Può bastare una persona per scavare un tempio di arenaria?

Ra Paulette

Benedetta geologia. E vivere davvero in New Mexico, conoscerne gli spazi naturali fuori dal contesto cittadino, significa acquisire dimestichezza per lo meno visuale con un certo tipo di pietra sedimentaria che non è un tutt’uno. Bensì un ammasso senza fine d’insignificanti granuli, accorpati tra di loro grazie alla matrice, una mescolanza di argilla, calcite, feldspati e miche, che l’antica acqua marina, o più recenti infiltrazioni di torba, hanno trasformato nel giro dei secoli in cemento. Arenaria, abbiamo scelto di denominarla, e il fatto vuole che talvolta, se l’orecchio è adeguatamente allenato, sia possibile sentire il suo richiamo di rimando. “Venite! Vieni! Scavami!” Perché non c’è altra roccia, in questo mondo, che sia al tempo stesso così resistente alla compressione, tanto da poter costituire il cuore di montagne intere, ma friabile se abrasa, con i giusti strumenti, plasmata come una sostanza per le costruzioni dei bambini. Quasi altrettanto… Facilmente? Lo sapevano i Romani, che da un tale materiale famosamente trassero la Porta Nigra di Treviri in Germania, un edificio alto 30 metri che formalizzava il maggiore punto d’ingresso cittadino, nonché l’intero forte di Castlefield, non troppo distante dal fondamentale magnum castrum, luogo strategico nel North West dell’Inghilterra. Così come gli abitanti successivi delle regioni circostanti quella stessa regione di Collyhurst, che dalla famosa pietra trassero innumerevoli chiese, ivi inclusa la svettante cattedrale anglicana di quella che sarebbe diventata, a un certo punto della loro storia, la città di Manchester – Per un processo di mutazione fonetica dal termine latino, sia chiaro. Ed altrettanto bene, senza dubbio, deve aver udito la pietrosa voce l’americano Ra Paulette, originario dell’Indiana ma che laggiù in New Mexico, tra valli remote e in prossimità dell’ombra degli arbusti, ormai da 25 anni ha ritenuto di percorrere la via dell’eremita sapiente, come tanti altri filosofi ed artisti, prima di lui.
Quest’uomo che non è un minatore, eppure trova vie d’accesso estremamente semplici all’interno dei rilievi; che non è un architetto, ma determina la posizione di spaziosi atri e stanze ad uso proprio oppure dei suoi committenti; che non è uno scultore, pur sapendo realizzare intriganti bassorilievi ed ogni tipo di naturalistiche figure usate per dare carattere ai suoi ambienti titolari. Reso celebre dalla recente produzione del documentario nominato all’Oscar, Cavedigger (Jeffrey Karoff – 2013) ma che certamente non cercava la fama internazionale, ne pare lavorare per l’approvazione di qualcuno che non sia se stesso, il proprio spirito, o forse addirittura il cane, fedele compagno delle sue ultime avventure. Tutto ebbe inizio al principiare degli anni ’80, quando l’allora quarantenne Paulette (oggi ha più di 75 estati alle spalle) veterano del Vietnam e con due storie d’amore naufragate alle spalle, scelse di provare per un certo periodo questa cosa di essere campioni solitari, e scoprire come si trovasse trasferendosi in una baita autocostruita vicino alla località di Des Montes, diversi chilometri a nord di Santa Fe. Si trattava di un piccolo edificio in legno, sito a circa 3.000 metri dal livello del mare, ben costruito e semi-sepolto nel terreno, tenuto nascosto da alcuni vecchi frassini defunti ormai da tempo. Nonostante Paulette avesse mirato ad un terreno di proprietà pubblica, in effetti, successivamente scoprì che il terreno rientrava per pochi metri all’interno di un’antica concessione privata della Corona spagnola, facendo parte di uno sconfinato ranch. Questione che negli gli causò alcuni problemi, inclusa la visita di controllo di un ranger locale e l’occupazione da parte di alcuni giovani abitanti del luogo, che ne fecero un luogo di ritrovo occasionale. Ma per lui, che allora vi passava solo alcuni mesi l’anno, quest’ultimo punto fu in effetti un lato positivo: le montagne a tale latitudine sono infatti estremamente umide, e ogni volta che tornava alla sua capanna, la trovava lievemente più sprofondata nella terra e nel fango. Tanto che dovette a un certo punto, nonostante la manutenzione effettuata sia da lui che dai suoi ospiti “abusivi”, dolorosamente abbandonarla.
Per giurare, da quel giorno, due cose: che non si sarebbe mai fermato più in un posto tanto a lungo. E che avrebbe trovato un materiale da costruzione differente dal legno, più adatto a resistere alle intemperie ed all’incedere spietato del tempo!

