Se Pac-Man fosse un microbo, come diventerebbe il fantasmino?

Microbe PacMan

Una domanda Importante. Per uno studio biologico dal peso…Effimero, proprio come ti aspetteresti dalle regioni del meravigliosamente piccolo, ove 50 µm (micrometri) sono sufficienti a contenere testa, corpo e coda, anzi pardon, flagello, l’unico organo di moto o arto che dir si voglia ad essere presente nella dotazione fisica di molte specie di protisti nuotatori. Minuscole creature, affini al regno dei batteri nella classificazione tipologica, benché molto più grandi e niente affatto somiglianti ad essi, per caratteristiche, aspetto e potenzialità. Ma nessuno sa davvero dove posizionarli, all’interno dell’enciclopedia. Roba da farti venire voglia di metterli alla prova, per comprendere non solo ciò che li distingue, ma anche i pochi punti che li accomunano a noi giganti, animali eucarioti con tanto di membrana cellulare, cervello e muscoli prestanti. Così come fatto, per l’appunto, dai membri di un gruppo di studio del College Universitario del Sud-Est della Norvegia, che procuratisi una certa (notevole) quantità di queste creature ha costruito, sfruttando l’assistenza del film-maker Adam Bartley, la più fedele riproduzione di un classico della sfida contro se stessi, e le gravose circostanze: un ambiente rettangolare al centro, tre mezze T sopra di esso, altre due rivolte verso il basso. Segmenti paralleli a profusione e alcune scatole più grosse, pareti impenetrabili ed impressionanti. L’avete riconosciuto? Certo che si. Bastava leggere il titolo! È un luogo, questo, bene impresso nella mente e nella memoria di qualunque giocatore digitale che si rispetti, ma anche del conoscitore medio della cultura Pop degli ultimi 30 anni: il labirinto della cosa che fa PAC-PAC-PAC, divorando pillole giallognole mentre i quattro spettri Akabei, Pinky, Aosuke e Guzuta (in Occidente Blinky, Pinky, Bashful e Clyde) fanno di tutto per riuscire a catturarlo e liberarsi della sua presenza indesiderata. Uno scenario, all’apparenza, indubbiamente fantasioso, creato all’epoca dal designer Tohru Iwatani per la sua casa produttrice di macchine da sala giochi, la Namco. Che tuttavia grazie a quanto qui dimostrato, sembrerebbe avere qualche cosa di più simile alla vita reale di quanto chiunque, tra i suoi estimatori, avrebbe mai pensato di affermare.
Il primo punto distintivo della scena è la sua straordinaria piccolezza: l’intero labirinto così ricreato misura in effetti appena un millimetro, e si trova ospitato su di un semplice vetrino da microscopio. Mentre i suoi diversi occupanti, come potrete facilmente desumere al primo sguardo, non raggiungono che una frazione di tale misura già considerata poco significativa. Ve ne sono, ad ogni modo, di tre tipi. Due pacifici ed uno straordinariamente vorace ed aggressivo. Ma andiamo con ordine: i più comuni, e rapidi, attori della scenetta sono dei normalissimi ciliati, micro-organismi unicellulari che si trovano nelle pozze o specchi d’acqua di ogni parte del mondo. Facilmente riconoscibili per l’approccio evolutivo assai particolare da loro selezionato per risolvere il problema della locomozione, ovvero l’impiego di un certo numero di flagelli di entità ridotta tutto attorno al loro corpo, caratterizzati da una forma più ondulata per facilitare il direzionamento della marcia verso il cibo, la compagna o il bisogno ancor più basilare di mettersi in fuga da un pericolo che incombe. Cosa che qui, dovranno fare molto presto e di frequente. Alcuni in effetti, non si capisce se scherzosamente o con assoluta sincerità, lamentano nei commenti la loro percezione dell’intera faccenda come una sorta di violenza sugli animali, per quanto insoliti, privi di colpe e meritevoli di un ulteriore senso di rispetto. Peccato soltanto che nessuna delle creature fin qui citate, in effetti, sia un animale.

Euglena Viridis
Gli Eugleria ci appaiono relativamente placidi se disposti in un comune vetrino, mancando di dimostrare la sveltezza e l’iniziativa messe in evidenza durante la sfida pseudo-ludica dell’università norvegese.

