La leggendaria cabina telefonica nel deserto

Desert Phone Booth

“Si pronto, qui è il Mojave…” Qualche secondo di silenzio “Eh, siamo appena arrivati. Proprio così: 75 miglia da Las Vegas, su strade parecchio accidentate e quel che è peggio, nell’ultimo tratto, fangose…Come dice? Il clima? Fa piuttosto caldo, intorno ai 100 Fahreneit (sono 39 Celsius o giù di lì)” L’uomo getta un lungo sguardo tutto attorno a se: “D’accordo, gliela descrivo. Il telefono è di un tipo piuttosto vecchio, risalirà ai tardi anni ’70. Ci sono…Ci sono alcuni fori di proiettile. I vetri sono stati rotti, credo da parecchio tempo. Qualcuno ha scarabocchiato frasi e graffiti di ogni tipo sulla struttura metallica della cabina. Roba tipo: Dave è stato qui. Oppure, Josh & Ilona dentro a un cuore. Ah, qualcuno ha ritagliato la sagoma di un cane nel cartone, quindi l’ha incollata in alto. Non so, sarà stato il suo cane.” Il filo non è abbastanza lungo per girare attorno alla struttura in oggetto alla conversazione, tuttavia è possibile notare altri piccoli dettagli. Ci sono piccole offerte, nello stile di un bizzarro tempietto naïf: una testa di bambola, mucchietti di pietre colorate, calamite da frigorifero. Tuttavia, l’interlocutore non pone altre domande. E chi era tanto fortunato da trovarsi in tale luogo, poco prima della rimozione di quello che sarebbe diventato un vero pezzo di storia di Internet e del Nevada, probabilmente preferiva non dilungarsi troppo nelle descrizioni. Perché restare bloccati in un’unica conversazione, quando c’erano in ogni dato momento 100, 200 persone differenti, tutte intente a chiamare lo stesso numero ossessivamente, giorno e notte, mattina e sera, in funzione dei diversi fusi orari…”D’accordo, si, si. È stato un piacere. Così è di Birmingham, mi sta dicendo? Che ha fatto il Liverpool domenica scorsa? Uh, ok. Scriverò il suo nome nel mio quaderno. Arrivederci e grazie, dagli Stati Uniti d’America!”
Rappresentazione. Focalizzazione. Fuoco interiore ed esteriore della conoscenza: comunicare significa, in buona sostanza, trasformare l’integrale complesso delle proprie esperienze individuali nella struttura di sostegno di un edificio temporaneo, finalizzato ad essere preso in analisi da una seconda mente. Non si pensa spesso alle profonde implicazioni di un tale proposito, ne a quanto sia comparabilmente più semplice la vita di un’animale come la medusa, che può lievemente fluttuare, senza considerazioni del suo prossimo e la situazione di contesto. Che forse più di ogni altra cosa, ci condiziona: prova tu, ad alzare la cornetta per rivolgerti al conduttore di un programma Tv in diretta, e vedi quanto sarà difficile non far tremare la tua voce. Prova invece, dall’interno di un’azienda, a contattare i fornitori in forza del tuo ruolo, infuso dell’energia cumulativa di anni di proficua collaborazione. Ma niente forse è comparabile al gesto di chi si ritrovi, unica persona nel raggio d’innumerevoli chilo-miglia, a rispondere facendo le veci del cactus, del coyote, del road runner. Non c’è quindi molto da sorprendersi, per l’esistenza di un punto d’interesse come questo, che fu trasfigurato su scala internazionale grazie all’opera pionieristica di una singola persona, che precorrendo indubbiamente i tempi, si ritrovò al timone di uno dei primi fenomeni virali del nascente web, che potesse realmente dirsi di facile fruizione, discussione, commento. Il suo nome era Godfrey Daniels, ma già allora tutti lo chiamavano “The Deuce of Clubs” (il 2 di bastoni, che poi da quelle parti tutt’altro che napoletane, non erano altro che il cartaceo seme dei fiori). Tutto iniziò nel maggio del 1997, o almeno così recita la storia, con un concerto della band di Tacoma delle Girl Trouble, che costui si era recato ad ascoltare, come suo solito, durante una tournée dalle sue parti a Phoenix, Arizona. Occasione durante la quale, strano a dirsi, la sua amica batterista Bon, una componente fondamentale del gruppo, gli fornì la rivista auto-pubblicata dal gruppo, parte della coda ormai sempre più sottile del fenomeno delle ‘zine, un tipo di espressione personale che sarebbe ben presto scomparsa, con la nascita del web 2.0, i blog ed ancor maggiormente, i nostri odierni social network. Ora tra le pagine di una tale opera d’ingegno, il cui titolo era “Wig Out!” trovava posto la lettera di un anonimo abitante della California, il quale raccontava una bizzarra storia. Di come, notando su una cartina del deserto del Mojave un improbabile icona del telefono nel mezzo all’assoluto nulla, costui avesse scelto di recarsi a visitarla con la sua jeep. Trovando, incredibilmente, un simile segno strutturale di modernità, nel mezzo dell’assolato ed assoluto nulla… E costui fece anche di più: riportò nella propria missiva, prontamente inserita tra le pagine in bianco e nero del giornaletto, il numero di telefono di un tale luogo: (619) 733-9969. A quel punto, Daniels prese una fondamentale decisione. Egli avrebbe chiamato e chiamato un tale numero, finché qualcuno non avesse risposto. E poi,

