perché mai, si pensò allora, la bomba atomica non avrebbe dovuto trovare impieghi simili nel secolo della fragile “pace”? Dopo tutto, essa era più efficiente, più potente, più efficace ed a parità di portata, più economica, persino! Quel fiume nel bel mezzo della steppa, oggi, c’è ancora. Soltanto che, nella parte fatta oggetto dell’esperimento, si trasforma in uno specchio d’acqua di 100.000 metri cubi, detto Balapan, o più informalmente ed in modo certamente memorabile, il Lago Atomico. Così è proprio nei dintorni di questo luogo che si svolge il nostro video di apertura, presso il piccolo villaggio kazako di Sarzhal.

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L’intera Asia Centrale è disseminata di siti soggetti a radiazioni residue, come questo pascolo del Kirghizistan, per visitare il quale Simon Reeve ha ritenuto opportuno dotarsi di una tuta protettiva completa.

La bomba impiegata per scavare questa voragine era di un tipo concepito attivamente per ridurre il fallout radioattivo. Eppure, qualche effetto a lungo termine DEVE  esserci stato. Benché non esistano come in altri casi più eclatanti, statistiche sull’effettiva incidenza di cancri e tumori nella regione, dalla caduta dell’Unione il lago di Chagan viene tenuto d’occhio da diverse organizzazioni internazionali, che ogni anno puntualmente registrano la presenza di radiazioni superiori alla quantità considerata nella norma. Per essere, immancabilmente, ignorate. Lo stesso anziano signore fatto oggetto dell’intervista racconta della volta in cui ebbe ad accompagnare uno scienziato sud-coreano presso il lago, che al momento di riporre il contatore Geiger, non poté esimersi dal chiedere: “Ma voi DAVVERO, vivete qui vicino?”
Il fatto è che la maggior parte delle sostanze pericolose per la salute umana, ovvero i prodotti collaterali della fusione nucleare stessa, non sono concentrati nell’acqua, bensì nei cumuli di terra scagliati in ogni direzione al momento dello scoppio. Proprio per questo, non c’è una contaminazione diretta delle falde, con conseguente speranza di interventi istituzionali. Persiste soltanto il sospetto, l’orribile idea, che in qualche maniera i veleni aleggino nell’aria, condizionando ed abbrevviando notevolmente l’aspettativa di vita degli abitanti di questi luoghi già piuttosto desolati. Come sarà a questo punto certamente chiaro, dunque, nonostante i suoi notevoli problemi, il lago di Chagn non è formalmente il più inquinato della Terra. Un primato per rintracciare il quale, occorre spostarsi di circa 4500 Km a nord-ovest, tornando al luogo citato nella nostra introduzione: lo stabilimento di ricerca nucleare di Mayak. Una struttura costruita in fretta e furia tra il 1945 e il ’48, sotto il timore di altre bombe provenienti dal recente alleato e nuovo nemico all’altro lato degli oceani e i continenti. Luogo in cui, come potrete certamente immaginare, la sicurezza dell’ambiente e dei lavoratori non era esattamente al primo posto in graduatoria delle cose ritenute “importanti” anche perché, purtroppo, molti degli effetti a lungo termine delle radiazioni ancora non si conoscevano direttamente. Pensate addirittura, che la prassi operativa prevedeva di scaricare le scorie prodotte dall’opera di ricerca direttamente nel fiume Techa, un affluente dell’Ob, che raggiungeva scorrendo rapido l’omonimo golfo nell’Oceano Artico, all’estremo nord del mondo. È difficile calcolare, a distanza di tanti anni e sopratutto a causa dell’alone di segretezza che aveva sempre avvolto questa intera regione “strategica”, l’effettiva quantità di sostanze nocive che vennero liberate senza ritegno nell’ambiente della regione degli Urali. Secondo il Dipartimento delle Risorse Naturali locale, si sarebbe trattato di almeno 250 milioni di metri cubi d’acqua contaminata, fino a 100 volte quella liberata dal recente disastro di Fukushima. Prima che a qualcuno venisse l’idea, tardiva ma teoricamente efficace, di approntare nel vicino lago di Karachay alcuni serbatoi sotterranei, in cui sversare l’acqua contaminata facendo affidamento su un potente sistema di raffreddamento. Un’idea destinata a rivelarsi, di lì a poco, esiziale.

