Viaggio nella fabbrica dell’impossibile insalata

Aerofarms

Un nuovo marchio è presente, dal 2004, tra i prodotti vegetali dei supermercati di New York. Con un variopinto logo con foglie sovrapposte in tre colori che incorona la dicitura “Local Baby Greens”, riferita alle più popolari tipologie d’insalata raccolta tra i 15 e i 40 giorni dal momento della prima innaffiatura. E sotto a quest’ultima, lo slogan: “Orgogliosamente coltivato a Newark, New Jersey”. Il che potrebbe anche lasciare un po’ (molto) stupìti. Perché la Città del Mattone, come viene affettuosamente definito un tale agglomerato di oltre 500.000 persone, si trova a null’altro che 8 Km dall’isola di Manhattan, facendo parte a pieno titolo di una delle più vaste, popolose e celebri metropoli del mondo. Dove dovremmo quindi immaginarci questa magica coltivazione di lattuga, rucola, cicoria e crescione… Tra le aiuole di un affollato parco cittadino? Sopra i tetti di un possente grattacielo? Sotto terra, dentro a un’ex stazione della metropolitana? Ci stiamo avvicinando, ci stiamo… Ma la realtà è ancor più stupefacente, ed improbabile, di così. Tra le proprietà già pienamente operative della Aerofarms, compagnia coltivatrice di dette insalate, troviamo un infatti ex nightclub su Market Street e un’arena riconvertita per il paint-ball a poca distanza dagli argini del Passaic River, in cui al posto di luci, barriere e punti di riarmo, ora sorgono le innumerevoli file sovrapposte di un vero e proprio mare di cibo. Disposto per un’area orizzontale relativamente limitata, ma nonostante questo in quantità abbondante, perché in grado di sfruttare un tipo di spazio normalmente sconosciuto agli orti ed alle fattorie: quello della verticalità. Immaginatevi la scena! Voi che entrate dalla porta principale, di una tale installazione del futuro, per trovarvi innanzi a delle convincenti rastrelliere della sala server, una realtà operativa molto nota agli informatici di qualsivoglia ambiente, con tanto di ventole per il raffreddamento e la migliore circolazione dell’aria. Ma al posto degli strumenti tecnologici in questione, un grande spazio per ciascuna vasca, racchiuso tra una sottile membrana di stoffa ed un letterale coperchio di luci al led, facenti le veci del Sole e perennemente accese 24 ore su 24. Ciò che viene prodotto in questi luoghi, non è cibo metaforico per la mente (informazioni) bensì carburante appartenente al mondo fisico, perfettamente usabile al fine di consentire il proseguimento del fecondo status quo. E il tutto, impiegando una quantità d’acqua inferiore alla media di fino al 95%.
Ora se vuoi decideste di sostare per riprendere fiato e scendere a patti con l’allucinante modernità, scoprireste nel giro di pochi minuti la funzione dell’intero meccanismo. Perché su ciascun pezzo di stoffa, diversi giorni prima, erano stati disposti dei semi delle piante succitate, appositamente scelte per grandezza, caratteristiche e popolarità commerciale. Confidando pienamente nel miracolo della natura, che ad esse avrebbe consentito, nonostante le comuni aspettative, di riuscire a germogliare proprio lì, con le orgogliosi foglie a cogliere la luce artificiale dell’impianto elettrico cittadino e le radici…Sospese in aria, nello spazio sottostante della vasca, ben visibili attraverso le pareti trasparenti. Una pausa ad effetto. La consapevolezza improvvisa di trovarvi, per lo meno, in un ambiente attentamente climatizzato. Ottenuta poco prima del rumore, totalmente inaspettato, di uno spruzzatore di vapore d’acqua e soluzione nutritiva, posizionato sul fondo del recipiente a voi più vicino. Le sostanze da esso messe in circolo, quindi, sono state liberate innanzi all’influenza diffusiva delle ventole. Che con stolida certezza, la instradano verso la parte delle piante che dovrebbe, normalmente, essere custodita sotto qualche valido centimetro di terra.
Si tratta di una soluzione tanto contro natura, all’apparenza, da evocare suggestioni simili a quelle delle fattorie di uomini del film Matrix, da cui le occulte macchine senzienti controllavano ed estraevano potenza dall’inconsapevole umanità dormiente. Il che è tutt’altro che casuale: le fiabe e gli spauracchi di un’intera generazione, talvolta, traggono l’origine da manifestazioni fantasiose di un diffuso e vago senso di colpa. Quello di una società civile che da tempo, simile angustie le ha già inflitte al mondo naturale che occupa, più o meno abusivamente, con tutto il suo cemento, vetro e plastica, nel tentativo fallimentare in partenza di giungere a uno stato superiore di controllo. Chi dovesse tuttavia identificare, questa prassi della Aerofarms, come uno sfizio totalmente fine a se stesso, dovrebbe riconsiderare il suo punto di vista. Da soluzioni simili, in effetti, potrebbe dipendere la nostra stessa SOPRAVVIVENZA futura…