Il che ci porta alla domanda fondamentale, ovvero: perché tutto questo? Da cosa nasce l’esigenza di un team di scienziati adulti e vaccinati, con probabili finanziamenti di varia natura, a costruire l’analogia microscopica di un vecchio videogame? La risposta è meno facèta di quello che si potrebbe pensare. Il Prof. Erik Andrew Johannessen, capo del progetto, ha infatti rilevato come l’osservazione dei microbi all’interno del classico vetrino possa trarre facilmente in inganno. In assenza di pericoli, e potendo muoversi liberamente in ogni direzione, queste creature assumono in effetti un comportamento letargico e poco credibile, completamente diverso da quello adottato all’interno dei cunicoli e i pertugi dei loro ambienti naturali, pieni di muschio, detriti ed ostacoli di vario tipo. La scelta di impiegare il labirinto di Pac-Man, poi, nasce semplicemente dal bisogno di far parlare più a lungo della loro opera.
A seguire, nel piccolo brodo gladiatorio messo assieme e poi ripreso per il pubblico divertimento, come in una sorta di perversione dell’antico Colosseo, figura il popolo verdolino degli Eugleria Viridis, altri protisti unicellulari più spesso associati al concetto di alga, benché capaci di muoversi e dotati di stigma, un organello simile ad un occhio rossastro ed in grado di percepire la direzione e l’intensità della luce. Creature rigorosamente verdi perché dotate di una certa quantità di clorofilla, assolutamente necessaria alla loro sopravvivenza. Siamo infatti di fronte a degli esseri spesso autotrofi, ovvero in grado di trarre sostentamento solamente dalla luce del Sole, benché essi non disdegnino affatto, quando possibile, di fagocitare un qualsivoglia rivale più piccolo che dovesse capitargli a tiro. Impresa tutt’altro che intuitiva, visto come a simili protisti manchi in effetti la bocca, ed essi debbano procedere nel pasto inglobando integralmente la particella che intendono trasformare in energia, per poi lasciare che i propri pirenoidi, corpi densi a base di amido e vitamine A e D, mettano da parte il risultato per sfruttarlo nei periodi di poca luce naturale.
Simili protisti, benché associati in via informale al regno vegetale, risultano comunque in grado di muoversi veloci quando necessario, grazie all’uso del più grande dei loro due flagelli in posizione arretrata, facilmente visibile quando li si osserva al microscopio. Diversamente da quanto succede col secondo di questi organi facente parte della loro dotazione, molto corto e ben racchiuso all’interno della stessa cellula vagante. Per quanto concerne la riproduzione, e a differenza dei ciliati, questi microbi sono asessuati, risultando invece in grado di sdoppiarsi attraverso la scissione binaria, che effettuano soltanto un volta raccolte le sostanze nutritive necessarie alla sopravvivenza a breve termine delle due metà oramai distinte. Un proposito tutt’altro che scontato, specie nella situazione presente dell’esperimento norvegese, in cui il pericolo in agguato appare di un’entità letteralmente sovradimensionata…

Rotifera
Il terrore al centro del labirinto, un caposaldo del concetto di epica fin dalla sua stessa concezione. Ma neppure i greci avrebbero saputo concepire un mostro tanto piccolo e terrificante…

Abbiamo iniziato questo articolo con una domanda, a cui giunti a questo punto, sarà indubbiamente necessario fornire la spaventevole risposta. Chi è il peggior fantasma del mondo dei microbi? Quale essere risulta più temuto, e potenzialmente letale, per tutto quello che galleggia all’interno di un secchio, una bacinella, una pozzanghera, cercando null’altro che la collettiva serenità e proliferazione…Nient’altro che lui, l’animale “con la ruota”, scientificamente definito come appartenente al phylum dei Rotifera, che tutto trangugiano impiegando la loro pericolosissima corona simile alla testa di una trivella. Siamo qui del resto, come si potrebbe forse desumere dall’aspetto della creatura, di fronte ad un essere dalla complessità e dal grado di sofisticazione totalmente differente dai suoi compagni di confronto miniaturizzato, appartenente quindi al nostro stesso dominio degli eucarioti. Il che significa che esso non è più una singola cellula, ma un’agglomerato di esse, ciascuna delle quali già dotata di una membrana esterna utile a separarla dalle sue vicine e proteggerla dai predatori. Esattamente come avviene nell’organismo di un cane, gatto o del padrone di entrambi, ovvero l’umano spesso inconsapevole di ciò che ha dentro. C’è tuttavia una significativa differenza tra noi e questi esseri microscopici, ovvero la condizione di questi ultimi definita eutelia, che consiste nell’essere in possesso di un particolare numero di cellule, invariabile da un individuo all’altro al raggiungimento dell’età adulta. Nel caso dei rotiferi, esattamente 1.000.
Queste creature possono essere planktoniche (in grado di muoversi) o sessili (saldamente fissate al substrato) grazie al rispettivo sfruttamento, in ciascuna specie, del peduncolo retrostante, esteticamente non così dissimile alla coda di un pesce. Essi danno inoltre un contributo fondamentale nella rigenerazione del suolo e nella decomposizione delle sostanze organiche, risultando un’aggiunta molto utile a qualsiasi tipo di acquario. Ma di tutto questo, ad un malcapitato ciliato o a un’eugleria, interesserà davvero molto poco. Perché tutto quello che essi vedranno, all’avvicinarsi del pericoloso predatore dalla parte della testa, sarà la struttura a doppio anello rotante fornito di piccole ciglia, in grado di sviluppare una vortice d’attrazione a cui nessuno, tra loro, potrebbe mai sperare di scampare. Essere divorato da un rotifero, tra l’altro, non ha nulla dell’oblio incruento causato dal tipico microrganismo inglobatore, essendo il qui presente mostro dotato di una caratteristica faringe masticatoria, detta mastax, ricoperta di strutture calcificate che fanno letteralmente a pezzi le piccole creature, non appena aspirate. Superato questa fase, quindi, il cibo viene scomposto all’interno di un vero e proprio stomaco, mentre le parti non digeribili sono escrete dalla cloaca retrostante. Difficilmente si potrebbe immaginare una coesistenza simbiotica tra questa creatura e un organismo più grande, come avviene invece con alcune specie di parassiti benevoli presenti all’interno del corpo umano. Un singolo rotifero potrebbe fare facilmente terra bruciata tutto attorno a se.
Eppure questa è la realtà: noi esistiamo, perché loro esistono. E non soltanto in funzione della maniera, pluri-millenaria, in cui le cellule hanno appreso il modo per coesistere e specializzarsi. Persino adesso, molto di quello che mangiamo, l’acqua che beviamo, persino l’aria che respiriamo è permeata dall’esistenza della vita stessa, nella versione più semplice ed onnipresente del nostro vasto pianeta. Conoscere i microbi, a questo punto, diventa molto più che un’avventura scientifica finalizzata alla compilazione di articoli piuttosto interessanti. Si tratta di un acquisizione di consapevolezza che, in effetti, potrebbe condizionare la nostra stessa sopravvivenza.

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