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Nonostante la natura omnicomprensiva di Internet, è estremamente difficile trovare foto o riprese moderne effettuate presso il lago di Karachay. Dove, a quanto dicono, oggi dovrebbe trovarsi un monumento per commemorare il suo terribile destino; ma il turismo latita. Chissà perché.

Il 29 settembre del 1957, uno dei serbatoi con le scorie subì un guasto catastrofico, surriscaldandosi oltre il punto di recupero. Nel giro di poche ore, la pressione raggiunse un punto eccessivo, e la struttura esplose con la forza stimata di 70-100 tonnellate di TNT, scagliando nell’atmosfera una quantità pari di particelle velenifere sostanzialmente letali. Nel giro di 10-11 ore, la nube radioattiva si estese per centinaia di chilometri, costringendo all’evacuazione di 22 villaggi, per un totale di almeno 10.000 persone. L’evento di Kyshtym, dal nome di una delle comunità maggiormente colpite, è oggi considerato il terzo disastro atomico per gravità nella storia dell’uomo, dopo quelli di Chernobyl e Fukushima. Eppure, persino adesso, se ne parla molto poco. Il fatto è che all’epoca venne fatto moltissimo per mantenere la situazione lontana dall’attenzione internazionale, tamponando in segreto ogni potenziale fuga d’informazioni. Alle stesse persone colpite dalle radiazioni, venne diagnosticata una misteriosa “malattia speciale” da curare con medicinali la cui reale funzione non venne svelata fino a molti anni dopo. Studi successivi sono stati effettuati per giungere alla reale cifra delle persone che persero la vita in seguito alle radiazioni subite durante l’incidente, che viene potenzialente stimata sopra le diverse migliaia. Ma la difficoltà clinica nel distinguere l’origine di un cancro, unita all’inevitabile diaspora delle popolazioni in fuga dal luogo dell’incidente, ha sempre impedito la compilazione di uno studio che potesse dirsi realmente puntuale. Ciò che conosciamo invece per certo, è il destino a cui sarebbe andato incontro il lago di Karachay.

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Questa immagine misteriosa, pubblicata anche dal Daily Mail, mostra (forse) una delle strutture dello stabilimento di Mayak in rovina, affiancata a quella che potrebbe costituire… Una chiesetta ortodossa in riva al lago? L’azzurro invitante delle acque nasconde i letali veleni di un altro tempo.

Con notevole rapidità, presso il luogo dell’esplosione vennero portate intere squadriglie di ruspe ed altri mezzi pesanti, che ricoprirono di cemento le zone in cui si sospettava che la contaminazione potesse estendersi alle falde acquifere sottostanti. Così ogni forma di vita in esso contenuto, animale o vegetale, che non fosse istantaneamente stata spazzata via dal disastro, vide ridursi in modo sensibile il proprio habitat di sostentamento. Non è chiaro quale percentuale del lago sia rimasta effettivamente bagnata, benché si stima sia inferiore al mezzo chilometro, meno di un terzo della sua estensione originaria. Nel 1968, a seguito di un periodo di siccità, il lago si prosciugò del tutto temporaneamente, liberando nell’aria una quantità di particelle radioattive che colpirono, si stima, circa mezzo milione di persone. Eppure persino oggi, bagnarsi per pochi minuti in determinati punti del lago corrisponderebbe a morte certa, più o meno rapida a seconda della propria fortuna.
È certamente un bene, quindi, che siamo in Pace! Perché se questo è l’effetto delle nostre armi “migliori” quando vengono impiegate per il bene collettivo, immaginate cosa potrebbe succedere iniziando ad applicare anche soltanto l’accenno di suddivisioni… In linea col concetto secondo cui siamo tutti uguali, ma i diritti variano sulla base delle nazionalità, del credo religioso, della razza o del colore dei capelli. Ed allora, quando questa è la punizione riservata ai tuoi connazionali, cosa mai potresti fare, ai nemici che ti prendono di mira dalla cima della barricata?

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