Indoor Harvest
La Indoor Harvest di Houston, Texas, produce un’ampia selezione di sistemi affini a quello della Aerofarms newyorkese, concepiti per la vendita su larga scala. In determinati ambienti, è l’opinione comune che un simile approccio alla coltivazione costituisca il passo chiaro ed evidente del futuro.

Si chiama aeroponica ed esiste, in una forma originariamente molto meno sofisticata, fin dal 1942, anno in cui il botanico e fitopatologo citato unicamente come Carter, W.A. impiegò per primo questo metodo, con lo scopo di poter esaminare attentamente le radici delle sue piantine. Seguirono una serie di altri esperimenti, finché nel 1957, per la prima volta, allo scienziato olandese Frits Warmolt Went venne in mente di testare questo metodo con finalità alimentari, piantando alcune piante di caffè e pomodori alla stessa maniera dell’insalata succitata, e provvedendo quindi a mantenere le radici umide con il suo fido nebulizzatore. Soltanto per scoprire, con sua notevole sorpresa, che le piante così coltivate risultavano più grandi, forti ed in salute delle loro controparti “normali” e soprattutto raggiungevano un’età adatta alla raccolta in una frazione del tempo atteso. A quel punto, la diffusione su larga scala della tecnologia appariva potenzialmente lucrativa, ed in giro per il mondo cominciarono a diffondersi i tre tipi principali delle miracolose coltivazioni contro-natura: l’idroponica, che consiste nel far crescere i vegetali all’interno di una soluzione d’acqua e sostanze nutrienti; l’acquaponica, consistente nella combinazione di detto metodo con l’allevamento di pesci, le cui scorie vengono sfruttate con funzione di concime; ed ovviamente, per finire, questo sistema delle radici sospese in aria, forse il più puro ed efficiente dell’intero ambito già in se profondamente innovativo.
Il primo prodotto indirizzato al cliente finale per praticare l’aeroponica in casa fu la Genesis Machine del 1983, prodotta dall’azienda GTi e denominata sul modello dell’apparato simile a una bomba rubato dal cattivo del film Star Trek II: l’ira di Khan (1982) teoricamente in grado di creare o distruggere interi pianeti. Mentre la versione fisica, naturalmente, si limitava a costituire una pratica soluzione tutto-in-uno, completa di scatola e nebulizzatore, per far crescere l’insalata in casa, avvalendosi di un collegamento alla corrente e ad un comune rubinetto dell’acqua. Certo, simili sistemi simili a un progetto fai-da-te non avranno fatto molto per combattere la fame nel mondo. Ma di certo avranno contribuito ad accrescere la fiducia collettiva in un sistema che potrebbe rivoluzionare, di qui a poco, il concetto stesso della fattoria.

Self-made Aeroponics
Costruirsi da soli la propria vasca per l’aeroponica non è difficile: basta procurarsi una serie di componenti, anche online, e prendere visione di uno dei numerosi tutorial presenti su YouTube. Questo in particolare, del canale BrightGreenThumb, mi è parso particolarmente chiaro ed esauriente.