La vita di Paulette ritorna quindi alle cronache verso la metà degli anni ’90, quando lo ritroviamo nella località di Embudo, presso il fiume del Rio Grande e la Foresta Nazionale di Carson, dove sceglie di abitare in quella che lui chiama la sua “Camera del Cuore”. Una vera e propria casa, duramente scavata con le proprie mani all’interno di un massiccio di arenaria, dove abitare in uno stato che lui definisce di “assoluta quiete e comunione con l’universo”. Secondo quanto ci è dato di sapere la caverna, oggi non più esistente, incorporava già molti degli elementi della sua produzione successiva, incluse le superfici curve ed organiche di ciascun ambiente, che sembrano quasi fluire l’una incontro all’altra in un vortice di forme, luci ed ombre. Nello stile di Paulette, in particolare, si nota un’eccezionale attenzione all’impiego della luce naturale, che filtrando da aperture collocate in alto negli ambienti, rimbalzano da una parete all’altra, creando l’impressione di trovarsi al tempo stesso al chiuso, ed all’aperto. Questo primo ambiente da lui creato nella pietra, tuttavia, non era particolarmente solido, e presa coscienza del fatto che numerosi sconosciuti tendessero a visitarlo in sua assenza, attirati dalle storie sulla magnifica caverna decorata in cui talvolta viveva un uomo misterioso, che potevano subire conseguenze gravi per eventuali crolli, egli decise alla fine di chiuderla definitivamente, inducendo un crollo catastrofico dell’unica via d’accesso al sotterraneo. Ma non fu certamente questa, la fine di una storia tanto strana e singolare…

Ra Paulette 2
Una delle caverne costruite su commissione da Ra Paulette, messa in mostra dall’utente di YouTube PElias1525, che si trovava lì come visitatore durante quella che pare essere una festa. Nonostante le riprese siano criticate nei commenti come poco chiare, il suo modo di usare il cellulare come fosse un’estensione dello sguardo dona un certo senso di trovarsi fisicamente lì, vivendo l’esperienza assieme al resto dei presenti.

Nel periodo successivo della sua vita, questo artista eclettico si fece più prudente. Avendo acquisito la percezione dei potenziali rischi di responsabilità che correva mettendo le sue costruzioni a disposizione di chiunque, iniziò a costruire esclusivamente su terreni privati, previo l’ottenimento dell’approvazione dei relativi proprietari. Lui personalmente, in fondo, non aveva un particolare interesse a vivere in prima persona ed a lungo termine nelle caverne che costruiva, preferendo piuttosto trasferirsi di continuo per poter riprendere il processo di creazione. Attualmente, all’ultima stima, ne dovrebbero esistere esattamente 14 complete tutto attorno alla città di Santa Fe, di volta in volta prodotte in cambio di uno stipendio di circa 10-14 dollari l’ora (a seconda della complessità del progetto). Ogni antro un’opera unica e irripetibile, ciascuno infuso della sua particolare visione d’artista, anche a costo di andare contro le specifiche richieste dei suoi finanziatori.
Tra le opere più famose ed estese, va certamente citato il Tempio della Terra, costruito per i titolari della Relais & Châteaux e da questi messo a disposizione ai clienti paganti del loro resort, come luogo di ritiro spirituale e meditazione. Un vero e proprio dungeon d’estensione mediacon all’interno della sala principale un grande pilastro a bassorilievo, lavorato per sembrare un albero le cui fronde vanno a scomparire nel soffitto. Diventando, in effetti, la montagna stessa. Completano la scenografia alcuni globi vagamente a forma di cuore, che dovrebbero rappresentare, nella sua idea, la manifestazione terrena della gentilezza umana. L’insolita e prestigiosa location viene anche impiegata, di tanto in tanto, per la celebrazione di matrimoni.