Nota: il video di apertura è un reportage creato dallo YouTuber DesertTripper, durante la sua visita alla cabina del 10/1/1999. Trovandosi nel luogo nel momento di maggiore celebrità dell’intera situazione, quando il numero della cabina veniva fatto rimbalzare tra agenzie di stampa, siti web e giornali di ogni parte del mondo, durante il suo breve soggiorno il telefono non tacque mai.

Per sua e nostra fortuna, The Deuce of Clubs aveva, come propensione personale e/o professionale, una serie di abilità che oggi potremmo dare quasi per scontate, soprattutto tra le nuove generazioni, ma che allora erano tutt’altro che tali. Egli sapeva infatti non soltanto come accendere un computer, ma possedeva i concetti di base dell’hosting, la pubblicazione in HTML, l’auto-promozione tramite i neonati motori di ricerca; proprio così, plurale. Google, allora, non era che una delle molte teste pronte a spiccare il volo dal nido. E sul suo sito, lui scrisse dell’esistenza della cabina, e narrò mano a mano la sua storia di ricerca e realizzazione personale. Dapprima, la vicenda si svolse per gradi. Daniels cominciò a chiamare il sacro numero ogni singolo giorno della sua vita, tenendo un dettagliato diario con gli orari. Si era fatto un appunto sullo specchio del bagno: “Oggi hai chiamato nel Mojave?” E ogni ospite che passasse da casa sua, veniva messo al corrente della sua ossessione, e costretto anche lui a tentare la fortuna. Ma come sarebbe stato facile da immaginare, nessuno rispondeva. Finché, finché…
Passò un mese. Era luglio del 1997 quando, per un incredibile caso del destino, quando il telefono squillò di nuovo…”qualcuno” rispose. Il suo nome era Lorene, e si trattava di un’impiegata (si scoprì dopo, proprietaria) della miniera della riserva naturale di Aiken, una vecchia istituzione locale, finalizzata alla raccolta della pietra vulcanica impiegata per fabbricare i foratini degli Stati Uniti (grossi mattoni cementizi, o come in questo caso, di aggregati naturali). Così da lei il tecnocrate apprese, nel corso di un’ampiamente documentata conversazione che rasenta il surreale, di come la cabina fosse sempre esistita, a memoria d’uomo, addirittura dai tempi in cui al suo interno c’era il vecchio tipo di telefoni a ghiera rotativa, ed ancora prima, a manovella magnetica. Forse fu proprio allora che lui decise che il suo scopo nella vita, sarebbe diventato renderla grande.

Desert Phone Booth 2
La cabina del Mojave: residuo di epoche ormai trascorse, soffiate via nella polvere dal vento. Il suo squillo riecheggia ormai nella memoria…

La prima visita avvenne il mese dopo, in agosto, con l’occasione dell’annuale festival del Nevada del Burning Man. Durante tale evento Daniels, come da suo attento piano, prese in affitto un veicolo 4×4 e si recò, assieme ad alcuni amici, a seguire la fila dei pali telefonici, oggi ritenuta a posteriori come la più lunga ininterrotta nella storia degli Stati Uniti (forse, del mondo intero?) Che si diceva fosse talmente estesa, da funzionare come un’antenna, captando ed amplificando i disturbi elettromagnetici causati da temporali distanti. E come qualcuno già prima di loro, nonché molti altri dopo, gli eroi esploratori riuscirono a trovare la figurativa pentola d’oro. Da cui il loro fiero condottiero, neanche a farlo a posta, scelse subito di chiamare Dennis Casebier, la figura di un accademico studioso del Mojave, che in precedenza l’aveva assistito nella localizzazione del misterioso orpello telefonico tra valli remote. Da lì, fu un crescendo.
L’ormai semi-mitico gestore del sito deuceofclubs.com, ormai più vecchio del concetto stesso di ciò che Internet sia e dovrebbe essere nel contemporaneo, ritornò presso la cabina altre quattro volte, ciascuna delle quali oggetto di un capitolo della sua epopea in anti-diluviano <html> di base (ci sono persino, meraviglia delle meraviglie, i FRAME) In un caso, vi fotografò il suo celebre busto del compositore Wagner, che nel corso di un suo altro tentativo di creare un meme virale, stava portando ormai da qualche anno in giro per il mondo. In un altro caso, apportò riparazioni spontanee alla cabina, piazzandovi di fronte un cartello che dissuadesse gli abitanti locali dal continuare a sparargli, con il presumibile proposito di mettere alla prova i loro ultimi, bellicosi acquisti. Il suo seguito crebbe nei mesi e negli anni, finché sul finire del 1998, ormai, sul web erano sbocciati spontaneamente altri siti di persone che si erano recate lì, lasciando la propria testimonianza tangibile presso la strana meta da pellegrinaggio. A quel punto, lì c’era un passaggio se non proprio continuo, piuttosto sostenuto, tanto che molti di coloro che facevano la scelta avventurosa di chiamare il (619) 733-9969 ottenevano, alquanto incredibilmente, una risposta. Ma la situazione era destinata ben presto a sfuggire di mano…