Più veloce, quindi, meno dipendente dal clima e, per sua stessa imprescindibile natura, totalmente privo di parassiti (vi ricordo che siamo al chiuso) e quindi libero dall’impiego di alcun tipo di pesticidi. Inoltre in grado di conservare per altri utilizzi il suolo fertile e l’acqua del pianeta, risorse tutt’altro che infinite. Certo, quando ci si trova di fronte ad un sistema che non pare avere lati negativi, la ricerca di una ragione per prenderne le distanze diventa automaticamente il passatempo preferito di un’intero stuolo di detrattori “per princìpio”. Chiamatela, se volete, una sorta di reazione d’istintiva diffidenza, usata dagli umani per proteggersi dagli eccessivi voli pindarici dell’entusiasmo. Il primo problema apparente è quello del dispendio di energia: è vero che alcune risorse vengono così risparmiate, ma ciò a conti fatti non può bastare per salvare il pianeta! Che dire infatti del petrolio, del carbone o dell’uranio fatti ardere affinché le luci artificiali possano continuare a nutrire le piante… La limitazione principale del sistema dell’aeroponica, ad ogni modo, resta quella relativa al tipo di vegetali per cui può essere efficientemente utilizzata. C’è un’ottima ragione, in effetti, se tutto quello per cui viene sfruttata con profitto, ad oggi, sono le insalate baby della classe che in America la gente definisce con moderato entusiasmo “leafy green” (verde foglioso). I principali cereali fatti oggetto della nostra quotidiana consumazione infatti, come grano o farro, per non parlare di carote, piselli o legumi, porterebbero al problema di un fusto principale della pianta notevolmente più alto, rendendo la soluzione con le vasche sovrapposte estremamente poco pratica, ed allungando molto il tempo di lavorazione richiesto. Per quanto concerne la frutta poi, la necessità di disporre di insetti impollinatori risulterebbe estremamente difficile da implementare. Alcuni esperimenti ben riusciti, tuttavia, sono stati condotti con zucche e cocomeri, che potrebbero costituire la prossima frontiera di questo avveniristico campo della botanica applicata all’alimentazione. Altri critiche mosse al sistema, inoltre, includono la dubbia provenienza della “sostanza nutriente” nebulizzata, che dovrebbe teoricamente includere anche i sali minerali che le piante trarrebbero in condizioni normali dal suolo. Mentre è estremamente difficile nel presente caso, immaginarne l’entità!
Tutti coloro che hanno assaggiato le insalate della Aerofarms, ed hanno quindi avuto l’occasione di effettuare una comparazione immediata con altri prodotti, si sono trovati ad ammettere una qualità del sapore decisamente superiore alla media. Per alcune specie di piante come la Brassica oleracea (il cavolo domestico) addirittura la procedura darebbe luogo a foglie più morbide e quindi gradevoli al palato, costituendo quindi un oggettivo miglioramento rispetto al prodotto della coltivazione tradizionale. Il successo sul mercato, quindi, appare assicurato. E non c’è quindi molto da sorprendersi, per il finanziamento di 20 milioni di dollari ricevuto dalla compagnia ad opera di un’associazione d’investitori inglesi, il Wheatsheaf Group, finalizzato tra le altre cose all’apertura di una nuova struttura all’interno di una fonderia dismessa di Newark, che con i suoi 21.000 metri quadri costituirà al momento dell’inaugurazione la più grande fattoria aeroponica del mondo. Immaginate il fabbisogno d’insalate di un’intera città, coperto interamente da un unico, colossale edificio…Niente più costi di trasporto su lunghe tratte, niente più sprechi.
Che cosa potrebbe mai essere meglio di questo? Soltanto una cosa: che il ristorante stesso, o il supermarket, disponessero ciascuno della loro grande rastrelliera, per far crescere direttamente i vegetali sotto l’occhio scrutatore ed attento dei clienti. Ma sai che disastro, allora, con le bollette dell’acqua e della luce…

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