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Uno dei punti principali sollevati dal documentario Cavedigger è la questione di cosa voglia dire, per un artista solitario, lavorare con i tempi precisi e le stringenti imposizioni dei suoi committenti, che in tali ambienti intenderanno viverci, di lì a poco. Si tratta indubbiamente di un delicato stato di equilibrio.

Verso il termine del documentario di Karoff, si parla inoltre di quello che Paulette definisce il suo magnum opus, una caverna più vasta e complessa di qualunque altra costruita fino a questo momento. Costruita di nuovo sul terreno pubblico, ma in un luogo che per il momento resta rigorosamente ignoto, una volta aperta ai visitatori dovrà essere sicura e resistente all’usura, ancora più delle maggiori opere recenti. Il luogo viene anche mostrato di sfuggita all’inviato del video di apertura, che per l’occasione si vede descrivere l’aspetto futuro del salone principale in corso d’opera: una vera e propria piscina scavata nella roccia, con tanto di cascata e pareti per questa volta dipinte, onde contribuire ad un’estetica ancora più irreale e fantastica, in un passo mai compiuto fino ad ora dall’artista. Il quale stima che il lavoro, nella migliore delle ipotesi, lo occuperà per i prossimi 10 anni, accompagnandolo fino all’età del suo pensionamento. Un proposito estremamente impegnativo e gravoso, specie quando si considera che stavolta, il grande costruttore lavorerà per se stesso, senza percepire nessun tipo di stipendio. Benché vada anche considerato come, con notevole risonanza mediatica, uno dei terreni precedentemente graziati dalle sue caverne, dell’estensione di 208 acri, sia stato messo in vendita da una prestigiosa agenzia immobiliare locale, per un prezzo iniziale di un milione di dollari, poi calato a 795.000. I quali, naturalmente, andranno integralmente al proprietario del terreno, non certo a Paulette. Ma non è in effetti impossibile che costui, in tanti anni di lavoro, sia riuscito a mettere da parte un certo gruzzolo per mantenersi fino al completamento della sua ultima Caverna Luminosa, un luogo che, parafrasando le sue parole e il chiaro intento produttivo: “Sarà messo a disposizione della comunità, come risorsa di guarigione e riscoperta spirituale. diventando un nucleo di comunione assoluta con il mondo naturale e i suoi segreti, al fine di raggiungere uno stato superiore di coscienza.” Una missione di non facile risoluzione, soprattutto quando si considera che prima del completamento avrà raggiunto e superato gli 80 anni, un’età non indifferente per arrampicarsi su pendici scoscese con carriola assicurata sulle spalle e tutti gli altri attrezzi al seguito, da usare con alacre ed operosa insistenza.
Ma la pietra, si sa, non cede facilmente. Sia questa il frutto di depositi magmatici ed antichi flysch, oppure delineata dalla convinzione e la sapienza della mente umana. Tanto che la Prima può essere soltanto erosa dalle forze imprescindibili della natura, oppure dalla sua Seconda controparte. Che tende a resistere immutata per tempi brevi, eppure straordinariamente pregni e significativi. Grazie alla forza tangibile del gesto, che conduce alla memoria.

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