Aiken's Mine
La miniera di Aiken – Via DeathValleyJim

Successe infatti, ed a posteriori ciò fu deleterio, che il Los Angeles Times pubblicasse un interessante articolo sulla cabina del Mojave. Un pezzo giornalisticamente ineccepibile, e decisamente ben scritto dal suo reporter John M. Glionna, in cui si parlava dell’incredibile atmosfera di questo luogo, e venivano intervistati alcuni dei personaggi che negli anni vi si erano affollati con collettivo entusiasmo. Gente come Rick Karr di 51 anni, un uomo che aveva sentito la voce dello Spirito Santo che lo induceva a recarsi fin lì, per rispondere a una chiamata predestinata. O Bubba di Phoenix, che veniva alla cabina appositamente per intrattenere misteriose conversazioni con un certo “Sergente Zeno del Pentagono”. La questione, quindi, venne ripresa su scala internazionale, e il numero dei visitatori raddoppiò più volte. Complice la relativa vicinanza con la città di Las Vegas, la cabina divenne il punto di ritrovo di una sotto-cultura chiassosa e disallineata, per certi versi conforme a quella del festival del Buring Man. Che come è largamente noto, fu più volte esiliato prima di trovare la sua duratura, ed ancora attuale, collocazione nel bel mezzo delle saline del deserto di Black Rock. Ma i minatori si lamentarono. I ranger della riserva protestarono. I proprietari di fattorie, dissero che l’aumento del traffico disturbava le loro mucche. Così nel maggio del 2000, in un’ingloriosa giornata, una squadra operativa della Pacific Bell, la compagnia telefonica di bandiera, si recò presso l’insolito monumento e senza troppe cerimonie, lo smontò. Più tardi, qualcuno posizionò una lapide dalla foggia funerea al posto della cabina, ma anche quella fu rimossa. Da quel momento, il meraviglioso, inimitabile (619) 733-9969 avrebbe taciuto, si ritenne, per sempre.
Ma alquanto incredibilmente, così non fu. Il numero fu infatti acquisito a luglio del 2013, per vie traverse e misteriose, dal noto consulente per la sicurezza (viz. hacker) Jered Morgan, alias Lucky225, che lo ridirezionò sul suo centralino VoIP. Presso il quale, a quanto pare, fu fin da subito possibile chiamare a qualsiasi ora del giorno e della notte, ritrovandosi istantaneamente connessi con chiunque stesse facendo la stessa cosa in quel preciso, fatidico momento. Più tardi, al numero fu aggiunta la funzione, nel caso in cui nessun altro fosse in linea, di riprodurre una versione audio del libro “Exploding the Phone” di Phil Lapsley. Permettendo così, in qualche maniera e una misura certamente ridotta, al mito di sopravvivere fino alla prossima generazione. Almeno. E Daniels? Anche la sua storia ebbe un seguito. Convintosi, in forza dei moderni risvolti del web 3.0 (o forse siamo ormai al 4.0? Chi può dirlo…) Che sulla storia che aveva tanto faticosamente creato si poteva, forse forse, pure guadagnare, presentò la sua idea al portale di crowd-funding Kickstarter, riuscendo ad ottenere nel 20 settembre del 2014 un finanziamento di 8,773 dollari per la pubblicazione del libro “Adventures with the Mojave Phone Booth”. Che allo stato attuale delle cose, non è ancora stato pubblicato. Ma considerando, come riportato orgogliosamente dall’autore, che si tratta del coronamento di “oltre 10 anni di lavoro” non credo che il ritardo vada criticato. Certe insolite realtà, sono come i dinosauri. Non spariscono col giro delle Ere, bensì si fossilizzano. Diventando più preziose.

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